La sentenza Galtelli è stata realmente compresa? Riflessioni sulla specificità dei motivi d’appello e sui precipitati pratici delle Sezioni Unite
A cura di Lorenzo Pelli, socio di ELSA Perugia
- Collocazione sistematica della sentenza
La celeberrima sentenza Galtelli con la quale la Suprema Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, è intervenuta sulla specificità dei motivi di appello penale, ha posto diversi punti fermi i quali sono spesso stati oggetto di fraintendimenti.
La sentenza in esame[1] ha messo in evidenza principalmente alcuni aspetti: la necessarietà che l’appellante specifichi espressamente i capi e i punti oggetto di impugnazione, l’obbligatorietà di una specificità estrinseca oltre a quella intrinseca e la correlazione fra la specificità dell’atto d’appello con quella della sentenza.
Andando per gradi non si può non sottolineare come la suindicata sentenza non è altro che il precipitato della fisionomia del giudizio di secondo grado che, com’è noto, è caratterizzato da un effetto parzialmente devolutivo (a differenza di quanto previsto dal codice del 1913 c.p.p.[2]) che è espressione diretta dell’antico adagio tantum devolutum quantum appellatum.
Dal momento che in sede di appello la res iudicanda non è necessitata come invece avviene con la richiesta di rinvio a giudizio cui è tenuto il P.M. in virtù dell’obbligatorietà dell’azione penale contemplata dall’art. 112 Cost., si può affermare che con l’atto di impugnazione l’appellante è posto in condizione di “scegliere”, o comunque di influenzare, l’oggetto del processo.
Di talché, le parti sono chiamate a specificare espressamente i capi e i punti oggetto di appello al fine di perimetrare l’orizzonte cognitivo e decisorio del giudice[3] il quale deve astenersi dal far rientrare nel proprio sindacato questioni non esplicitamente sollevate dalle parti nei rispettivi atti d’appello così come stabilito dall’art. 597, comma 1, c.p.p.[4]
Invero, l’atto d’appello per poter essere accolto ed introdurre così un nuovo grado di giudizio sul fatto di reato deve preliminarmente superare un vaglio di ammissibilità[5] onde scongiurare utilizzazioni meramente pretestuose e dilatorie dello strumento impugnatorio[6]. Tale vaglio di ammissibilità è previsto dal combinato disposto di cui agli artt. 581 e 591, comma 1, lett. c) c.p.p. dal quale si evince l’obbligo, a pena di inammissibilità totale o parziale, dell’impugnante di enunciare specificamente i capi e i punti del provvedimento che vuole sottoporre a gravame. Inoltre, il superamento del vaglio ha delle rilevanti ricadute pratiche in quanto e.g. la declaratoria di inammissibilità di cui all’art. 591, comma 2, c.p.p. per genericità dell’atto preclude anche la rilevazione ex art. 129 c.p.p. di eventuali cause di non punibilità pur se maturate prima dell’impugnata sentenza.
- Cosa si intende per capi e punti
Pregiudizialmente, corre l’obbligo di chiarire cosa si intenda quando si fa riferimento ai capi e ai punti della sentenza penale. I capi corrispondono al capo d’imputazione formulato dal P.M. al termine delle indagini preliminari oltre che ai capi civili i.e. le statuizioni civili eventualmente correlate al reato[7], mentre i punti rappresentano tutte le questioni suscettibili di essere sollevate in relazione all’oggetto del processo e che possono essere le più varie: componente soggettiva del reato, componente oggettiva, imputabilità, qualificazione giuridica del fatto, etc[8].
Anche il legislatore, sulla scia della Galtelli, è recentemente intervenuto sul tema e, segnatamente, con la riforma Orlando[9] che ha novellato l’art. 581, comma 1, c.p.p. andando ad aggiungere allo stesso le parole “a pena di inammissibilità” il che era in realtà già ricavabile dall’art. 591, comma 1, lett. c) c.p.p. L’intento è stato evidentemente rafforzativo e tendente ad enfatizzare la specificità dei capi e dei punti in funzione del vaglio di ammissibilità che l’atto d’appello è chiamato a superare[10].
