venerdì, Marzo 29, 2024
Diritto e ImpresaTax Driver

La transazione fiscale: excursus normativo e lineamenti della riforma

a cura del Dott. Sabino Quercia

  1. Ricostruzione della fattispecie

Alla stregua della comune esperienza e dei rilievi statistici, la crisi di impresa porta nella sua genesi e nel suo sviluppo la sussistenza di una rilevante posizione debitoria nei confronti dell’Amministrazione finanziaria e degli Enti previdenziali per mancato adempimento di debiti fiscali e contributivi, sovente di ingente entità.

Basti pensare che i crediti dell’Erario e degli Enti previdenziali attualmente insinuati nei fallimenti, rappresentano quasi il 40% del totale ed ammontano a livello nazionale a 161 miliardi di euro con un soddisfacimento medio che risulta essere del 1,64%.[1]

L’istituto della transazione fiscale, introdotto timidamente in materia di procedure concorsuali a partire dagli inizi del 2000 e divenuto presto il principale strumento attraverso cui l’imprenditore in crisi può veder ripianata la propria posizione, rappresenta una particolare procedura “transattiva” tra Fisco e contribuente, collocata nel corpo del titolo III della L.F. in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione dei debiti, avente ad oggetto la possibilità di pagamento in misura ridotta e/o dilazionata del credito tributario privilegiato, oltre che chirografario.

La ratio sottesa all’istituto de quo si è evoluta nel corso del tempo, da misura finalizzata alla tutela degli interessi erariali,a meccanismo cardine nella ricerca di un contemperamento fra gli interessi degli operatori del mercato ed il Fisco.

In linea generale, la transazione, disciplinata all’art. 1956 c.c.[2], rappresenta un contratto tipico attraverso il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già instaurata o prevengono una lite che potrebbe sorgere.[3]

Se da un lato è evidente come nell’architettura codicistica l’accordo transattivo, permettendo di pervenire ad una soluzione bonaria della lite con conseguente risparmio delle spese legate all’incertezza del giudizio, rivesta una funzione di precipua importanza per le parti, è altrettanto evidente come la definizione offerta non possa adattarsi alla situazione sostanziale che caratterizza ab origine il rapporto giuridico sussistente fra contribuente ed Amministrazione finanziaria.

Difatti, il disposto dell’art. 1966 c.c.[4] individua quale requisito necessario del contratto di transazionela capacità delle parti di disporre dei diritti che formano oggetto della lite. La transazione è infatti nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti.

Orbene, tale circostanza assume rilievo dirimente in relazione alla transazione fiscale, la quale opera su un’obbligazione, quella per l’appunto tributaria che, rispondendo ad interessi non marcatamente privati, è per natura, oltre che per esplicito dettame costituzionale, indisponibile.

Per queste ragioni, l’orientamento dottrinale maggioritario ritiene di escludere la transazione fiscale dallo schema negoziale individuato dalla normativa civilistica e di inquadrarla nell’ambito di una diversa, atipica, figura di negozio solutorio, cioè di un accordo mediante il quale le parti del rapporto, essendo dubbia la realizzazione dell’intero credito, convengono il pagamento di un importo rideterminato inferiore, ma certo.

La natura, così approssimativamente dischiusa, della transazione fiscale offre lo spunto esegetico per farne emergere la coerenza con altri istituti tipici del diritto tributario, i c.d. “strumenti deflattivi del contenzioso”, attraverso i quali il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria resta in parte “eluso” a favore di una risoluzione concordata del debito erariale.

Nella specie, ad esempio, l’istituto dell’avviso di accertamento con adesione si presta a rendere noto come l’obbligazione tributaria, seppur rispondente ad interessi pubblici, possa essere in qualche modo gestita e trattata da parte dell’Amministrazione finanziaria stessa.

In sede di accertamento con adesione, infatti, per il tramite di una rimodulazione concordata della base imponibile, si arriva all’accertamento di un’imposta inferiore. Di conseguenza, seppur non intaccando l’obbligazione tributaria mediante un diretta riduzione dell’imposta, si giunge alla medesima situazione sostanziale attraverso una rimodulazione della base imponibile su cui si va a calcolare il tributo.

Il tentativo di individuare soluzioni innovative di composizione concordata delle esposizioni debitorie nei confronti del Fisco è sempre stato osteggiato dalla naturale riluttanza della stessa Amministrazione finanziaria, arroccata in posizioni conservative e marcatamente anacronistiche.

