venerdì, Marzo 29, 2024
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La successione per rappresentazione

Nel nostro sistema successorio vige la regola della prossimità per grado, vale a dire che i parenti di grado prossimo escludono i parenti di grado più remoto. Tale regola, che vale solo per la vocazione diretta, è derogata dalla disciplina normativa sulla successione per rappresentazione, secondo cui in tutti i casi in cui l’ascendente non può o non vuole accettare l’eredità o il legato, subentrano nel luogo e nel grado di questi i suoi discendenti (ex art. 467 c.c.). Vi è la possibilità di succedere per rappresentazione nell’ipotesi, ad esempio, di premorienza del chiamato o nel caso in cui lo stesso rinunzi all’eredità o, altresì, sia indegno a succedere.

La rappresentazione è, dunque, un caso di vocazione indiretta in favore dei discendenti del chiamato e la relativa disciplina si applica sia alla successione legittima che alla successione testamentaria. L’art. 467, comma 2, c.c., dispone che nelle successioni testamentarie, il meccanismo della rappresentazione opera solo se il testatore non abbia già previsto un sostituto nel caso un chiamato non voglia o non possa accettare, quindi solo qualora non operi la successione per sostituzione.

L’art. 468 c.c. sui limiti soggettivi (tassativi) alla successione per rappresentazione stabilisce che i rappresentati possono essere, in linea retta, i discendenti dei figli (anche adottivi) e, in linea collaterale, i discendenti dei fratelli e sorelle del defunto.

La Cassazione, ripercorrendo i precedenti in materia e aderendo a un orientamento piuttosto restrittivo, con la Sentenza n. 22840/2009[1], ha chiarito l’ambito di applicazione dell’istituto della rappresentazione sia nella successione legittima che in quella testamentaria, affermando che esso è circoscritto dall’art. 468 c.c., nel senso che la rappresentazione ha luogo a favore dei discendenti del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto; ne consegue che sono esclusi dalla rappresentazione i discendenti del nipote ex filio e i discendenti ex frate.

Vale a dire, facendo degli esempi, che nel primo caso sono esclusi dalla successione per rappresentazione i discendenti qualora il de cuius è il nonno di chi non può o non vuole accettare l’eredità (o il legato); nel secondo, sono esclusi dalla successione per rappresentazione i discendenti qualora il de cuius è lo zio di chi non può o non vuole accettare l’eredità (il legato).

Alla luce di quanto detto, ci si è chiesti se – tornando all’esempio di cui sopra – serve la successione per rappresentazione per essere chiamati alla successione del nonno. Ebbene, anche se non ci fosse tale norma all’interno del nostro sistema successorio, nel caso il (primo) chiamato non possa o non voglia accettare, i nipoti – in qualità di legittimari – sarebbero destinati comunque a succedere al nonno.

La rilevanza sta nel fatto che i nipoti chiamati per rappresentazione alla successione del nonno, in quanto legittimari, devono imputare le donazioni e i legati fatti, senza espressa dispensa, al suo ascendente, ai sensi dell’art. 564, comma 3, c.c.

L’istituto della rappresentazione, così come disciplinato dagli artt. 467 e ss. c.c., ha subito nel tempo diverse importanti modifiche. Inizialmente, si escludeva dalla successione per rappresentazione i figli naturali del figlio o del fratello (o sorella) del de cuius, cioè i discendenti naturali (i nipoti) di quest’ultimo.

Successivamente, la Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 79/1969[2], ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 467 e del successivo art. 468, limitatamente alla parte in cui escludevano dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasciasse o non avesse discendenti legittimi.

A seguito di tale giudizio di legittimità della Corte Costituzionale, con la Legge 19 maggio 1975, n. 151, Riforma del diritto di famiglia, furono aggiunti i discendenti naturali fra i soggetti legittimati a succedere per rappresentazione.

Oggi, il D. Lgs. n. 154 del 2003, recante revisioni delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, ha deliberato il principio di un unico status di figlio, facendo venire meno la distinzione tra figli naturali e legittimi e ha altresì soppresso, in tutte le norme del codice, le parole che esprimevano tale differenziazione, modificando dunque anche la norma contenuta nell’art. 467 c.c. sulla rappresentazione.

La ratio dell’istituto della rappresentazione è da ricercarsi nell’esigenza di conservare il patrimonio all’interno della famiglia del de cuius e in particolare, secondo un orientamento in dottrina, in quella di tutelare l’intera stirpe del chiamato che non voglia o non possa accettare l’eredità, non già i singoli membri di questa, garantendone la discendenza; motivo per cui la rappresentazione – si ribadisce – è deroga alla regola generale e non è ammesso all’interprete di ampliare la cerchia dei rappresentati al di là dei limiti soggettivi legislativamente individuati.

Parimenti nel Code Civil del 1804, che si rifà alla tradizione giustinianea, si parla di presunzione d’affetto, in quanto la rappresentazione opera a favore dei soggetti a cui il de cuius era presumibilmente legato da un vincolo affettivo.

Inoltre, dietro la successione per rappresentazione c’è (c’era sicuramente in origine) un’opzione di carattere prettamente politico: se si dovessero ammettere alla successione più soggetti rispetto a quelli determinati in maniera tassativa dal legislatore, si consentirebbe una maggiore accessibilità alla proprietà privata e una maggiore distribuzione della stessa.

Tuttavia, con la collocazione della rappresentazione nelle disposizioni generali del Titolo I del Libro II delle successioni, tale istituto viene ad assumere una portata di carattere generale del diritto delle successioni.

Dott.ssa Vincenza D’Angelo 

[1] Cassazione civile, sez. II, 28/10/2009, n. 22840 in Diritto e Giustizia online 2009; Guida al diritto 2010, 1, 35; Riv. notariato 2010, 2, 488.

[2] Corte Costituzionale, 14/04/1969, (ud. 02/04/1969, dep. 14/04/1969), n. 79.

Dott.ssa Vincenza D'Angelo

Vincenza ha conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2016 presso l'Università degli Studi "Roma Tre", discutendo una Tesi in Diritto delle Successioni dal titolo "Liberalità indirette e tutela  dei legittimari". Ha svolto la pratica forense e collaborato proficuamente negli studi legali nell'ambito del diritto civile, occupandosi prevalentemente di contenzioso. Nel 2021 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della Professione forense. Contatti: vincenzadangelo@yahoo.it

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