- Differenza fra specificità intrinseca ed estrinseca
Altro tema di grande spessore sul quale la pronuncia in esame si è espressa è la vexata quaestio sulla specificità intrinseca ed estrinseca. La “specificità intrinseca” è costituita dal delineare analiticamente ogni capo e punto della sentenza di primo grado che si intende sottoporre al vaglio di un giudice superiore. Si ha invece la c.d. “genericità estrinseca” dei motivi di appello in assenza di “correlazione fra questi e le ragioni di fatto o di diritto su cui si basa la sentenza impugnata”[11].
L’intervento delle Sezioni Unite si è reso necessario in vista del contrasto giurisprudenziale che si era manifestato nella giurisprudenza di legittimità con particolare riguardo alla specificità estrinseca, dal momento che con riferimento alla specificità intrinseca la giurisprudenza aveva, per contro, una voce sostanzialmente all’unisono in quanto era generalmente condivisa l’opinione secondo cui è generico l’atto d’appello le cui censure sono generiche, astratte o non pertinenti al caso concreto[12].
Sulla specificità estrinseca, invece, si erano fatti largo prevalentemente due orientamenti: uno che la escludeva in tema di ammissibilità dell’atto d’appello e l’altro che sosteneva il contrario.
Più nel dettaglio, secondo il primo indirizzo ermeneutico non bisognerebbe intendere il vaglio di ammissibilità in termini troppo formalistici e non sarebbe, quindi, passibile di inammissibilità l’atto d’appello che pur non sottoponendo ad una puntuale critica la sentenza oggetto di gravame consente comunque di individuare i vari punti oggetto di critica con una lettura complessiva dell’atto d’appello di concerto con la sentenza appellata. Ciò anche alla luce del principio del favor impugationis e in ragione della differenziazione strutturale e funzionale dell’appello dal ricorso in Cassazione[13].
L’altro e opposto orientamento ha invece affermato l’esatta omogeneità della valutazione di ammissibilità fra giudizio d’appello e giudizio di legittimità. Secondo questa interpretazione, il giudizio di appello non sarebbe tanto da qualificare come un nuovo giudizio, bensì quale strumento di controllo dello ius dicere di primo grado e pertanto i motivi di gravame devono necessariamente agganciarsi direttamente alla sentenza ed ai relativi percorsi argomentativi (specificità estrinseca)[14].
Infatti, in tema di ricorso in Cassazione la giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito l’inammissibilità dello stesso laddove il ricorrente si limiti a riportare pedissequamente i motivi di appello completamente disattesi dal giudice di appello senza fare specifico riferimento alla sentenza di secondo grado: tali motivi sono da ritenersi del tutto apparenti perché non assolvono alla funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso[15].
Questa seconda impostazione, cui la sentenza in esame aderisce, è interessante perché dà fondamento logico e giuridico al principio di diritto che le Sezioni Unite ebbero ad affermare con la sentenza Galtelli e cioè che “l’appello (al pari del ricorso per cassazione) è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di diritto poste a fondamento della sentenza impugnata”[16].
Pertanto, le Sezioni Unite hanno aderito all’indirizzo più formalista che estende anche alla delibazione di ammissibilità dei giudici di appello un rigoroso vaglio di specificità estrinseca, non più relegato al solo ricorso in Cassazione e all’appello civile. Questa è la portata innovativa di questa importante pronuncia.
Inoltre, la sentenza in oggetto pur avendo ribadito che l’atto d’appello, a differenza del ricorso, è e rimane un mezzo di impugnazione a critica libera e non vincolata, ha evidenziato che esso deve rispettare i dettami degli artt. 581 e 591 c.p.p. i quali si riferiscono alle impugnazioni in generale[17] e, quindi, tanto all’appello quanto al giudizio di legittimità.