L’antecedente storico della transazione fiscale è rappresentato dall’istituto della c.d. “transazione dei ruoli”, introdotta dall’art. 3, co. III, del D.L. 8 Luglio 2002, n. 138[5] recante “Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree svantaggiate”.

La c.d. “transazione esattoriale”, esplicitamente delimitata nel suo ambito applicativo dalla stessa definizione, non era stata pensata dal legislatore quale meccanismo tipico di transazione in materia di procedure concorsuali, ma rappresentava uno strumento generalmente applicabile anche al di fuori di esse, in presenza della sola condizione della situazione di insolvenza del debitore.

Tuttavia, seppur l’istituto di nuovo conio ebbe il pregio di permettere all’Agenzia delle Entrate di procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo, i ristretti margini applicativi che connotavano la disciplina misero presto alla luce i limiti ad essa intrinseci, decretandone presto l’insuccesso.

Da un lato, infatti, la legittimazione attiva era stata attribuita dal legislatore alla sola Agenzia delle Entrate (con conseguente esclusione degli altri Enti impositori) e, da altro lato, la transazione avrebbe potuto operare nella sola ipotesi in cui essa si rilevasse “di maggiore economicità e proficuità rispetto all’attività di riscossione coattiva”.

D’altro canto gli evidenti limiti della disciplina non possono che essere considerati forieri della ratio ad essa sottostante, la quale non si riconosceva nella volontà di favorire il debitore in stato di crisi, ma si dipanava nella creazione di uno strumento, a disposizione dell’Amministrazione finanziaria, teso a potenziare l’attività di riscossione dei tributi e ad evitare (o far cessare) una controversia non più conveniente per l’Erario, rispetto all’accordo transattivo.[6]

  1. La Riforma del 2005

Il legislatore, con il D.Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5, nel più ampio contesto della legge delega n. 80/2005[7], ha concretizzato un primo intento riformatore della disciplina delle procedure concorsualiprocedendo, per quanto di nostro interesse, da un lato, all’abrogazione della disciplina della c.d. “transazione dei ruoli”[8]e, da altro lato, all’introduzione dello strumento della più generale “transazione fiscale”.

Si decise di non abrogare la Legge Fallimentare del 1942, ma di novellarla con vari interventi. Oltre ad un profilo di inesattezze varie, si instaurò agli albori della riforma un forte dissidio tra innovatori e conservatori, tra chi privilegiava il vecchio contenitore pur nell’interpretazione anche di nuove regole e chi seguiva la strada opposta e vedeva soltanto il nuovo. Esito di questa diatriba è stato una litania ininterrotta di decreti correttivi, spesso particolarmente significativi nell’architettura legislativa (basti pensare a titolo di esempio agli interventi per facilitare i concordati in continuità aziendale, all’introduzione del silenzio assenso, successivamente corretta con il silenzio diniego, all’introduzione della possibilità di proposte concorrenti ed all’istituto totalmente diverso delle offerte concorrenti).

In ogni caso i motivi ispiratori della riforma e le finalità ad essa sottese erano chiaramente espressi nella Relazione illustrativa ove si riportavano i limiti di una previgente disciplina che, arroccandosi in finalità essenzialmente liquidatorie alla ricerca di una marcata tutela del ceto creditorio, determinava “un completo spossessamento del patrimonio del debitore che viene posto in un’assoluta incapacità di disporre”.

In tal modo il legislatore apriva le porte ad una riforma avente fra gli obiettivi un adeguamento della normativa interna agli standard europei che, da tempo, avevano abbandonato le vetuste finalità sanzionatorie delle procedure concorsuali in un’ottica di una “maggiore sensibilità” per la conservazione dei beni produttivi e dei livelli occupazionali, cercando di assicurare, fin dove possibile, la sopravvivenza dell’impresa.

È dunque in questo mutato panorama che il legislatore introduce all’art. 182-ter L. Fall., come anticipato, una “nuova” transazione fiscale, predisposta al fine di addivenire, nel solo concordato preventivo di cui all’art. 160 L. Fall., ad un accordo con il Fisco per ottenere il pagamento parziale ovvero dilazionato delle pretese tributare, nella prospettiva di un recupero dell’attività dell’impresa.

L’istituto de quo esprime chiaramente la volontà di potenziare le fattispecie consensuali nell’attuazione del prelievo, elidendo o attenuando[9] la tradizionale indisponibilità dell’obbligazione tributaria. Esso, tuttavia, diversamente da altre novità contenute nel D. Lgs. 5/2006, non ha incontrato grande favore tra il pubblico degli operatori, soprattutto a causa dei numerosi profili di incertezza.

