venerdì, Marzo 29, 2024
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Le SS.UU. rimettono alla CGUE l’ampiezza del sindacato esercitabile sulle sentenze del Consiglio di Stato

Sommario: 1.Premessa 2. Ricostruzione dei fatti 3. La prima questione pregiudiziale: il concetto di denegata giustizia secondo l’interpretazione estensiva offerta dalle S.U. e il restraint della Corte Costituzionale nella sentenza n. 6/2018   4. La seconda questione pregiudiziale: il mancato rinvio pregiudiziale alla CGUE da parte del Consiglio di Stato   5. La terza questione pregiudiziale: il differente riconoscimento in capo al concorrente escluso dalla gara della legittimazione a proporre ricorso e il contrasto tra giurisprudenza nazionale e comunitaria   6. Conclusioni

1. Premessa

Con la recentissima ordinanza interlocutoria del 18 settembre 2020[1], le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione hanno effettuato, ai sensi dell’art. 267 TFUE, un rinvio pregiudiziale alla CGUE in merito a tre questioni, tra loro connesse, tra cui la più rilevante inerente all’asserito difetto di tutela giurisdizionale da parte del giudice nazionale, nell’ambito di una materia in cui forte è l’influenza esercitata e la disciplina dettata dal diritto eurounitario, quale quella degli appalti pubblici.

La significatività e rilevanza dell’ordinanza in disamina risposa sul fatto di riportare alla luce le determinazioni assunte dai Giudici della Consulta nella sentenza n. 6 del 2018, ponendosi peraltro con essa in netto contrasto, con il risultato di rimettere l’operato della Corte Costituzionale dinanzi al vaglio dei Giudici di Lussemburgo.

2. Ricostruzione dei fatti

Al fine di comprendere appieno le questioni giuridiche sollevatisi nella presente diatriba giurisprudenziale, pare opportuno effettuare un rapido excursus in merito ai fatti occorsi.

Segnatamente, la vicenda origina dall’indizione di una procedura di gara per mano di una Pubblica Amministrazione – l’Azienda Usi Valle d’Aosta – interessata ad affidare un contratto per la somministrazione temporanea di personale, sulla base del criterio del minor prezzo e dell’offerta economicamente più vantaggiosa.[2]

Nella lex specialis della gara d’appalto (a cui avevano partecipato in totale otto concorrenti) veniva indicata una soglia di sbarramento[3], il cui mancato superamento aveva giustificato l’impresa esclusa dalla gara d’appalto a proporre ricorso contro il T.A.R. Valle d’Aosta, lamentando la propria asserita illegittima esclusione, causata dall’inadeguata determinazione dei criteri di scelta, dall’irragionevolezza dei punti tecnici riconosciutegli, nonché dalla nomina illegittima della commissione di gara.

Il T.A.R. rigettava il ricorso nel merito, senza preliminarmente rilevare – nonostante quanto precisato dall’Amministrazione appaltante e dall’impresa aggiudicataria – la mancanza di legittimazione a proporre ricorso in capo all’impresa ricorrente. La stessa era stata infatti esclusa dalla procedura di gara e si trovava pertanto ad essere titolare di un mero interesse strumentale, non sufficiente a radicare la legittimazione a proporre ricorso che, come noto, richiede la titolarità di una posizione giuridica differenziata ed, in quanto tale, meritevole di tutela.

A fronte del rigetto da parte del T.A.R. Valle d’Aosta, la ricorrente proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato, a cui seguiva appello incidentale formulato dall’impresa aggiudicataria, con cui la stessa lamentava il mancato rilievo da parte del giudice di prime cure dell’assenza di legittimazione a proporre ricorso – essendo stata la ricorrente esclusa dalla gara – pur a fronte del rigetto del ricorso stesso per motivi attinenti al merito.

Nel dettaglio, in forza di una consolidata giurisprudenza sul punto, in caso di gara a cui abbiano partecipato più di due concorrenti, l’impresa esclusa dalla procedura è priva della legittimazione a proporre ricorso e ad impugnare la graduatoria in quanto, a causa della sua stessa esclusione, si ritrova ad essere titolare di un mero interesse di fatto, quale quello proprio di qualsiasi altro operatore economico estraneo alla procedura di gara. Infatti, anche in caso di aggiudicazione concretamente illegittima, l’impresa esclusa non avrebbe interesse ad impugnarla, in quanto a causa della sua esclusione non potrebbe avanzare la pretesa allo scorrimento della graduatoria – operabile da parte della stazione appaltante – al fine di essere individuata come nuova aggiudicataria del contatto d’appalto.

