Gli sviluppi della tutela giuridica dell’ambiente nel diritto costituzionale
a cura di Giada Conventi – Avvocato presso il Foro di Venezia
Per la rubrica “Di robusta Costituzione” di Ius in Itinere: La legge costituzionale 11 febbraio 2022 n. 1 recante “Modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente” ha introdotto “l’ambiente” nella Costituzione; in realtà la tutela dell’ambiente da tempo è stata promossa nell’ordinamento italiano, il contributo offre una sintetica ricostruzione delle tappe fondamentali dello sviluppo del diritto dell’ambiente come principio costituzionale, con un occhio ai nuovi sviluppi promossi dall’Agenda ONU 2030.
1 Dalla prima elaborazione sino all’avvento della Costituzione
Sotto il profilo giuridico, l’idea di tutela dell’ambiente appare come un concetto relativamente recente; ed infatti, è solo a partire dagli anni Ottanta che la sua definizione comincia a svilupparsi nel modo in cui oggi è intesa; anche se non è da escludere una sua considerazione, seppur a livello minore, all’interno del pensiero umano. Ciò detto, appare preliminarmente necessario individuare il concetto di ambiente ed i suoi caratteri. L’ambiente infatti è un concetto, prima di tutto, meta-giuridico e, come tale, descrittivo di una pluralità di fenomeni diversi tra loro per struttura e funzioni capace di essere sviluppato sotto molteplici accezioni: è ciò che determina le condizioni di esistenza di un soggetto, è lo spazio in cui la persona vive ed è l’insieme di condizioni alle quali si trovano sottoposti gli esseri viventi [[1]].
Una prima concezione di ambiente venne elaborata attorno agli anni Settanta da Massimo Severo Giannini, noto giurista e politico italiano, sulla scorta di un pensiero costruito attorno a tre fattori, ognuno dei quali caratterizzato da un’apposita disciplina settoriale.
Primo fra tutti, il c.d. “ambiente culturale”, inteso alla conservazione dei beni paesaggistici e culturali.
A seguire, il secondo fattore, il c.d. “ambiente ecologico”, incentrato sulla lotta all’inquinamento; ed infine, il c.d. “ambiente urbanistico”, in rapporto all’assetto territoriale.
La ratio di una così articolata definizione del concetto di ambiente trova fondamento all’interno di una prima fase di legislazione volta alla tutela ambientale e particolarmente frammentata. In un contesto più recente, sembra invece preferibile una concezione di ambiente che si potrebbe definire “sintetica”, ove lo stesso è inteso come un bene unitario costituzionalmente tutelato, come peraltro riconosciuto da parte della stessa Corte Costituzionale [[2]].
L’ambiente pertanto può essere riconosciuto senza dubbio come un bene unitario, comprensivo al suo interno, di molteplici componenti (agenti chimici, fisici, biologici e fattori sociali volti ad incidere sugli esseri viventi e attività umane), ciascuna delle quali è tutelabili singolarmente, ma che insieme costituisce un’unità fruibile dalla collettività e dai singoli.
Ciò brevemente argomentato e chiarito, appare ora opportuno un piccolo scorcio sulla via dei vari passaggi normativi che, nel tempo, hanno portato da una flebile tutela del bene giuridico ambiente sino alla tutela oggi nota.
Nel 1877, con la legge n. 3917 venne presa in considerazione una prima tutela del manto boschivo, attraverso una mediazione con chi ne rivendicava lo sfruttamento economico. Nello stesso periodo, si cercò di tutelare anche la pesca, ma senza nessun risultavo visibile. Successivamente, in un momento di forte sviluppo per l’industria italiana, dove la produzione era considerata vantaggiosa a scapito dell’ambiente, il governo Crispi con una legge del 1888, nell’ambito di una più generale riforma della sanità pubblica, introdusse il concetto di “industrie insalubri” regolandone l’attività. Alcuni anni dopo, nel 1913 vennero fondate due istituzioni, che risulteranno centrali per poter arrivare ad una concezione di tutela ambientale come oggi considerata: la Lega per la protezione dei monumenti naturali e il Comitato nazionale per la difesa del paesaggio e dei monumenti. Sulla stessa scia, nel 1922, grazie al primo movimento di protezione della natura in Italia guidato da Saverio Nitti, vennero approvate due leggi: la legge n. 778, finalizzata alla tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico; la legge n. 1497, volta alla protezione delle bellezze naturali. Oltre alle leggi del 1922, i risultati più importanti del movimento furono l’istituzione del Parco nazionale dell’Abruzzo e del Gran Paradiso. Nel dopoguerra, il bene giuridico ambiente trovò finalmente rilievo nella Costituzione attraverso il combinato disposto degli artt. 9 e 32. L’art. 9 fu dedicato alla disciplina del territorio attraverso una ricostruzione ampia del concetto di paesaggio; l’art. 32, come la norma posta a tutela dell’individuo e della collettività in una funzione anti inquinamento per la protezione della salubrità dell’ambiente e della salute. Con la legge n. 615 del 1966 proseguirono i propositi di tutela ambientale, in particolare riguardo all’inquinamento atmosferico, con la previsione di forme di contenimento delle emissioni, anche se con ampi margini di tolleranza. Un importante punto di svolta fu l’estesa e articolata relazione sulla situazione ambientale del paese curata dalla Tecneco, società del gruppo Eni, presentata in un convegno organizzato dal governo a Urbino nel 1973. Essa ha segnato la nascita della consapevolezza da parte delle Istituzioni e dei grandi Enti di un grave problema di degrado e di incuria, che colpiva sia le risorse naturali sia l’ambiente; e nondimeno, la presa d’atto che la crescita economica si stava accompagnando ad un inquinamento particolarmente grave – soprattutto nell’Italia settentrionale [[3]].