Innanzitutto, nella sua prima formulazione l’ambito applicativo dell’art. 182-ter, seppur più ampio rispetto al suo predecessore, risultava comunque limitato, da un lato, alle ipotesi in cui si inserisse in un concordato preventivo e, da altro lato, ai “tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea”.

Oltre alla contestata ed esplicita esclusione dell’applicabilità dello stesso agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182 bis, le doglianze dei commentatori attenevano all’ammissibilità, o meno, di una proposta concordataria che prevedesse la falcidia dell’IVA e delle ritenute fiscali operate e non versate senza passare attraverso la transazione fiscale.

  1. Le successive riforme

Gli anni immediatamente successivi inaugurano l’inizio di un periodo di fervente attività normativa, in cui la preoccupazione del legislatore italiano era rappresentata primariamente dal tentativo di ampliamento dell’ambito di applicazione dell’istituto della transazione.

Per ovviare alle lacune che la disciplina sollevava  il legislatore, con D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169,[10] provvide a riscrivere l’ultimo comma dell’art. 182-ter, estendendo, a partire dal 1° gennaio 2008, l’operatività della transazione alle trattative che precedono gli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis.

La novella, inoltre, superando qualsivoglia interrogativo in ordine al rango dei crediti tributari falcidiabili, individuò espressamente, mediante l’inserimento di un ulteriore comma all’art. 160 L. Fall.,  la possibilità di determinare un pagamento in percentuale anche dei crediti fiscali privilegiati.

Successivamente il legislatore, intervenendo nuovamente sulla disciplina della transazione fiscale con il D.L. n. 185/2008 (c.d. decreto anticrisi)[11], convertito dalla L. n.2/2009, provvedeva ad estendere l’istituto de quo e, modificando il co. I dell’art. 182-ter L. Fall., ne ricomprendeva nel suo ambito applicativo le posizioni debitorie relative ai contributi previdenziali ed assistenziali.

La novella, inoltre, merita di essere ricordata per aver esplicitamente escluso la possibilità per le Amministrazioni finanziarie di transigere i debiti riguardanti l’imposta sul valore aggiunto, ammettendo unicamente la possibilità, in tal sede, di dilazionarne il pagamento. Deve sottolinearsi che, tuttavia, nonostante fosse esplicitamente previsto l’obbligo di pagare per l’intero il debito iva, le sanzioni, gli interessi di mora e le indennità continuavano ad essere oggetto di falcidia.

L’intenso lavoro normativo che ha interessato la transazione fiscale è proseguito nel 2010 con la manovra finanziaria approvata con D.L. n. 78/2010[12] e convertita con modificazioni nella L. n. 122/2010, che, intervenendo su vari aspetti dell’istituto, ne ha riscritto ulteriormente la disciplina.

Nello specifico la novella ha portato ad una modifica dell’art. 182-ter L. Fall. provvedendo, da un lato,a sancire l’esclusione delle ritenute operate e non versate dall’imprenditore dalla categoria dei crediti erariali falcidiabili e, da altro lato, ad inserire norme procedurali precipuamente inerenti alla transazione fiscale proposta nell’ambito degli accordi di ristrutturazione dei debiti, oltre che la previsione della revoca di diritto della transazione fiscale conclusa in sede accordi di ristrutturazione qualora il debitore non esegua integralmente il pagamento in favore delle Agenzie fiscali e degli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatoria, entro 90 giorni dalle scadenze previste.

  1. Sulla falcidiabilità del credito IVA

Un ulteriore intervento meritevole di appunto concerne la previsione del ricorso all’istituto anche per l’imprenditore agricolo che si trovi in uno stato di crisi o di insolvenza, introdotta dall’articolo 23, comma 43, del Decreto-legge n. 98/2011[13], recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria”, convertito con modificazioni in legge il 15 luglio 2011.

Come anticipato, l’originaria formulazione dell’art. 182-ter prevedeva che i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea fossero pagati integralmente, salva dilazione.

Tale esclusione dalla sfera applicativa della transazione fiscale ha generato un vivace dibattito circa la riconducibilità del credito IVA al novero dei predetti tributi.

Inizialmente, nel silenzio normativo, l’Agenzia delle Entrate con circolare n. 40 del 18 aprile 2008, ritenendo che il tributo fosse da ricomprendere le risorse proprie dell’UE, ne escludeva la falcidiabilità in sede concordataria.