Ciò – si precisa – è previsto solo nell’ambito delle procedure di gara a cui abbiano partecipato più di due concorrenti; mentre nelle procedure di gara con sole due imprese partecipanti, la legittimazione in capo all’impresa esclusa resta ferma dato che, una volta dimostrata l’effettiva illegittimità dell’aggiudicazione, la gara diventa deserta e la stazione appaltante si trova costretta ad indirla nuovamente, così soddisfando – anche se indirettamente – l’interesse della ricorrente ad essere eventualmente scelta (seppur in altra gara) come aggiudicataria.

Tanto premesso, il Consiglio di Stato accoglieva l’appello incidentale proposto dall’impresa aggiudicataria e statuiva come la ricorrente non fosse legittimata a proporre ricorso per ottenere il travolgimento della gara dalla quale era stata esclusa, in quanto “portatrice di un interesse di mero fatto, analogo a quello di qualunque altro operatore economico del settore che non ha partecipato alla gara[4].

Giungendo a conclusione nella delucidazione dei fatti oggetto di vertenza, la ricorrente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio di Stato per motivi attinenti alla giurisdizione, lamentando la violazione di una serie di norme – rilevanti per la disamina delle questioni giuridiche successivamente emerse – quali l’art. 362 I comma c.p.c. e l’art. 110 c.p.a. per avere il Consiglio di Stato negato ad un soggetto che era stato escluso da una gara – in forza peraltro di un provvedimento la cui legittimità era stata impugnata e non definitivamente verificata dal giudice – la legittimazione a proporre ricorso per ottenere il travolgimento della gara dappalto così svoltasi.

In forza di tali censure, la ricorrente riteneva che la sentenza del Consiglio di Stato si fosse pronunciata in violazione del principio di effettività della tutela – codificato all’art. 1 par. I comma III della Direttiva n. 665 del 1989 – così determinando un diniego di accesso alla tutela stessa, censurabile dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione ex art. 111 VIII Cost., richiamando in proposito altri precedenti della giurisprudenza di legittimità espressisi in senso conforme a quanto sostenuto dalla ricorrente.[5]

3. La prima questione pregiudiziale: il concetto di denegata giustizia secondo l’interpretazione estensiva offerta dalle S.U. e il restraint della Corte Costituzionale nella sentenza n. 6/2018

Addentrandoci nella trattazione della prima rimessione pregiudiziale effettuata dalle S.U. alla CGUE, occorre preliminarmente far menzione di quell’orientamento divampato nelle pronunce degli Ermellini volto ad attribuire ampia portata precettiva ed estensione applicativa al concetto di “diniego di giurisdizione”, così incidendo estensivamente anche sulle possibilità di ricorrere per Cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione in merito a pronunce del Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 111 comma 8 della Costituzione.

Segnatamente, oltre alla classica definizione di diniego di giurisdizione, che si verifica quando un giudice si rifiuta di esercitare la sua giurisdizione su una materia di sua competenza, tale vizio verrebbe integrato, ad avviso della S.C., anche quando il giudice, pur esercitando di fatto la sua giurisdizione, la eserciti male, definendo in limite litis una questione sottoposta al suo vaglio senza esaminarla nel merito. Così operando, ad avviso delle S.U., il giudice darebbe luogo ad un fenomeno di denegata giustizia in quanto, pur riconoscendo la sussistenza della sua giurisdizione sulla materia sottoposta al suo vaglio, la eserciterebbe così male – fermandosi al rilievo di un mero vizio procedurale, senza esaminare il merito della vertenza – da rendere la posizione fatta valere in giudizio del tutto priva della doverosa tutela giurisdizionale.

Tale orientamento ha avuto l’effetto di porsi in contrasto con quello precedentemente sostenuto in modo unanime dalla giurisprudenza secondo cui, in un caso di tal fatta, si assisterebbe non ad un’ipotesi di denegata giustizia – in quanto, di fatto, il giudice esercita la sua giurisdizione – ma alla commissione di un error in procedendo, quindi ad una mera violazione di regole processuali e procedurali, non integrante un vizio inerente ai motivi di giurisdizione e pertanto non cassabile ai sensi dell’art. 111 comma 8 Cost.[6]

A porre chiarezza in merito al suddetto contrasto giurisprudenziale, è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 6 del 2018 (specificamente riferita ad un’ipotesi di contrasto tra il diritto nazionale e l’ordinamento CEDU).

