giovedì, Marzo 28, 2024
Litigo Ergo Sum

La riscossione del tributo in pendenza di giudizio


Il principio dell’immediata esecutività dell’atto impositivo e della sentenza prima del passaggio giudicato connota il processo tributario, salvo tassative ed eccezionali ipotesi deroganti la disciplina generale e concernenti la tutela cautelare del contribuente.

Invero, la proposizione del ricorso in Commissione tributaria non sospende, di norma, la riscossione, che prosegue con una gradazione diversa in base al comparto impositivo di riferimento ed alla natura giuridica delle somme.

Generalmente, in caso di avvisi di accertamento, entro il termine di proposizione del ricorso occorre corrispondere, ex art. 15 D.P.R. n. 602/1973, un terzo delle maggiori imposte richieste, eccetto i casi in cui non è prevista la riscossione frazionata, provvisoria ed in relazione ai quali occorre riscuotere l’intero tributo. Per evitare l’esecuzione dell’atto, il contribuente ha la facoltà nel giudizio di primo grado di chiedere alla commissione tributaria provinciale la sospensione della stessa ( articolo 47 D.L.gs. 546/1992) .

Per le sanzioni, in base al combinato disposto degli articolo 19 del D.Lgs. 472/1997 e 68 del D.L.gs 546/1992, prima della sentenza di primo grado favorevole all’ufficio, non può esservi alcuna riscossione, a prescindere dalla categoria di tributi cui afferiscono

L’art. 15 del D.P.R. n. 602/1973 interviene in una fase ancora amministrativa, presupponendo la legittimità dell’azione pubblica prima che sia intervenuta la pronuncia di un organo giurisdizionale.

La riscossione provvisoria in pendenza del giudizio è considerarsi iniqua in quanto espone il contribuente ad un’anticipazione finanziaria, con conseguenze pregiudizievoli, prima ancora che la controversia sia decisa, violando in tal modo il principio della tutela giurisdizionale piena ed incondizionata (art. 113 della Costituzione) e di effettività del diritto di difesa (art. 24 Costituzione).

L’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992 interviene, invece, in una fase successiva, oggetto del sindacato da parte di un organo giurisdizionale.

Nelle ipotesi in cui è prevista la riscossione frazionata in pendenza di giudizio, anche in deroga a quanto previsto dalle singole leggi di imposta, il tributo con i relativi interessi deve essere versato a) per due terzi dopo la sentenza della Commissione Tributaria che respinge il ricorso; b) per l’ammontare risultante dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso; c) per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale.

Con l’entrata in vigore del D.Lgs. n.156/2015, il novellato art 69, al comma 1, del D.Lgs n. 546/1992 ha previsto l’ immediata esecutività delle “sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente” e di “quelle emesse su ricorso avverso gli atti relativi alle operazioni catastali”.

Tale principio si estende, pertanto, ai giudizi aventi ad oggetto un diniego espresso o tacito alla restituzione di quanto spontaneamente versato, in relazione ai quali il contribuente può ottenere il rimborso prima del passaggio in giudicato della sentenza favorevole. Tuttavia, il comma 1 dell’art. 69 prevede che il pagamento di somme di importo superiore a diecimila euro, diverse dalle spese di lite, possa essere subordinato dal giudice, anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità dell’istante, alla prestazione di idonea garanzia.

Sussiste il rischio che, una volta ottenuto- in virtù di una sentenza esecutiva ma impugnata dall’Amministrazione- il pagamento di una somma a titolo di rimborso, non sia più possibile, in considerazione della somma più esosa e delle condizioni economiche del contribuente, il recupero di somme erogate in caso di successiva riforma della sentenza.

L’art. 68 del D.Lgs. n. 546/1992, nella sua versione precedente, prima che venisse introdotta al comma 1 la lettera c-bis con il D. Lgs. n. 156/2015, entrato in vigore il 1° gennaio 2016, non indicava espressamente quale fosse la misura dell’iscrizione a ruolo successiva alla sentenza di Cassazione con rinvio, prevedendo apposita disciplina in materia di riscossione provvisoria solo all’esito dei giudizi di primo e di secondo grado.

Solo con la recente novella legislativa si è previsto che l’Amministrazione Finanziaria è legittimata a richiedere, in caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, l’ammontare del tributo e degli interessi dovuti nella pendenza del giudizio di primo grado e per l’intero importo indicato nell’atto originariamente impugnato, in caso di mancata riassunzione.

Il legislatore, pertanto, interviene a regolare la riscossione in una fase in cui la pretesa impositiva è stata oggetto di plurimi sindacati da parte di un organo giudicante.

Tale disposizione legislativa risulta essere destituita di coerenza e ratio giuridica e, per certi versi, sembra essere vessatoria ed iniqua per contribuente.

Se, da una parte, a seguito di una pronuncia di annullamento con rinvio, si determina una situazione analoga a quella preesistente alla vicenda processuale, dall’altra, è dubbio che tale condizione sia idonea a far presumere la legittimità dell’azione amministrativa – nella species riscossione dei tributi – in pendenza del giudizio di primo grado.

Occorre chiedersi in base a quale titolo l’Amministrazione Finanziaria possa procedere alla riscossione provvisoria a seguito della sentenza di annullamento con rinvio, dato che la riviviscenza dell’atto impositivo sembra configurarsi solo in caso di estinzione del giudizio per mancata riassunzione o nell’ipotesi di pronuncia favorevole da parte del giudice del rinvio.

Emergono, peraltro, anche profili di incostituzionalità tali da rendere la norma del tutto illogica.

Se, ad esempio, in primo grado è stata concessa la sospensione cautelare ed è stato annullato l’atto impugnato in appello, è assurdo che a seguito di annullamento con rinvio sia disposta la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del giudizio di primo grado. Si pensi anche al contribuente che abbia ottenuto l’annullamento dell’atto impositivo in primo ed in secondo grado e che sia tenuto a corrispondere 1/3 delle imposte e degli interessi oggetto di accertamento dopo l’annullamento con rinvio della Suprema Corte di Cassazione( o, in certi casi, l’intero importo richiesto a titolo di imposta e interessi con l’atto impositivo).

Una deroga al principio dell’immediata esecutività delle sentenze in materia in impugnazione di atti impositivi è offerta dalla tutela cautelare a favore del contribuente che, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 156/2015, è stata estesa a tutte le fasi del giudizio, tematica che sarà trattata nel prossimo articolo.

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