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La tutela civile avverso le pratiche di mutilazione genitale femminile

mutilazione

Le mutilazioni genitali femminili sono un fenomeno vasto e complesso, praticato principalmente in 28 paesi dell’Africa subsahariana. Si tratta di pratiche lesive della salute psichica e fisica di bambine e donne ad esse sottoposte che comportano come conseguenze rischi gravi ed irreversibili.

Data la loro diffusione anche nel territorio italiano, il 9 gennaio 2006 è entrata in vigore la l. 7/2006, anche nota come Legge Consolo, dal nome dell’On. Giuseppe Consolo, proponente e primo firmatario, recante “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”.  Essa pone una tutela in ambito penalistico per le vittime e, in particolare, realizza, in ottemperanza agli artt. 2, 3 e 32 Cost., l’obiettivo di dettare le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine.

Tuttavia, uno spiraglio di luce ai fini di una prossima disciplina anche in ambito civilistico,in tema di risarcimento del danno e di tutela dei minori, è rimasto aperto grazie alle norme della suddetta legge.

Ed è  proprio di questi due aspetti che oggi tratteremo.

La questione da affrontare concerne innanzitutto il risarcimento del danno. Va, cioè,  necessariamente sottolineata l’esigenza di tutelare le vittime attraverso un risarcimento del danno, permanente o temporaneo, ad esse prodotto dalle conseguenze delle MGF.
Risarcibile, in questo caso, è il danno biologico e preliminare al risarcimento del danno biologico è l’accertamento medico-legale circa l’esistenza di un nesso di causalità giuridicamente rilevante tra le predette pratiche e il pregiudizio arrecato a livello psico-somatico, ma, soprattutto, si tratta diun accertamento volto a valutare la transitorietà o la permanenza degli esiti stessi.

È indubbio che le diverse forme di MGF siano idonee a produrre nelle donne un nocumento sul piano organico, tenuto conto della tipologia lesiva, dell’età anagrafica della vittima e del fatto che le MGF non vengono quasi mai praticate in un ambiente sanitario, ma rimane vivo il problema di stabilizzare i postumi, soprattutto quelli di tipo psichico – che non vanno mai esclusi aprioristicamente – più difficili da accertare rispetto a quelli di tipo organico.
La questione, poi, coinvolge anche le bambine, spesso sottoposte a tali pratiche col consenso dei genitori. In ambito minorile, le MGF chiamano in causa sia il problema della valutazione della capacità genitoriale sia quello dell’eventuale affidamento della minore mutilata.
La base normativa da cui partire è rappresentata dagli artt. 330 e 333 c.c. .Al riguardo, l’art. 330 del Codice Civile, “Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli”, prevede che«il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tal caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore » ; l’art. 333 dello stesso codice, “Condotta del genitore pregiudizievole ai figli”, prevede che« quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma pare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento ».

Un ulteriore riferimento si rinviene nell’art. 2 della legge n. 184 del 4 maggio 1983[1], modificata dalla legge 19 ottobre 2015 n.173, il quale recita testualmente: « Il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, o ad una persona singola, o ad una comunità di tipo familiare, al fine di assicurargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione. Ove non sia possibile un conveniente affidamento familiare, è consentito il ricovero del minore in un istituto di assistenza pubblico o privato, da realizzarsi di preferenza nell’ambito della regione di residenza del minore stesso ». Da un lato, il giudice minorile svolge una funzione di garanzia dei diritti dei minori e di controllo del comportamento degli adulti; dall’altro, però, nel caso delle MGF, può essere difficile intervenire tempestivamente, perché spesso vengono mutilate bambine molto giovani, magari nei paesi d’origine, poiché si tratta di pratiche proibite in Italia.

A questo punto occorre richiamare gli artt. 3 e 5 della Legge Consolo che assumono un ruolo fondamentale di prevenzione e di informazione. Gli articoli in questione sono finalizzati, rispettivamente, alla promozione di campagne informative e all’istituzione di un numero verde, per prevenire gli atti di mutilazioni e per assistere le vittime, ovvero per ricevere segnalazioni di tali reati. Quindi, se un genitore, o una coppia genitoriale, sottopone un minore a pratiche di MGF espressamente vietate in Italia, a tutela dello stesso può prospettarsi sia la revoca della potestà genitoriale, anche solo temporaneamente, sia l’eventuale affidamento della vittima ad un nucleo familiare nel quale possano essere tutelati i suoi diritti alla salute.

Ricorrendo a casi giurisprudenziali, possiamo menzionare l’episodio verificatosi in Italia nel 1997 riguardante una bambina nigeriana che aveva subito una mutilazione genitale in Nigeria; al rientro in Italia la bambina era stata ricoverata per un ascesso nella zona genitale. Il Tribunale minorile di Torino emise un provvedimento di allontanamento della bambina dai genitori, ma, dall’indagine che ne seguì, risultò una relazione familiare positiva. La mediatrice culturale a cui era stato affidato il caso, spiegò che per le consuetudini dell’etnia dei genitori le donne non sottoposte a MGF rischiavano di non trovare marito ed erano mal viste. La bambina venne quindi riaffidata ai genitori.
Da questo punto di vista, allora, l’intervento giudiziario sulla potestà genitoriale e sull’eventuale affidamento, anche solo temporaneo, della minore, costituisce una forma di tutela.

Infine deve essere presa in considerazione un’ultima risorsa giuridica : il d.lgs. 251/2007, attuativo della Direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta. In particolare, in occasione di una domanda di protezione internazionale di una donna nigeriana, la Corte di Appello di Catania[2]  ha definito la MGF “una forma di violenza, morale e materiale, discriminatoria di genere, legata cioè alla appartenenza al genere femminile”, e, come tale, riconducibile ai motivi di persecuzione rilevanti ai sensi del d.lgs. 251/07. Inoltre, dal momento che le MGF trovano origine in profonde tradizioni culturali o in credenze religiose, il rifiuto di sottoporre sé o le proprie figlie a tali pratiche espone la donna e le proprie figlie, al rischio concreto di essere considerate nel Paese di origine “un oppositore politico ovvero come un soggetto che si pone fuori dai modelli religiosi e dai valori sociali, e quindi essere perseguitata per tale motivo”. Pertanto la Corte conclude che sussistono i presupposti per riconoscere alla reclamante lo status di rifugiato, e ciò affinché possa sottrarsi alla violenza di genere e al trattamento discriminatorio che conseguirebbe al rifiuto di sottoporsi alla violenza stessa.

La questione, però, sembra tutt’altro che risolta ed è per questo che occorre intervenire sul piano civile e su quello minorile così da realizzare azioni sempre più mirate a proteggere le vittime di tali pratiche.

A cura di Alessia Docimo

[1]Il titolo è stato sostituito dall’.art 1 ex lege 28 marzo2001, n.149 in “Diritto del minore ad una famiglia”.

[2] Corte di Appello di  Catania Sentenza 27.11.2012

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