In tale occasione il Giudice delle Leggi ha precisato come il concetto di “motivi inerenti alla giurisdizione” – così richiamando il disposto letterale dell’art. 111 VIII comma Cost. – sussista solo in due tassative circostanze, ossia: in caso di difetto assoluto di giurisdizione, ossia quando il giudice si pronuncia su una materia estranea alla sua giurisdizione, così compiendo il cosiddetto “sconfinamento” in una giurisdizione altrui; e in caso di diniego di giustizia, il che si realizza quando il giudice manchi di pronunciarsi su una materia su cui ha giurisdizione, così realizzando il cosiddetto “arretramento”.

Tanto precisato, la Corte Costituzionale chiarisce come le ipotesi di error in procedendo o error in iudicando non possano assolutamente essere incasellate in quel motivo inerente la giurisdizione consistente nel diniego di giustizia, in quanto nel caso di specie il giudice compie semplicemente un errore nel corso del concreto esercizio della sua giurisdizione.

Pertanto, per quanto attiene alla questione sottoposta all’odierno esame, la sussistenza di un error in iudicando o in procedendo commesso dal Consiglio di Stato in una sua pronuncia non giustifica, ad avviso della granitica pronuncia della Corte Costituzionale, il ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 VIII comma Cost.

Infatti sarebbe arbitrario affermare che, a seconda della gravità dell’errore procedurale commesso dal giudice, tale vizio sia in grado di trasformarsi da error in procedendo a fenomeno di denegata giustizia (quindi a motivo inerente la giurisdizione) anche perché, così argomentando, qualsiasi errore procedurale o processuale sarebbe passibile di un’arbitraria trasformazione della sua veste, includendo nel vizio inerente la giurisdizione anche il vizio di violazione di legge che, ai sensi dell’art. 111 VIII comma Cost., non giustifica il ricorso per Cassazione avente ad oggetto pronunce del Consiglio di Stato (o della Corte dei Conti).

Così espressasi la Corte Costituzionale, ecco che nel caso di specie le S.U. della Suprema Corte hanno formulato la prima questione pregiudiziale alla CGUE, mettendo in discussione il principio di diritto affermato dal Giudice delle Leggi e ritenendo come tale tesi non possa essere sostenuta laddove impedisca alla Corte di Cassazione di sindacare una pronuncia del Consiglio di Stato espressasi in violazione del diritto comunitario, inibendo così alla S.C. di impedire il consolidarsi di una sentenza con effetti giuridici anti-comunitari.

In altri termini, la S.C. ritiene che il Consiglio di Stato, avendo rigettato il ricorso principale per il solo fatto di essere stato proposto da un ricorrente escluso dalla gara pubblica ed applicando così la suddetta regola dei ricorsi reciprocamente escludenti, abbia determinato una violazione del principio di effettività della tutela e si sia quindi espresso in contrasto con il diritto comunitario, dando quindi luogo ad un vizio di violazione di legge.

Dinanzi ad una pronuncia di tal fatta, la S.C. ritiene che la disciplina nazionale – che impedisce alla Corte di Cassazione di pronunciarsi sulle sentenze del Consiglio di Stato in caso di vizio di violazione di legge e non solo per motivi inerenti la giurisdizione – si ponga a sua volta in contrasto con il diritto eurounitario, perché consentirebbe il consolidarsi di una pronuncia disposta in violazione del diritto dell’UE.

Tanto premesso, il cuore della prima rimessione pregiudiziale delle S.U. alla CGUE consiste nel quesito se il principio del primato del diritto dell’UE e il principio dell’effettività della tutela ostino – o meno – ad una giurisprudenza (come quella nazionale) secondo cui il sindacato per motivi di giurisdizione ex art. 111 VIII comma Cost. non possa avere ad oggetto una violazione del diritto comunitario.[7]

4. La seconda questione pregiudiziale: il mancato rinvio pregiudiziale alla CGUE da parte del Consiglio di Stato

Per quanto attiene alla seconda rimessione pregiudiziale, fondata su presupposti giuridici simili a quelli a fondamento della precedente, essa attiene alla sindacabilità da parte della Cassazione della mancata proposizione del rinvio pregiudiziale alla CGUE – ai sensi dell’art. 267 TFUE – da parte del Consiglio di Stato, il quale si sia espresso in una materia fortemente influenzata dalla disciplina comunitaria, come quella dell’affidamento di contratti d’appalto pubblici.

