venerdì, Aprile 19, 2024
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La tutela delle donne nel diritto internazionale (parte I)

Premessa:  questo è il primo di una serie di articoli che mirano ad analizzare, da un punto di vista del diritto internazionale, la protezione dei diritti delle donne in varie macro-aree geografiche.

Introduzione: nozione di violenza di genere

La United Nations Economic Commission for Europe (UNECE) definisce la violenza sulle donne come un fenomeno endemico che non conosce limitazioni dovute a tempo o spazio; essa colpisce le donne in tutte le zone geografiche del mondo, indipendentemente dal ceto economico o dalla professione svolta.

La violenza di genere, definita dalla Convenzione di Istanbul come “qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato”, può essere (ed è stata de facto) svolta nella storia dell’umanità, nelle forme più crudeli e impensabili. Si possono citare le mutilazioni femminili cui sono sottoposte le donne africane (l’infibulazione), i matrimoni coatti, i matrimoni riparatori, la schiavitù sessuale, le “dowry death” (morte a causa della dote), le violenze sessuali nelle zone di conflitto armato, le violenze sessuali domestiche.

E’ una lunga lista, agghiacciante e spaventosa, che ha portato la dottrina internazionalistica a separare la tutela dei diritti umani per genere. E’, dunque, nata una vera e propria branca del diritto internazionale, che può essere definita come “tutela internazionale dei diritti umani delle donne”.

CEDAW

La CEDAW (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women) è il principale strumento internazionale disposto a tutela dei diritti delle donne e contro ogni forma di discriminazione e violenza di genere.

Entrato in vigore il 3 Settembre 1981, consta di un preambolo e 30 articoli. E’ stato ratificato da 189 paesi, tra cui non figurano gli Stati Uniti d’America; gli altri sei Stati membri dell’ONU che non hanno ratificato la Convenzione sono l’Iran, Nauru, Palau, Somalia, Sudan, Tonga. Questi ultimi hanno, tuttavia, firmato la convenzione, a differenza di alcuni stati islamici (Iran, Somalia, Sudan) e piccole nazioni insulari del Pacifico (Nauru, Palau, Tonga), oltre che Niue e Città del Vaticano che non hanno neppure acconsentito alla firma del trattato.

Passando all’analisi della convenzione, l’art. 1 merita particolare attenzione; tale disposizione, infatti, si impegna a formulare una nozione di discriminazione di genere che è risultata essere punto di riferimento per tutte le convezioni (locali o internazionali) che hanno succeduto.

« Ai fini della presente Convenzione, l’espressione “discriminazione contro le donne” indica qualsiasi distinzione, esclusione o limitazione effettuata sulla base del sesso che ha l’effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l’esercizio delle donne, indipendentemente dal loro stato civile, sulla base della parità di uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà e diritti fondamentali nel campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. »

E’ una formulazione completa e comprensiva del concetto di discriminazione, che non è limitato solamente al piano formale o giuridico, ma si estende a qualsiasi trattamento o condizione che, de facto,  impedisce alle donne di godere appieno dei loro diritti su base paritaria rispetto agli uomini. Ciò viene trascritto, per la prima volta, in un documento di portata internazionale e certifica l’esigenza di una società nella quale le donne godano della piena uguaglianza.

Tale disposizione si concretizza, poi, in una sorta di “catalogo”, presente nel testo normativo, che è volto alla completa abolizione della discriminazione di genere. Varie sono le disposizioni che possono essere citate:

  • art.2 che impone agli stati partecipanti di adottare tutte le misure necessarie per abolire la discriminazione di genere, tali misure includono : interventi legislativi, volti alla modifica di norme, ma anche costumi o pratiche, che costituiscono una violazione del principio di non discriminazione di genere;
  • art.3 che impone agli stati partecipanti di adottare tutte le misure, anche legislative, che garantiscano alle donne il libero accesso alla vita politica, civile e sociale del paese di origine;
  • art. 5, lettera a, che impone agli stati partecipanti di adottare tutte le misure volte ad abolire i modelli culturali basati su stereotipi che alimentano il pregiudizio di genere;
  • art. 6 volto alla soppressione del fenomeno della prostituzione che, talora, si traduce in una vera e propria tratta di schiave;
  • art. 7 che contiene diritto al voto equanime con il genere maschile;
  • art. 10 che sancisce il diritto ad ottenere un’ educazione ed una carriera non basate su discriminazione di genere;
  • art. 11 che enuncia il diritto ad ottenere mansioni lavorative, trattamento salariale e sicurezza sul lavoro non basate su discriminazione di genere;
  • art. 15 che stabilisce il diritto ad essere uguali, sia uomini che donne, dinnanzi alla legge.

Committee on the Elimination of Discrimination against Women

La sezione V (art. 17-22) della CEDAW, grazie all’attuazione di un protocollo addizionale alla convenzione, regola l’operato di una commissione il cui scopo è vigilare sull’attuazione dei diritti delle donne, enucleati nelle disposizioni antecedentemente esposte.

Questa committee è composta da 23 esperti in materia di diritti delle donne, provenienti da tutto il mondo. L’elezione di questi esperti viene proposta da tutti i paesi membri. Il voto è segreto e ogni stato può proporre solo un esperto (art.17 comma 2). La carica dura due anni, di volta in volta, prorogabili previa nuova elezione e nomina.

Lo scopo di questa commissione è vagliare le segnalazioni di abusi ai diritti delle donne . In particolare:

1) ricevere denunce, provenienti da singoli, gruppi di individui o altro stato partecipante alla convenzione, relative alla violazione dei diritti protetti dalla convenzione;

2) indagare sulla violazione sistematica di tali diritti all’interno degli stati partecipanti alla convenzione;

3) formulare raccomandazioni generali dirette direttamente agli stati, al fine di rimuovere la violazione dei diritti protetti dalla convenzione.

Altri strumenti internazionali

Meritano un ultimo accenno altre tipologie di strumenti di carattere internazionali; si può citare, ad esempio, la “Dichiarazione sulla eliminazione della violenza contro le donne” del 1993. Tale dichiarazione, più in particolare, richiede che gli stati aderenti tutelino le donne da un punto di vista penalistico, amministrativo e civilistico. O, ancora, la “Beijing Platform for Action” adottata a Pechino nel 1995 che invita gli stati partecipanti a implementare la propria legislazione per tutelare i diritti civili, politici, umani, delle donne.

Conclusioni

Mi sia concesso concludere con una considerazione personale. Lo scrivo da uomo: bisogna prendere atto che, quotidianamente, siamo influenzati da una retorica ed una cultura che tendono a stereotipare il ruolo uomo/donna.

Bisogna, altresì, comprendere che gli strumenti normativi non bastano: la norma non entra nelle case, nei comportamenti o nei costumi, la norma ha un effetto deterrente, che regola il comportamento esteriore per paura di una sanzione. Il processo di criminalizzazione può, dunque, sicuramente aiutare ad abolire il fenomeno più estremo di violenza, ma non abolisce quei microcorportamenti che assumiamo ogni giorno, figli di una cultura maschilista. Tali atteggiamenti vanno eliminati con l’educazione; soltanto insegnando ai giovani di domani, ma anche ai più “maturi” di oggi, che cosa sia l’uguaglianza di genere, potremo sperare in una società migliore: in una società in cui non siamo distinti in base al nostro sesso, ma siamo persone ugualmente degne di diritti e ugualmente destinatari di doveri.

 

Enrico Corduas

Classe 1993, laureato con lode in  giurisprudenza (Federico II) in diritto dell'energia con una tesi dal nome "Europa-Cina: politiche energetiche a confronto", frutto di un'esperienza di ricerca tesi a Shanghai (Koguan Law school). Attualmente svolge il tirocinio ex art 73 presso la Corte d'Appello di Napoli, I sezione penale.

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