A partire dagli anni Settanta, cominciò invece a svilupparsi a livello internazionale l’idea della tutela ambientale e delle risorse naturali per le generazioni future; concretizzatasi poi con la dichiarazione di Stoccolma sull’ambiente adottata dall’Onu.
Nel 1976, di certo spicco è stato l’intervento della legge Merli (legge n. 319 del 1976), che conteneva delle direttive volte a conseguire un impiego più razionale delle acque, altresì regolando lo scarico delle acque reflue, imponendo, per determinate sostanze, dei valori limite; tuttavia, la legge non venne attuata prima dell’11 maggio 1999.
Con la legge Galasso del 1985 (legge n. 431 del 1985) intitolata “Disposizioni urgenti per la tutela delle zone di particolare interesse ambientale”, l’ambiente fu riconosciuto come un bene di interesse pubblico. Un anno più tardi, con la legge n. 3491 del 1986 si introdusse il concetto di area ad elevato rischio di crisi ambientale legata al problema dell’inquinamento.
Un vero e proprio punto di svolta, fu la nascita nel 1986 del Ministero dell’ambiente, che venne per la prima volta scorporato dal Ministero dei beni culturali. Negli anni successivi, con il decreto ministeriale n. 471 del 1999, lo stesso Ministero individuò ben 57 siti inquinati oggetto di interventi di interesse nazionale. In questo periodo prese poi il via la pubblicazione periodica dei c.d. rapporti Ambiente Italia realizzati dall’Istituto ambiente Italia e dei rapporti Ecomafia curati dall’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente. Nel 1989 venne emanata la legge n. 183 intitolata “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale per la difesa del suolo”, che introdusse degli interventi di carattere strutturale attraverso piani di bacino idrografico; questa legge affermò il principio per cui la pianificazione pubblica, per essere efficace, dovesse essere incentrata sulle questioni legate al territorio, piuttosto che su questioni meramente amministrative.
Tra il 1992 e il 1994 vennero emanate altre due importanti leggi, ossia: la legge n. 257, che mise al bando una delle sostanze più pericolose degli ultimi tempi, l’amianto [[4]]; la legge n. 36, nota come legge Galli, che si occupò delle acque pubbliche e della gestione delle risorse idriche, ed era finalizzata a ridurre l’impatto distruttivo del prelievo dell’acqua dalle falde acquifere.
Nel 1997 il decreto Ronchi mirò ad un’ampia riforma del settore rifiuti volto alla tutela ambientale e alla promozione della raccolta differenziata e al riciclo. Solo con il passare del tempo, grazie anche al contributo della giurisprudenza della Corte Costituzionale e al dibattito giuridico, venne elaborata una concezione di ambiente più ampia e globale che, nel 2001, venne recepita in Costituzione all’art. 117, mediante la nota riforma del Titolo V. Attraverso tale riforma venne elaborato un concetto che superava l’idea meramente estetica dell’ambiente e che andava nella direzione di una tutela verso l’ecosistema; tutto ciò in stretto collegamento con gli artt. 2, 3, 9 e 32 della stessa Costituzione.
In riferimento all’ art. 2 della Costituzione, l’ambiente venne infatti collegato per la prima volta ai diritti inviolabili dell’uomo.
L’art. 3 trova invece un legame tra la dignità sociale di tutti i cittadini e il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana; mentre con riferimento all’art. 32 il medesimo diritto viene congiunto alla tutela della salute dell’individuo e della collettività.
L’ambiente viene quindi riconosciuto, in modo esplicito, a livello costituzionale e ciò grazie al dettato dell’art. 117; spetta infatti allo Stato stabilire uno standard adeguato e uniforme di tutela: spetta alle Regioni, nell’ambito delle loro competenze, la possibilità di stabilire livelli di tutela più elevati, pur nel rispetto della disciplina statale [[5]].
2 Lo sviluppo della questione ambientale nella giurisprudenza della Corte costituzionale
Ad oggi è pacifico ed incontestato che il bene ambiente ha un valore costituzionale primario (Corte Cost., sent. n. 151 del 1986) e assoluto (Corte Cost., sent. n. 641 del 1987) a cui deve essere garantito un elevato livello di tutela.