Segnatamente, la S.C. ha ritenuto – sulla base di un orientamento consolidato della nostra giurisprudenza nazionale – che la mancata proposizione di un rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla CGUE su una materia di rilievo comunitario consista non in un motivo inerente la giurisdizione bensì nel vizio di violazione di legge.

A conferma di ciò depone il fatto che la decisione se rivolgersi o meno alla Corte di Lussemburgo per la sollevazione di una questione pregiudiziale sia un fatto attinente al merito del giudice nazionale procedente e non alla giurisdizione che lo stesso esercita.

Il motivo di tale questione pregiudiziale è insito nel fatto che, ai sensi del più volte richiamato art. 111 comma 8 Cost., le pronunce del Consiglio di Stato (e della Corte dei Conti) possono essere oggetto di ricorso per Cassazione solo per motivi inerenti la giurisdizione e non anche per vizio di violazione di legge, quale quello verificatosi nel caso de quo a seguito di mancato rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato alla CGUE.

Ciò che gli Ermellini richiedono alla Corte di Lussemburgo è se il principio del primato del diritto dell’UE così come il principio dell’effettività della tutela ostino – o meno – ad una disciplina come quella nazionale che impedisce alla Corte di Cassazione di effettuare un sindacato su quelle pronunce in cui il Consiglio di Stato abbia mancato di rivolgersi preliminarmente alla CGUE in merito ad una materia di rilevanza comunitaria, anche qualora ciò consenta il consolidarsi di un giudicato producente effetti giuridici in contrasto con il diritto comunitario.[8]

5. La terza questione pregiudiziale: il differente riconoscimento in capo al concorrente escluso dalla gara della legittimazione a proporre ricorso e il contrasto tra giurisprudenza nazionale e comunitaria

La terza ed ultima questione pregiudiziale è forse quella che evidenza il più profondo attrito tra l’orientamento consolidatosi all’interno della nostra giurisprudenza amministrativa e quello fatto proprio dalla CGUE a livello comunitario, consistente nel diverso riconoscimento in capo ad un soggetto della legittimazione a proporre ricorso al fine di ribaltare una gara d’appalto dalla quale da tale soggetto sia stato – legittimamente o meno – escluso.

Nel dettaglio, mentre il Consiglio di Stato – come lumeggiato in sede d’esposizione dei fatti – ritiene che un soggetto escluso da una gara a cui abbiano partecipato più di due concorrenti sia titolare di un interesse di mero fatto e privo quindi della titolarità di quella posizione giuridica differenziata che lo legittimerebbe a proporre ricorso (essendo la sua posizione giuridica soggettiva del tutto assimilabile a quella di qualsiasi altro operatore economico che non abbia partecipato alla procedura di evidenza pubblica); la giurisprudenza della CGUE si muove invece in direzione diametralmente opposta.

Segnatamente, i Giudici di Lussemburgo ritengono che un soggetto, anche se escluso da una gara a cui abbiano partecipato più di due ricorrenti, debba comunque ritenersi titolare di una legittimazione a proporre ricorso, per impugnare l’aggiudicazione e travolgere la gara così svoltasi, al solo sussistere della mera probabilità di conseguire un vantaggio, il quale può consistere anche nella riedizione della gara (e non per forza nell’annullamento dell’aggiudicazione e nell’eventuale subentro nel contratto d’appalto). Vari e numerosi sono i precedenti della CGUE espressi conformemente al presente indirizzo.[9]

In tutti i richiamati precedenti, la CGUE ha ripetutamente ribadito come l’orientamento fatto proprio dalla nostra giurisprudenza amministrativa – ossia quello secondo cui il ricorso incidentale proposto dall’aggiudicatario di una gara d’appalto, volto ad ottenere l’esclusione dalla gara o la mera conferma circa la legittimità dell’esclusione già avvenuta del ricorrente principale, debba essere esaminato per primo con effetto paralizzante sul ricorso principale – determini un’evidente lesione al principio di effettività della tutela.

Ciò è determinato dal fatto che il ricorrente principale viene in tal modo indebitamente privato del suo diritto ad ottenere una valida tutela giurisdizionale e spogliato della possibilità di impugnare l’esito di una gara dalla quale sia stato escluso (magari anche illegittimamente).