Tale assunto, corroborato dall’interpretazione della normativa comunitaria[14], veniva confermato dal legislatore italiano, il quale, con il già citato D.L. n. 185/2008, prevedeva espressamente l’integrale adempimento del credito IVA, facendo salva solo l’eventuale dilazione. Sulla scia di tale interpretazione prese parte al dibattito la Suprema Corte di Cassazione che, sul punto, assumeva una posizione di netta chiusura: i crediti considerati risorse proprie dell’UE, devono necessariamente essere soddisfatti integralmente ed a prescindere dal ricorso alla transazione fiscale.[15]Ciò equivaleva ad introdurre, nell’ambito del concordato preventivo, quello che era stato efficacemente definito un “superprivilegio”, la cui affermata giustificabilità alla luce della normativa europea finiva per scricchiolare di fronte ad un’obiettiva analisi di quest’ultima.

Sul tema intervenne la stessa Corte Costituzionale che, con sentenza n. 225 del 25 luglio 2014, in considerazione del divieto per gli stati membri di rinunziare in modo generale ed indiscriminato all’esazione del tributo, sostenne la non sussistenza di alcun profilo di irragionevolezza della disciplina della legge fallimentare la quale,regolamentando diversamente il credito erariale IVA, riserva ad esso un trattamento necessariamente differenziato.

Pur essendosi formata nel corso del tempo un orientamento comune alle massime istituzioni, si inserì, nel variegato panorama delle modifiche normative, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, con la storica sentenza del 7 aprile 2016 nella causa C-564/2014, ritenendo facoltativo il ricorso alla transazione fiscale e la sua natura processuale,provvide ad affermarela compatibilità della falcidia dell’IVA nel concordato preventivocon la normativa comunitaria.

Secondo la Corte, i principi e le norme comunitarie non ostano ad una normativa nazionale che consenta all’imprenditore in stato di insolvenza di proporre una domanda di concordato preventivo al fine di saldare i propri debiti addivenendo ad una soddisfazione solo parziale del debito IVA, purché vi fosse l’attestazione di un esperto comprovante l’insussistenza di una miglior soddisfazione nell’ipotesi dell’alternativa liquidatoria.

Senza, pertanto, sconfessare il carattere generale del divieto di falcidia affermava che, non provvedendo le norme del concordato preventivo un adeguato sistema di controllo diretto ad impedire che i creditori privilegiati siano pagati in misura inferiore rispetto all’ipotesi del fallimento, non può ritenersi preclusa la falcidia dell’IVA.  È evidente come tale pronuncia abbia avuto importanti riflessi sulle successive determinazioni del legislatore, il quale con la L. 232/2016 ha provveduto a riscrivere il testo dell’art. 182-ter L.F[16] con decorrenza dal 1° gennaio 2017, recependo i principi comunitari e permettendo al debitore di ottenere, a determinate condizioni, anche la falcidia su crediti privilegiati come Iva, ritenute e contributi previdenziali.

La nuova formulazione della disposizione inoltre delinea più accuratamente le modalità di proposizione e chiarisce meglio che il pagamento ridotto o dilazionato dei tributi e contributi può essere proposto esclusivamente mediante proposta presentata con il piano di cui all’art. 160 L.F.  Ne consegue, in pratica, che la proposta, in caso di concordato preventivo, diviene un allegato del piano di concordato e dunque rappresenta una procedura endo-concorsuale; diversamentein caso di accordo di ristrutturazione resta come documento con propria autonomia negoziale.

Anche in materia di composizione della crisi di sovraindebitamento di cui alla L. 3/2012 il legislatore ha prescritto che riguardo ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può prevedere esclusivamente la dilazione dei pagamenti.  Seppur come visto, la predetta L. 232/2016 ha preso una posizione netta sul punto, il legislatore non ha provveduto a modificare  la normativa del sovraindebitamento. In materia è intervenuta la Corte Costituzionale con sentenza 29 novembre 2019 n. 245  dichiarando l’illegittimità dell’art. 7 comma 1 terzo periodo della legge 3/2012 limitatamente alle parole “all’imposta sul valore aggiunto” ed affermando che la differenza di disciplina che caratterizzava il concordato preventivo (per cui l’IVA era falcidiabile) e l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento (per cui non era possibile) dava luogo a disparità di trattamento ex art. 3 Cost.