- Correlazione fra specificità della sentenza e specificità dell’atto d’appello
Nella stessa direzione si colloca la riforma Orlando che ha modificato l’art. 546, comma 1, lett. e) c.p.p. sui requisiti contenutistici della sentenza cogliendo quanto seminato dalla Galtelli. Invero, l’intervento modificatore ha ancor più stretto le viti in ambito di specificità della sentenza andando a prevedere in modo ben più analitico rispetto al previgente testo normativo l’indicazione dei criteri di valutazione della prova adottati con ciò delineando un modello legale di motivazione in fatto della decisione di merito decisamente più improntato ad una stretta specificità. La stessa sentenza Galtelli sottolinea infatti il collegamento logico e sistematico fra specificità della sentenza e specificità dell’atto d’appello[18].
- Profili pratici
In definitiva, si possono segnalare sostanzialmente due rilevanti precipitati pratici di questa sentenza.
Il primo è che, a ben vedere, la Suprema Corte ha spiegato che l’appellante nel redigere l’atto d’appello non può affatto limitarsi a sostenere “Y” se il giudice ha invece affermato “X” su di una determinata quaestio iuris, ma deve argomentare che “atteso che non può essere X, deve essere Y”. Il ragionamento è chiaro: l’impugnante non può impostare un motivo d’appello totalmente sganciato dalla sentenza appellata, ma deve sempre partire da quest’ultima, smentirla (“non X”: la pars destruens) e poi affermare un quid da essa differente (“Y”: la pars construens)[19]. Pertanto, il motivo di appello deve necessariamente porsi in dialettico confronto con l’impianto logico-argomentativo su cui si basa la sentenza nel motivare il capo ed il punto oggetto di specifica impugnazione[20] e solo dopo il superamento della delibazione di ammissibilità (“non X”) il giudice d’appello potrà giudicare sul merito di altre autonome ricostruzioni dedotte dalla difesa (“Y”)[21].
Il che può anche essere letto come il portato, oltre che della specificità estrinseca, della correlazione fra la specificità dell’atto di impugnazione con quella della sentenza.
La seconda conseguenza a livello pratico di queste Sezioni Unite è che, alla luce di quanto affermato dal supremo consesso e da quanto stabilito dalle recenti modifiche normative, risultano del tutto errate espressioni del tipo “avverso tutti i capi e punti della sentenza” nell’epigrafe dell’atto d’appello. Diversamente opinando ne risulterebbe del tutto svuotata la portata della sentenza Galtelli la quale ha chiosato non solo che vengano analiticamente indicati i capi e i punti (specificità intrinseca), ma anche la correlazione fra questi ed i precisi rilievi critici avverso gli argomenti logico-giuridici della sentenza oggetto di gravame (specificità estrinseca). Emerge ictu oculi che siffatta espressione postulerebbe un irrazionale ed irragionevole, se non paradossale, obbligo da parte dell’appellante di dolersi espressamente di ogni, senza eccezione alcuna, proposizione logico-argomentativa che il giudice ha posto a fondamento del dispositivo.
- Conclusioni
La sentenza Galtelli ha avuto il pregio di affermare con fermezza la necessità di rapportare la specificità estrinseca anche con l’atto d’appello oltre che con il ricorso in Cassazione.
A ben vedere, la specificità estrinseca ha radici ben profonde nella fisionomia del giudizio d’appello. Ciò in quanto il giudizio di secondo grado è un giudizio che riguarda non solo i motivi di appello (che attengono più al vaglio di ammissibilità), ma anche e soprattutto la sentenza di primo grado che ne costituisce l’oggetto di analisi[22]. Ne deriva che le Sezioni Unite hanno fatto buon governo dei criteri assiologici in materia in quanto non è logicamente e neppure accademicamente concepibile un atto d’appello le cui argomentazioni siano sganciate dalla sentenza impugnata. Se è vero che il giudizio di merito in Corte d’appello, all’esito della delibazione di ammissibilità, deve fondarsi sulla sentenza di primo grado non può negarsi l’imprescindibilità della specificità estrinseca, oltre a quella intrinseca, nell’atto d’appello.