Tale principio, ad avviso della CGUE, non può essere accolto né nelle gare per l’affidamento di appalti pubblici con più di due partecipanti, né nelle gare con due soli partecipanti, in quanto basta a radicare l’interesse al ricorso la mera possibilità di ottenere un qualsiasi vantaggio dall’impugnazione così avanzata (vantaggio consistente anche nell’indizione di una nuova gara).

A conferma di quanto appena evidenziato, si ricorda come risieda nell’insostituibile potere discrezionale demandato alla P.A. la scelta se, una volta annullata l’aggiudicazione per un vizio effettivamente riscontrato, scorrere la graduatoria – così individuando nuovi aggiudicatari -, oppure decidere di indire nuovamente la gara senza alcun scorrimento della graduatoria (il che può essere optato dalla stazione appaltante, ad esempio, qualora le offerte degli altri partecipanti non vengano ritenute idonee o non sufficientemente competitive rispetto a quella dell’aggiudicatario ormai revocato).

Peraltro, di recente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto non condivisibile il principio di diritto espresso dal Consiglio di Stato in merito alle procedure di affidamento di appalti pubblici secondo cui, nell’ambito dei cosiddetti ricorsi reciprocamente escludenti, il ricorso incidentale (diretto a contestare la legittimazione del ricorrente principale facendo leva sulla sua esclusione dalla gara o sulla necessità che lo stesso ne fosse stato escluso fin dall’origine) debba essere esaminato prioritariamente, a discapito del ricorso principale che contesti la legittimità dell’aggiudicazione ed abbia come obiettivo il travolgimento della gara (magari sostenendo le stesse motivazioni, ossia che l’aggiudicatario avrebbe dovuto essere stato escluso dalla gara d’appalto fin dalla sua indizione).

Tale principio infatti, a fronte di due ricorsi – uno principale e l’altro incidentale – reciprocamente escludenti, provocherebbe automaticamente due effetti indebiti.

Da una parte, sancirebbe automaticamente linammissibilità del ricorso principale, solo perché proposto da un soggetto già escluso o che avrebbe dovuto essere stato escluso dalla gara d’appalto svoltasi; in seguito favorirebbe arbitrariamente la posizione del ricorrente incidentale salvaguardando la sua aggiudicazione, senza che il giudice possa concretamente esprimersi sulla legittimità della stessa, sulla legittima partecipazione del concorrente poi reso aggiudicatario o sulla legittima esclusione del ricorrente principale dalla medesima gara.

Da tale quadro, tanto ad avviso delle S.U. della Suprema Corte, quanto in forza dell’opinione espressa dai Giudici di Lussemburgo, ne deriverebbe una profonda lesione al principio di effettività della tutela, negando il diritto al ricorso ad un soggetto sulla base di aprioristiche esclusioni e di automatismi arbitrari.[10]

6. Conclusioni

L’ampia rimessione effettuata dalle S.U. della Cassazione alla CGUE, per come sopra esaminata, abbraccia una questione giuridica di non poco conto in quanto, al fine di evitare il formarsi e consolidarsi di un giudicato anti-comunitario, viene richiesta l’introduzione di una sorta di rimedio extra ordinem, sconosciuto al nostro ordinamento, il quale consisterebbe nel ricorso per Cassazione per violazione di legge in riferimento a pronunce adottate dal Consiglio di Stato.

Trattasi di un rimedio privo di diritto di cittadinanza all’interno del nostro sistema giuridico, in quanto l’art. 111 VIII Cost. stabilisce espressamente che contro le pronunce del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso per Cassazione sia ammesso solo per motivi inerenti la giurisdizione.

Le rimessioni pregiudiziali rivolte alla CGUE sono tutte sostanzialmente volte a determinare se il principio del primato del diritto dell’UE, così come il principio dell’effettività della tutela comunitariamente sancito, sia così forte da consentire l’introduzione nel nostro ordinamento di un rimedio del tutto nuovo, capace di estendere notevolmente le competenze della Corte di Cassazione, allo scopo di perseguire quella finalità consistente nell’evitare il definitivo consolidarsi di un giudicato producente effetti in contrasto con il diritto eurounitario.

L’attesa risposta della CGUE potrebbe pertanto produrre esiti dirompenti all’interno del nostro ordinamento.