  1. Verso una nuova crisi di impresa

Compiuto questo seppur breve excursus deve osservarsi come la frequenza degli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo ha generato rilevanti difficoltà applicative con evidenti conseguenze circa la formazione di indirizzi giurisprudenziali consolidati e con un incremento delle controversie pendenti, oltre che il rallentamento dei tempi di definizione delle procedure concorsuali.

Non può inoltre non tenersi in considerazione che le modifiche hanno operato sulla base normativa dal regio decreto 19 marzo 1942, n. 267, accentuando il divario tra le disposizioni riformate e quelle rimaste invariate, che risentono ancora di un’impostazione nata in un contesto temporale e politico ben lontano dall’attuale.

Di qui l’esigenza, largamente avvertita da tutti gli studiosi e dagli operatori del settore, di una riforma organica della materia che riporti ad una certa linearità l’intero sistema normativo e che abbracci tutte le varie ipotesi di regolazione della crisi previste nel nostro ordinamento, dalle procedure minori della disciplina del sovraindebitamento sino all’estremo opposto  e dunque alle ristrutturazioni delle grandi e grandissime imprese.

Le spinte riformatrici provenivano da più direzioni, oltre che dalla stessa Unione Europea che, a più riprese, aveva eccepito come un quadro normativo ben funzionante in materia di insolvenza debba considerarsi elemento essenziale per un contesto imprenditoriale sano, stante la sua capacità a sostenere gli scambi commerciali, gli investimenti e contribuisce a creare e mantenere posti di lavoro, aiutando le economie ad assorbire più facilmente i momenti di crisi e depressionegenerativi di elevati livelli di crediti deteriorati e disoccupazione.

Tale necessità si rende evidente nella Comunicazione del 12.12.12 ove si affermava che “la risposta europea alla crisi dovrebbe consistere nel creare un sistema efficiente di ristrutturazione e riorganizzazione delle imprese che permetta loro di sopravvivere alle crisi finanziarie, di operare in modo più efficace e, se necessario, di ripartire da zero”.

Tale orientamento è stato l’abbricco per l’emanazione della comunicazione del 12 marzo 2014 n. 135 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e dell’insolvenza che esprime ciò che può a ragione definirsi una prima chiara risposta dell’UE al fenomeno della crisi di impresa.

Per dare attuazione alla raccomandazione il 28 gennaio 2015 il ministro della giustizia nominava una qualificata commissione presieduta da Renato Rordorf e le assegnò termine al 31.12.15 per la predisposizione di un disegno di legge per la revisione delle norme in materia concorsuale.

L’intento non era quello di plasmare una disciplina imperitura, ma di declinare i principi generali e comuni all’intero fenomeno dell’insolvenza che guidino gli interpreti e gli operatori: in altre parole,riportare a linearità il sistema normativo italiano.

La commissione lavora ed arriva ad un progetto unitario, consegnandolo al governo per il suo deposito in Parlamento affinchè venga trasformato in legge delega. Nella specie il parlamento, pur promulgando la legge delega n. 157/2017, rimosse dal corpus normativo la disciplina ivi riservata per  l’amministrazione straordinaria, facendola divenire oggetto di un lavoro autonomo e facendo venir meno, di conseguenza, una delle anime fondanti di questo progetto: l’unitarietà delle procedure.

  1. Il nuovo trattamento dei debiti fiscali e previdenziali: la legislazione di emergenza

In attuazione della citata legge delega, è intervenuto il decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14 per la riforma della disciplina dell’insolvenza. Tale decreto ha riunito in un medesimo testo normativo la trattazione dei differenti istituti attualmente contenuti nella legge fallimentare ed in alcune leggi speciali, dando vita al Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Quest’ultimo può essere pacificamente rappresentato come espressione dell’esigenza, oramai indifferibile, di operare in modo sistematico ed organico la riforma della materia dell’insolvenza e delle procedure concorsuali.

Deve osservarsi che l’entrata in vigore della disciplina, originariamente prevista a decorrere dal 15 agosto 2020 ed applicabile con riferimento ai procedimenti avviati successivamente a tale data, è stata rinviata al 1 settembre 2021 in quanto, stante l’insorgere nel marzo 2020 della grave crisi epidemiologica da COVID-19, il legislatore ha ritenuto opportuno“che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine”.[17]

Infatti, se l’animus della riforma è rappresentato dal forte intento di risolvere il problema della crisi di impresa, prevenendo l’insorgere del dissesto irreversibile dell’imprenditore con l’inevitabile apertura della procedura di liquidazione, detto scopo sarebbe fortemente frustrato in uno scenario drammatico e di profonda congiuntura economica e finanziaria,con la conseguenza che il codice “finirebbe per mancare incolpevolmente il proprio traguardo”.

