giovedì, Aprile 18, 2024
Diritto e Impresa

LA SOCIETA’ DI FATTO: DIFFERENZE CON LA SOCIETA’ IRREGOLARE, OCCULTA E APPARENTE.

Partendo dal presupposto che la società si costituisce per l’esercizio di un’attività economico-imprenditoriale in comune fra più persone secondo uno dei tipi che il legislatore ha stimato più idonei al raggiungimento di uno scopo lucrativo, mutualistico o consortile, bisogna sottolineare preliminarmente che dall’esegesi dell’art. 2247 c.c., norma definitoria del contratto di società, si ricava l’esistenza di un nucleo di elementi negoziali costanti, la cui indefettibilità prescinde dal tipo contrattuale. Essi sono: i soggetti; il conferimento e, dunque, la costituzione del fondo sociale, l’oggetto sociale e la causa. Orbene, occorre soffermarsi sulla forma che, a seconda dei casi, il contratto di società deve rivestire.

Com’è noto, mentre per le società di persone la costituzione della società è caratterizzata dalla massima semplicità formale e sostanziale, essendo requisito necessario e sufficiente solo la circostanza per cui, tra i soci, intercorra l’impegno reciproco di svolgere una data attività economica; viceversa, per le società di capitali e per le società mutualistiche la legge disegna una disciplina particolarmente rigorosa, prescrivendo, innanzi tutto e a pena di nullità, la redazione dell’atto costitutivo per atto pubblico notarile.

La regola della libertà di forma per le società personali è enucleabile dalla norma, dettata in tema di società semplice ma applicabile al genus delle società di persone, di cui all’art. 2251 c.c., a tenore della quale “il contratto non è soggetto a forme speciali, salve quelle richieste dalla natura dei beni conferiti”, coerentemente, peraltro, con quelle norme del codice civile che sono destinate a regolare la circolazione dei beni immobili o mobili registrati. Quanto si è finora detto significa, in pratica, che nelle società personali la forma scritta è indispensabile solo quando vengano conferiti dai soci, in proprietà o in godimento ultranovennale, beni immobili o altri diritti reali immobiliari.

Va da sé, dunque, che nelle società personali la volontà di far nascere una società può concretarsi tanto in un accordo verbale, tanto può ricavarsi da un comportamento concludente delle parti e, in quest’ultimo caso, si ha la società di fatto. A riguardo, la società di fatto può definirsi come quella società in cui due o più persone esercitano in comune un’attività economica, comportandosi di fatto come soci e realizzando nei contenuti la fattispecie descritta dall’art. 2247 c.c., senza, con ciò, aver stipulato alcun accordo espresso, scritto od orale che sia. E’ fuori dubbio la rilevanza pratica del fenomeno, ove, in più, si tenga conto che la società di fatto rappresenta, sulla scorta delle leggi relative alla “regolarizzazione”, il modo di atteggiarsi più diffuso delle società personali.

La semplicità sostanziale e l’effettiva assenza di prescrizioni analitiche in ordine al contenuto dell’atto costitutivo si concretano nell’affermazione della sufficienza dei requisiti generalmente stabiliti per ogni tipo di contratto: l’accordo di due o più soggetti, l’oggetto e la causa tipica, ex 2247 c.c., delle società lucrative che si concreta nell’alea comune dei guadagni e delle perdite, di talchè, tutti i sintomi devono evidenziare l’esistenza di un vincolo finalistico orientato alla produzione di un utile, la così detta affectio societaris.

La disciplina della società di fatto segue, in buona sostanza, lo schema di quella dettata per la società semplice, fermo restando che, ove la società di fatto eserciti un’attività commerciale e sia, quindi, una collettiva di fatto, permane la responsabilità illimitata e solidale dei soci nei rapporti con i terzi e si applicano, altresì, le norme connesse alla particolare natura dell’attività esercitata.