Da un lato, i Giudici di Lussemburgo potrebbero effettivamente riconoscere al principio del primato del diritto dell’UE una tale forza giuridica da giustificare l’introduzione di un rimedio ad hoc – come appunto il ricorso per Cassazione per violazione di legge – per evitare il definitivo consolidarsi di una sentenza anti-comunitaria.

Dall’altro lato invece, la CGUE potrebbe limitarsi a ribadire quanto più volte affermato dai Giudici di Lussemburgo, secondo cui il principio del primato del diritto dell’UE non impone di rimuovere un giudicato già formatosi all’interno di un ordinamento nazionale di uno Stato membro, anche se in contrasto con il diritto comunitario (salva l’eventuale responsabilità del singolo Stato per aver dato luogo ad una pronuncia anti-comunitaria).

Tale argomentazione viene in tal modo sostenuta alla luce del principio di equivalenza dei rimedi secondo cui, non essendo previsto all’interno dell’ordinamento nazionale un rimedio ulteriore – se non il ricorso per Cassazione per motivi inerenti la giurisdizione – contro una sentenza del Consiglio di Stato in contrasto con il diritto nazionale; allora tantomeno è possibile prevedere un rimedio ad hoc per revocare quelle pronunce del Consiglio di Stato in contrasto con il diritto comunitario, data la definitività degli effetti giuridici prodottisi a seguito del passaggio in giudicato della sentenza.

 

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

[1] Corte Cass., Sez. Un., ordinanza 18 settembre 2020, n. 19598

[2] Quale criterio consolidatosi all’indomani del D.L. 32/2019, cosiddetto Decreto Sblocca Cantieri, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici”, convertito in legge con la L. n. 55/2019 pubblicata nella G.U. del 17/06/2019 n. 140.

[3] T.A.R. Roma 22.07.2019 n. 9781 “In sede di gara pubblica, ai fini della valutazione dell’offerta, essendo lo scopo della previsione della soglia di sbarramento di assicurare un filtro di qualità, impedendo la prosecuzione della gara a quelle offerte che non raggiungano uno standard minimo corrispondente a quanto (discrezionalmente) prefissato dalla lex specialis, tale filtro va operato con riferimento ai valori assoluti delle offerte tecniche, ovvero al risultato derivante dall’applicazione dei punteggi come previsti dal metodo di gara in relazione ai singoli parametri, avendo questi ultimi un significato funzionale proprio.”

[4] Come già affermato dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 4 del 7 aprile 2011 e, più recentemente, nella sentenza n. 9 del 25 febbraio 2014.

[5] Come nella sentenza delle S.U. Corte di Cassazione n. 2242 del 6 febbraio 2015 e la più recente del 29 dicembre 2017 n. 31226

[6] Il quale articolo stabilisce che “contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”.

[7] Con il primo quesito la Corte chiede “Se gli art. 4 par. III, art. 19 par. I del TUE, art. 2 par I e II e art. 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ostino ad una prassi interpretativa come quella concernente gli art. 111 VIII comma Cost., art. 360 I comma n. 1 e art. 362 I comma c.p.c. e art. 110 c.p.a. – nella parte in cui tali disposizioni ammettono il ricorso per cassazione avverso le sentenze del Consiglio di Stato per «motivi inerenti alla giurisdizione» – quale si evince dalla sentenza della Corte costituzionale n. 6 del 2018 e dalla giurisprudenza nazionale successiva che, modificando il precedente orientamento, ha ritenuto che il rimedio del ricorso per cassazione sotto il profilo del cosiddetto «difetto di potere giurisdizionale», non possa essere utilizzato per impugnare sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale confliggenti con sentenze della Corte di Giustizia, in settori disciplinati dal diritto dell’Unione Europea (nella specie, in tema di aggiudicazione degli appalti pubblici) nei quali gli Stati membri hanno rinunciato ad esercitare i loro poteri sovrani in senso incompatibile con tale diritto, con l’effetto di determinare il consolidamento di violazioni del diritto comunitario che potrebbero essere corrette tramite il predetto rimedio e di pregiudicare l’uniforme applicazione del diritto dell’Unione e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive di rilevanza comunitaria, in contrasto con l’esigenza che tale diritto riceva piena e sollecita attuazione da parte di ogni giudice, in modo vincolativamente conforme alla sua corretta interpretazione da parte della Corte di Giustizia, tenuto conto dei limiti alla «autonomia procedurale» degli Stati membri nella conformazione degli istituti processuali”.