Tuttavia, nonostante il momentaneo rinvio dell’entrata in vigore della disciplina, il legislatore, al fine di individuare misure urgenti per il sostegno ed il rilancio dell’economia, è intervenuto in materia di transazione fiscale nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, anticipandodi fatto l’entrata in vigore della normativa ad essa riservata dal CCII.

Dunque, sul solco della normativa emergenziale volta a mitigare gli effetti delle restrizioni adottate per contenere i rischi di contagio, il legislatore, con  il decreto legge 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 2020, n. 159, ha apportato diverse modifiche alla legge fallimentare, proiettandone all’interno le disposizioni di cui agli artt. 48, comma 5, 63 e 88 del Codice della crisi d’impresa e prevedendo che le stesse, da un lato, entrino in vigore dal 4 dicembre 2020 e, da altro lato, possano essere applicate dai Tribunali anche per le procedure pendenti.

La novità è così rilevante che a pochi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta della legge 159/2020, l’Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore Dott. Ruffini, ha emanato la circolare 34/E del 29.12.2020 avente ad oggetto la “gestione delle proposte di transazione fiscale nelle procedure di composizione della crisi di impresa”.

Il cuore della riforma è rappresentato dalla possibilità di stralciare debiti erariali e previdenziali senza che sia necessario attendere l’adesione (negli accordi di ristrutturazione) o il voto (nel concordato preventivo) dell’Amministrazione finanziaria o degli Enti previdenziali[18]. In altre parole, il legislatore, attribuisce al Tribunale, secondo il sistema del c.d. “cram down”[19], il potere di superare le resistenze degli Enti gestori di tali crediti e procedere all’omologa alle condizioni:

  1. che l’adesione, ovvero il voto, sia determinante al fine del raggiungimento, da un lato, delle percentuali del 60% per gli accordi di ristrutturazione dei debiti ovvero, da altro lato, delle maggioranze stabilite dall’art. 177 L.F.[20];
  2. che il soddisfacimento dei crediti fiscali offerto dall’impresa debitrice sia, anche sulla base delle risultanze dell’attestazione resa da un professionista indipendente, più conveniente di quello derivante dall’alternativa liquidatoria.

Deve osservarsi che se, da un lato, la ricorrenza del requisito sub i) risulta particolarmente agevole per il Tribunale, risolvendosi in una mera operazione aritmetica fra il totale dei crediti ed il valore dei crediti oggetto di transazione, da altro lato, la prova della maggior convenienza della proposta transattiva rispetto alla alternativa liquidatoria può rivelarsi particolarmente ardua, oltre che delicata.

Tale circostanza rende evidente il perché gli interventi legislativi hanno progressivamente assegnato ai professionisti che attestano la veridicità dei dati aziendali e l’attuabilità dell’accordo (i c.d. “attestatori) un ruolo sempre più centrale, individuando con attenzione precisi requisiti di indipendenza e professionalità nonchéfocalizzando l’attenzione sul particolare contenuto che l’attestazione deve avere.

La rilevanza del giudizio sulla convenienza della proposta e, conseguentemente, la delicatezza degli adempimenti dell’attestatore, sono stati sottolineati dalla stessa Amministrazione finanziarie che, con la citata circolare, hanno precisato come il fulcro del procedimento argomentativo che porta a ritenere accogliibile una proposta di trattamento del credito tributario deve essere incentrato sulla maggiore, o minore, convenienza economica della stessa rispetto all’alternativa liquidatoria”.

Risulta pertanto evidente come l’accoglimento o meno della proposta sarà fortemente condizionato dalla capacita dell’impresa, e soprattutto dell’attestatore, di dimostrare, motivare e periziare, il vantaggio che la proposta comporta nel soddisfacimento dell’Amministrazione finanziaria o degli Enti previdenziali rispetto l’alternativa liquidatoria.

Un’ulteriore novità in materia di transazione fiscale concerne specificatamente la disciplina della composizione della crisi di sovraindebitamento, attualmente contenuta nella L. 3/2012.