Ciò posto, per passare ad una più attenta disamina del fenomeno cui è connessa l’analisi dei criteri discretivi rispetto alla società irregolare, occulta e apparente; va innanzi tutto rilevato che mentre di società di fatto, di società occulta e di società apparente si può parlare con riguardo ad ogni tipo di società personale, alle sole società personali soggette ad iscrizione nel registro delle imprese può riferirsi il concetto di irregolarità. Di fatti, è irregolare quella società commerciale personale, (si vedano società in nome collettivo e in accomandita semplice), per la quale non siano state osservate le prescrizioni, contenute nei luoghi del codice, relative agli adempimenti pubblicitari.

In questi casi, poiché l’iscrizione nel registro delle imprese non ha efficacia costitutiva e dunque non è requisito cui l’ordinamento subordina l’acquisto della personalità giuridica come, viceversa, avviene per le società di capitali e le società mutualistiche, la mancata iscrizione non impedisce che la società venga ad esistenza per effetto della stipulazione del contratto, ma produce una parziale deviazione dalla disciplina applicabile al tipo della società in nome collettivo e in accomandita semplice.

Sicchè  società di fatto non è sinonimo di società irregolare: il primo concetto attiene ad un modo di manifestarsi della volontà attraverso cui la società viene gemmata, mentre il secondo, ontologicamente, attiene ad un modo di essere della società ricollegabile all’inosservanza di precise prescrizioni legislative. Nessuna fungibilità esiste poi tra società di fatto e società occulta.

Difatti, è occulta quella società nel cui contratto vi è l’espressa e concordata volontà dei soci che ogni rapporto con i terzi venga posto in essere per conto della società ma non in suo nome, per cui le operazioni sono compiute, quale imprenditore individuale da una persona i cui soci restano occulti ai terzi. Dunque, se non c’è contestazione alcuna circa il difetto di equivalenza tra società di fatto e società occulta, non pochi dubbi e contestazioni ha suscitato la figura della società apparente.

A riguardo e secondo l’impostazione giurisprudenziale, è apparente quella società in cui più persone operano nel mondo esterno in modo tale da ingenerare nei terzi la legittima convinzione circa l’esistenza fra loro di un vincolo sociale, ancorché  inesistente nei rapporti interni: la società apparente risulta esteriorizzata senza esistere. A riguardo, il tipo de quo ha prestato il fianco ad una serie di censure non solo perché è generalmente negato il diritto di cittadinanza al principio di apparenza come principio generale dell’ordinamento giuridico, ma anche, e soprattutto, per una sorta di incongruenza logica, di contraddizione in termini insita nella circostanza di considerare come esistente una società solo nei rapporti esterni e non già nei rapporti interni, da qui la dottrina prevalente arriva a negare l’apparenza come fatto costitutivo del vincolo sociale.

Ciò non toglie, tuttavia, che i terzi che abbiano fatto incolpevole affidamento sull’esistenza della società poi rivelatasi inesistente potranno agire sulla base delle norme ordinarie e cioè, a seconda delle opinioni, sulla base della tutela risarcitoria accordata ai terzi per fatto illecito, dall’art. 2043 c.c. o sulla base dell’art. 1398 c.c., rubricato “rappresentanza senza potere”, ove si legittimasse l’apparenza come requisito definitorio del tipo.

A ciò si aggiunga che la dimostrazione della società apparente sarà di preferenza affidata a prove testimoniali, poiché  si tratta di un soggetto che esiste più per i terzi che per i pretesi soci, con ciò, però, non si esclude che potranno essere rilevanti anche documenti, rendendosi così necessaria un’ulteriore specificazione: dovranno essere documenti dai quali non siano enunciabili elementi afferenti la costituzione o il funzionamento della società dovendosi trattare, altrimenti, di società di fatto e non di società apparente, ma di documenti da cui si evinca l’idoneità della situazione architettata a trarre in inganno i terzi circa la società, si pensi a riguardo ad un ordine per una fornitura, o ad una lettera, su carta intestata ad un socio e sottoscritta da un altro socio.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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