[1] Cass. Pen. S.U., sentenza n. 8825, 22 febbraio 2017, in CED Cass., Rv. 235699.
[2] Mentre inizialmente (v. Relazione al progetto preliminare, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, VII, Roma, 1929, p. 102) sembrava condivisa dal ministro guardasigilli Alfredo Rocco l’impostazione prevalente in dottrina e cioè quella di mantenere l’appello un mezzo di gravame puro, così come nel codice di rito del 1913, venne introdotto nel progetto definitivo del codice del 1930 il principio del tantum devolutum quantum appellatum. Cfr., Relazione al progetto definitivo di un nuovo codice di procedura penale, in Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, X, cit., p. 74. Per un’attenta ricostruzione, v. A. Capone, Iura novit curia. Studio sulla riqualificazione giuridica del fatto nel processo penale, Cedam, Padova, 2010, p. 100.
[3] In senso analogo, C. Fiorio, Funzioni, caratteristiche ed ipotesi del giudizio d’appello, in Le impugnazioni penali, Vol. I, diretto da A. Gaito, Utet, Torino, 1998, p. 314 ss.
[4] Salve ovviamente le questioni rilevabili anche ex officio in ogni stato e grado del processo quali ad esempio le nullità assolute ovvero la concessione dei benefici di legge ex art. 597, comma 5, c.p.p. e i punti che, pur non essendo stati espressamente sollevati, si trovano in relazione di pregiudizialità, dipendenza, inscindibilità o connessione essenziale logico-giuridica con quelli oggetto di gravame. Su quest’ultimo punto in particolare, v. Cass. Pen. S.U., sentenza n. 1287219, gennaio 2017, in CED Cass., Rv. 269125; Cass. Pen. S.U., sentenza n. 10251, 17 ottobre 2006, in CED Cass., Rv. 235699.
[5] A differenza di quanto avveniva con il codice Rocco del 1930 ove vigeva il principio di libertà delle forme. Inoltre, l’ammissibilità in realtà si riferisce più al principio di legalità delle forme che non all’effetto devolutivo di cui si limita a delimitare il percorso, v. H. Belluta, Inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi: le Sezioni unite tra l’ovvio e il rivoluzionario. Commento a Cass., SSUU, sent. 27 ottobre 2016 (dep. 22 febbraio 2017), n. 8825, Pres. Canzio, Rel. Andronio, Ric. Galtelli, 22 marzo 2017, disponibile qui: , 2, p. 137. Più in generale, l’ammissibilità è stata letta in funzione della necessità di verificare il rispetto del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, v. A.A. Marandola, Le disposizioni generali, in a cura di G. S.pangher, Impugnazioni, vol. V, Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, Utet, Torino, 2009, p. 238.
[6] Così, Cass. Pen. S.U., sentenza n. 12602, 17 dicembre 2015, in CED Cass., Rv. 266818.
[7] Alcune sentenze dei giudici di legittimità a Sezioni Unite hanno, infatti, chiarito che “per capo si intende la statuizione emessa in relazione ad una incolpazione che assume autonomia rispetto ad altre parti (o capi) della decisione, tanto da poter costituire ex se oggetto di sentenza. In questi termini, Cass. Pen. S.U., sentenza n. 102519, marzo 2007, in CED Cass., Rv. 235697; Cass. Pen. S.U., sentenza n. 1, 19 gennaio 2000, in CED Cass., Rv. 216239.
[8] Il punto è invece “costituito da ogni singolo tema affrontato all’interno di un capo di decisione, relativamente all’accertamento del fatto storico, all’attribuzione di questo all’imputato, alla sua qualificazione giuridica, all’eventuale inesistenza di cause di giustificazione, all’elemento soggettivo e, nel caso di condanna, all’accertamento delle circostanza aggravanti ed attenuanti ed alla determinazione della pena”. Cfr., Cass. Pen. S.U., sentenza n. 10251, 9 marzo 2007, in CED Cass., Rv. 235697; Cass. Pen. S.U., sentenza n. 1, 19 gennaio 2000, in CED Cass., Rv. 216239.