Con la legge di conversione del decreto legge 28 ottobre 2020, n. 137 (c.d. decreto Ristori) il Parlamento ha deciso di introdurre norme di semplificazione in materia di accesso alle procedure di sovraindebitamento per le imprese e i consumatori di cui alla legge 27 gennaio 2012, n. 3, anticipandoanche in quest’ipotesi alcune delle norme già previste nell’ambito del CCII.

Fra le varie norme entrate in vigore, tese certamente ad un potenziamento delle procedure (basti pensare alla disciplina del sovraindebitamento familiare) il legislatore, mutuando le norme in materia di trattamento dei crediti tributari e previdenziali già esaminate, ha introdotto un potere sostitutivo del giudice analogo a quello previsto nelle procedure maggiori.

In altre parole la novella, arricchendo l’art. 12 con un comma 3-quater, ha descritto la possibilità per il Tribunale di procedere all’omologa dell’accordo di composizione della crisi in mancanza di adesione da parte dell’Amministrazione finanziaria al ricorrere delle condizioni già introdotte nelle procedure maggiori e dunque:

  1. quando l’adesione è decisiva al raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 11, co. 2 (creditori rappresentanti almeno il 60% percento dei crediti) e,
  2. quando, sulla base delle risultanze dell’organismo di composizione della crisi, la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto l’alternativa liquidatoria.

[1] ROCCA G. N. e DI FALCO A.: “il nuovo trattamento dei crediti tributari e contributivisecondo il codice della crisi e dell’insolvenza”, ODEC, 2020.

[2]  Si veda l’art. 1965 c.c., rubricato “Nozione”, ai sensi del quale: “1. La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.2. Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti”.

[3] FRANCESCHELLI, V. “Introduzione al diritto privato”, 2000, Milano, p. 1066.

[4] Si veda l’art. 1966 c.c., Rubricato “Capacità a transigere e disponibilità dei diritti”, ai sensi del quale “1. Per transigere le parti devono avere la capacità di disporre dei diritti che formano oggetto della lite. 2.. La transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti”.

[5] Ai sensi dell’art. 3, co. III, del D.L. 8 Luglio 2002, n. 138, convertito con la L. 8 agosto 2002, n 178: “L’Agenzia delle entrate può procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo dai propri uffici per importi complessivamente superiori a euro 1,5 milioni ed il cui gettito è di esclusiva spettanza dello Stato, in caso di accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alla attività di riscossione coattiva, con atto approvato dal Direttore dell’Agenzia su conforme parere obbligatorio della Commissione consultiva per la riscossione, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, acquisiti altresì gli altri pareri obbligatoriamente prescritti dalle vigenti disposizioni di legge. I pareri si intendono rilasciati con esito favorevole decorsi 45 giorni dalla data di ricevimento della richiesta, se non pronunciati espressamente nel termine predetto. La transazione può comportare la dilazione del pagamento delle somme iscritte a ruolo anche a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di cui all’articolo 19, commi 1 e 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602”

[6] M.T. CARDILLO, La transazione fiscale: problemi e possibili soluzioni, Foggia, 2012;

[7] Si veda l’art. 1, co. V, della L. 14 maggio 2005 n. 80, ai sensi del quale: “Il Governo è delegato ad adottare, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con l’osservanza dei princìpi e dei criteri direttivi di cui al comma 6, uno o più decreti legislativi recanti la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. La riforma, nel rispetto ed in coerenza con la normativa comunitaria e in conformità ai princìpi e ai criteri direttivi di cui al comma 6, realizza il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti, nonchè la riconduzione della disciplina della transazione in sede fiscale per insolvenza o assoggettamento a procedure concorsuali al concordato preventivo come disciplinato in attuazione della presente legge. I decreti legislativi previsti dal presente comma sono adottati su proposta del Ministro della giustizia e del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive, e successivamente trasmessi al Parlamento, ai fini dell’espressione dei pareri da parte delle Commissioni competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario che sono resi entro il termine di trenta giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale i decreti sono emanati anche in mancanza dei pareri. Qualora detto termine venga a scadere nei trenta giorni antecedenti allo spirare del termine previsto dal primo periodo del presente comma o successivamente, la scadenza di quest’ultimo è prorogata di sessanta giorni”.

[8] Si veda l’art. 151 del D.Lgs. 9 gennaio 2006 n. 5 ai sensi del quale “L’articolo 3, comma 3, del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, è abrogato”.

[9] M. ALLENA, La transazione fiscale nell’ordinamento tributario, Milano, 2017.