[8] Con il secondo quesito la Corte chiede “Se gli art. 4 par. III, art. 19 par. I del TUE e art. 267 TFUE, letti anche alla luce dell’art. 47 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, ostino alla interpretazione e applicazione degli art. 111 VIII comma Cost., art. 360 I comma n. 1 e art. 362 I comma c.p.c. e art. 110 c.p.a., quale si evince dalla prassi giurisprudenziale nazionale, secondo la quale il ricorso per cassazione dinanzi alle Sezioni Unite per «motivi inerenti alla giurisdizione», sotto il profilo del cosiddetto «difetto di potere giurisdizionale», non sia proponibile come mezzo di impugnazione delle sentenze del Consiglio di Stato che, decidendo controversie su questioni concernenti l’applicazione del diritto dell’Unione, omettano immotivatamente di effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, in assenza delle condizioni, di stretta interpretazione, da essa tassativamente indicate (a partire dalla sentenza 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81) che esonerano il giudice nazionale dal suddetto obbligo, in contrasto con il principio secondo cui sono incompatibili con il diritto dell’Unione le normative o prassi processuali nazionali, seppure di fonte legislativa o costituzionale, che prevedano una privazione, anche temporanea, della libertà del giudice nazionale (di ultimo grado e non) di effettuare il rinvio pregiudiziale, con l’effetto di usurpare la competenza esclusiva della Corte di Giustizia nella corretta e vincolante interpretazione del diritto comunitario, di rendere irrimediabile (e favorire il consolidamento dell’eventuale contrasto interpretativo tra il diritto applicato dal giudice nazionale e il diritto dell’Unione e di pregiudicare l’uniforme applicazione e l’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto dell’Unione”.

[9] A titolo d’esempio, si ricorda la sentenza Fastweb della CGUE del 4 luglio 2013 C-100/12; la sentenza Puligenica del 5 aprile 2016 C-689/12 nonché da ultimo la sentenza Lombardi del 5 settembre 2019 C-333/18.

[10] Con il terzo quesito la Corte chiede “Se i principi dichiarati dalla Corte di giustizia con le sentenze 5 settembre 2019, Lombardi, C-333/18; 5 aprile 2016, Puligienica, C-689/13; 4 luglio 2013, Fastweb, C100/12, in relazione agli articoli 1, par. 1 e 3, e 2, par. 1, della direttiva 89/665/CEE, modificata dalla direttiva 2007/66/CE, siano applicabili nella fattispecie che è oggetto del procedimento principale, in cui, contestate dall’impresa concorrente l’esclusione da una procedura di gara di appalto e I ‘aggiudicazione ad altra impresa, il Consiglio di Stato esamini nel merito il solo motivo di ricorso con cui l’impresa esclusa contesti il punteggio inferiore alla «soglia di sbarramento» attribuito alla propria offerta tecnica e, esaminando prioritariamente i ricorsi incidentali dell’amministrazione aggiudicatrice e dell’impresa aggiudicataria, li accolga dichiarando inammissibili (e ometta di esaminare nel merito) gli altri motivi del ricorso principale che contestino l’esito della gara per altre ragioni (per indeterminatezza dei criteri di valutazione delle offerte nel disciplinare di gara, mancata motivazione dei voti assegnati, illegittima nomina e composizione della commissione di gara), in applicazione di una prassi giurisprudenziale nazionale secondo la quale l’impresa che sia stata esclusa da una gara di appalto non sarebbe legittimata a proporre censure miranti a contestare l’aggiudicazione all’impresa concorrente, anche mediante la caducazione della procedura di gara, dovendosi valutare se sia compatibile con il diritto dell’Unione l’effetto di precludere all’impresa il diritto di sottoporre all’esame del giudice ogni ragione di contestazione dell’esito della gara, in una situazione in cui la sua esclusione non sia stata definitivamente accertata e in cui ciascun concorrente può far valere un analogo interesse legittimo all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di procedere alla scelta di un’offerta regolare e all’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione, alla quale ciascuno degli offerenti potrebbe partecipare.

Giulia Becchio

Laureata in legge presso l’Università degli Studi di Genova nell’anno 2017 con votazione 110 e lode, ha perfezionato il tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Milano, nei Dipartimenti di Criminalità Organizzata e Soggetti Deboli; attualmente esercita come praticante avvocato, unitamente alla preparazione per il Concorso in Magistratura presso la scuola giuridica del Consigliere di Stato Giovagnoli. 

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