[9] L. 23 giugno 2017, n. 103.
[10] Inoltre, secondo la giurisprudenza l’appellante ha l’onere di specificare le richieste principali e secondarie e quindi “non sono più consentite eventuali richieste subordinate inserite nel corpo dei motivi che devono, invece, essere chiaramente ed analiticamente espresse con riguardo alle circostanze; al giudizio di bilanciamento; alla determinazione della pena; ai benefici della sospensione condizionale e della non menzione; alla conversione della pena detentiva; alla confisca e alle altre misure di sicurezza”. Così, Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 34504, 25 maggio 2018, in CED Cass., Rv. 273778. Da questa impostazione sembrerebbe desumersi la necessità di specifici e distinti motivi di appello per ogni questione.
[11] § 5.1 del Considerato in diritto.
[12] Ex multis, Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 18746, 21 gennaio 2014, in CED Cass., Rv. 261094; Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 3721, 24 novembre 2015, in CED Cass., Rv. 265827.
[13] V. Cass. Pen. Sez. II, sentenza n. 6609, 3 dicembre 2013, in CED Cass, Rv. 258199; Cass. Pen. Sez. II, sentenza n. 36406, 27 giugno 2012, in CED Cass., Rv. 253983.
[14] Cfr., Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 13621, 6 febbraio 2003, in CED Cass., Rv. 227194. Più nel particolare, in un processo tendenzialmente accusatorio “basato sulla centralità del dibattimento di primo grado e sull’esigenza di un diretto apprezzamento della prova da parte del giudice nel momento della sua formazione, il giudizio di appello non può e non deve essere inteso come un giudizio a tutto campo”, così il § 7.3 del Considerato in diritto. In senso critico, vedasi H. Belluta, Inammissibilità dell’appello per genericità dei motivi: le Sezioni unite tra l’ovvio e il rivoluzionario, cit., p. 140.
[15] Che è l’essenza della specificità estrinseca. In giurisprudenza, v. Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 8700, 21 gennaio 2013, in CED Cass., Rv. 254584; Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 20377, 11 marzo 2009, in CED Cass., Rv. 243838.
[16] § 9 del Considerato in diritto.
[17] Anche in ragione della loro collocazione topografica ossia all’interno del Titolo I rubricato “Disposizioni Generali” del Libro IX dedicato alle impugnazioni.
[18] “Sicché ad una motivazione articolata e specifica sui diversi elementi indicati dal legislatore dovrà necessariamente seguire un appello caratterizzato da analoga puntualità e specificità”. In questi termini, M.M. Turtur, L’appello e la specificità dei motivi di impugnazione, in Cass. pen., IV, 2018, p. 352. V. inoltre anche R. bricchetti, nota a Sez. un., 27 ottobre 2016, n. 8825, Galtelli, in Giuda dir., 2017, n. 13, p. 92.
[19] Ad esempio in caso di diversa qualificazione giuridica del fatto.
[20] “I motivi, per indirizzare realmente la decisione di riforma, devono contenere, seppure nelle linee essenziali, ragioni idonee a confutare e sovvertire, sul piano strutturale e logico, le valutazioni del primo giudice”. Così il § 7.3 del Considerato in diritto.
[21] Il requisito di specificità è soddisfatto se l’appellante precisa “tanto i motivi di dissenso dalla decisione appellata che l’oggetto della diversa deliberazione sollecitata presso il giudice del gravame”. Così, Cass. Pen. Sez. V, sentenza n. 34504, 25 maggio 2018, in CED Cass., Rv. 273778.
[22] H. Belluta, Sub art. 597, in G. Conso – G. Illuminati, Commentario breve al codice di procedura penale, II ed., Padova, 2015, p. 2646 ss. Quindi, l’elusione della specificità estrinseca non consente al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare correttamente il proprio sindacato, così M. Gialuz, Sub art. 581, in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda – G. Spangher, Ipsoa, Milano, 2010, p. 7100.