[10] Nella Relazione illustrativa del D.Lgs. n. 169 del 2007, si affermava che “La necessità di apportare delle modifiche al decreto legislativo n. 5 del 2006 è emersa sin dai primi mesi di applicazione delle nuove norme, atteso che dottrina e giurisprudenza hanno evidenziato numerosi aspetti critici e problematici della ‘riforma organica’ delle procedure concorsuali, i quali non possono che essere superati attraverso gli interventi correttivi ed integrativi previsti dal presente decreto”.

[11] Si veda l’art. 32, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale” (c.d. decreto anticrisi), convertito, con modificazioni dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2.

[12] Si veda l’art. 29 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio  2010, n. 122.

[13]La disposizione di cui all’art.23, comma 43, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, pubblicata in GU n. 155 del 6/07/2011, sancisce, infatti, che “In attesa di una revisione complessiva della disciplina dell’imprenditore agricolo in crisi e del coordinamento delle disposizioni in materia, gli imprenditori agricoli in stato di crisi o di insolvenza possono accedere alle procedure di cui agli articoli 182-bis e 182-ter del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, come modificato da ultimo dall’articolo 32, commi 5 e 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2”.

[14] Si veda la circolare dell’Agenzia delle Entrate del 18 aprile 2008 secondo cui: “Per quanto concerne l’IVA, si osserva che l’ottavo considerando della Direttiva CE del 28 novembre 2006 n. 112 afferma che in applicazione della decisione 2000/597/CE Euratom del Consiglio, del 29 settembre 2000 relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità Europee, il bilancio della Comunità, salvo altre entrate, è integralmente finanziato da risorse proprie della comunità. Dette risorse comprendono, tra l’altro, quelle provenienti dall’IVA, ottenute applicando un’aliquota comune (…). Tanto premesso e in attesa che si consolidi al riguardo l’orientamento della giurisprudenza, si invitano gli Uffici a escludere l’IVA dalle transazioni fiscali, fino a nuove disposizioni dello srivente”.

[15] Cass. n. 22931 e 22932 del 4.11.201; Cass. 16.5.2012, n. 7767

[16] Si veda l’art. 1, co. 81, della legge 11.12.2016 n. 232.

[17] Si veda l’articolo 5, rubricato “Differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14” del decreto legge 8 aprile 2020, n. 23 ove dispone che: «All’articolo 389 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, il comma 1 è sostituito dal seguente: 1. Il presente decreto entra in vigore il 1° settembre 2021, salvo quanto previsto al comma 2”.

[18] Nella specie:  – all’articolo 180, quarto comma, è stato aggiunto il seguente periodo: “Il tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di voto da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze di cui all’articolo 177 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui all’articolo 161, terzo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”; -all’articolo 182-bis, quarto comma, è stato aggiunto il seguente periodo: “Il tribunale omologa l’accordo anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”;

[19]GAMBI L. “Spunti sul cram down nella transazione fiscale”, in IlFallimentarista, 2020

[20] Si veda l’art. 177 L.F. secondo cui: “1. Il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi. Quando sono poste al voto più proposte di concordato ai sensi dell’articolo 175, quinto comma, si considera approvata la proposta che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto; in caso di parità, prevale quella del debitore o, in caso di parità fra proposte di creditori, quella presentata per prima. Quando nessuna delle proposte concorrenti poste al voto sia stata approvata con le maggioranze di cui al primo e secondo periodo del presente comma, il giudice delegato, con decreto da adottare entro trenta giorni dal termine di cui al quarto comma dell’articolo 178, rimette al voto la sola proposta che ha conseguito la maggioranza relativa dei crediti ammessi al voto, fissando il termine per la comunicazione ai creditori e il termine a partire dal quale i creditori, nei venti giorni successivi, possono far pervenire il proprio voto con le modalità previste dal predetto articolo. In ogni caso si applicano il primo e secondo periodo del presente comma. 2. I creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ancorché la garanzia sia contestata, dei quali la proposta di concordato prevede l’integrale pagamento, non hanno diritto al voto se non rinunciano in tutto od in parte al diritto di prelazione. Qualora i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca rinuncino in tutto o in parte alla prelazione, per la parte del credito non coperta dalla garanzia sono equiparati ai creditori chirografari; la rinuncia ha effetto ai soli fini del concordato. 3. I creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’articolo 160, la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito. 4. Sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, la società che controlla la società debitrice, le società da questa controllate e quelle sottoposte a comune controllo, nonché i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta di concordato”.

Lascia un commento