Appare evidente però, che la Costituzione Italiana, prima della riforma del Titolo V del 2001, non menzionava in alcun modo l’ambiente tra i principi fondamentali e diritti dei cittadini. Lo stesso, prima del 2001, venne definito come un interesse di rilievo costituzionale e si ritagliò via via dei margini, solo attraverso alcuni riferimenti, più o meno ampi, all’interno della Costituzione; vedasi in relazione: all’urbanistica (ex art. 117 Cost.); al paesaggio (ex art. 9 Cost.); alla salute (ex art. 32 Cost.); all’iniziativa privata (ex art. 41 Cost.) e alla proprietà pubblica e privata (ex art. 42 Cost).
In particolare, il primo punto di svolta nella considerazione dell’ambiente come un autonomo bene di rilievo costituzionale arrivò attraverso due note pronunce della Corte di Cassazione, ove tramite il combinato disposto degli artt. 2, 3, 9 e 32 Cost. si arrivò a definire il concetto di “diritto all’ambiente salubre” [6]. La Corte di Cassazione rilevò un nesso tra la salute individuale e la salubrità ambientale; la salute non poteva prescindere dal contesto territoriale e ambientale, con la conseguenza diretta o indiretta, che ogni danno all’ambiente produceva una lesione della salute umana, individuale o collettiva. Questa interpretazione venne accolta dal legislatore italiano tramite il D.P.R. n. 616 del 1977, ove venne fatto riferimento all’art. 27, nell’oggetto dell’assistenza sanitaria, alla salubrità, igiene e sicurezza di ambienti di vita e di lavoro. Di grande rilevo fu l’evoluzione interpretativa della Corte costituzionale in tema di ambiente, che definii, da un lato, la tutela del paesaggio all’art. 9 cost., come tutela ecologica e interesse alla conservazione ambientale e, dall’altro, all’art. 32 Cost. la tutela alla salute come tutela dell’ambiente in cui l’uomo vive [7].
In riferimento a questa nuova concezione, la Corte costituzionale con la sentenza n. 210 del 22 maggio 1987 estese l’idea di ambiente alla conservazione, alla gestione e al miglioramento delle risorse naturali e alla preservazione delle specie animali, terrestri e marine. L’ampia opera di interpretazione posta in essere dalla Consulta è riuscita a fornire un quadro organico della materia; ed in particolare, nell’ambito della divisione delle competenze tra Stato e Regioni, in applicazione del flessibile principio di leale collaborazione.
In attuazione di tale principio, la Corte ha riconosciuto, da un lato, la potestà legislativa alle Regioni in tema di ambiente, quale materia trasversale rispetto alle altre di competenza regionale, dall’altro, la valenza statale, unitaria di tale materia con la possibilità di differenziazione regionale.
Pertanto, prima della riforma del Titolo V, la Consulta affermò la competenza legislativa generale statale e la competenza concorrente delle Regioni, che alla luce degli specifici interessi in gioco potevano intervenire in melius nella disciplina di tutela ambientale imposta dal legislatore statale. Finalmente, al termine di un lungo periodo di silenzio, nel 2001, con la riforma del Titolo V, l’art. 117 Cost. menzionò esplicitamente l’ambiente tra le materie costituzionalmente rilevanti. Venne introdotta, in questo senso, una rigida divisione tra le competenze esclusive dello Stato e le competenze concorrenti tra Stato e Regioni.
Nel dettaglio, l’art. 117 Cost., prevede la potestà legislativa esclusiva statale in materia di “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” e stabilisce la competenza concorrente tra Stato e Regioni in relazione alla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”.
In un primo momento, con l’introduzione del nuovo art. 117 Cost., l’idea di ambiente come valore trasversale ancorata al flessibile principio di leale collaborazione, sembrava essere messa in discussione; ad oggi invece, nonostante il rigido riparto di cui all’art. 117 Cost., la flessibilità pare riproporsi per il tramite del principio di sussidiarietà, in nome del quale è possibile dar voce sia alle esigenze di uniformità, che alle esigenze di differenziazione [8].
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 259 del 2004, ha confermato la sua continuità interpretativa della materia, tra la giurisprudenza antecedente il 2001 e quella successiva; tanto che, alcuni anni dopo, con la sentenza n. 104 del 2008 la stessa Corte ha continuato a sostenere la possibilità per le Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, di adottare norme di tutela ambientale più elevate, sempre nel rispetto dei limiti della disciplina statale.
Appare quindi legittimo, in linea col pensiero da sempre sostenuto dalla Corte costituzionale, una possibilità di deroga in melius del dettato statale a livello regionale, ciò in funzione di una maggiore protezione dell’interesse ambientale. Accanto al bene giuridico ambiente in senso unitario, possono coesistere beni giuridici aventi ad oggetto componenti o aspetti del bene ambiente, ma concernenti interessi diversi, giuridicamente tutelati; di fatto, la sua conservazione è disciplinata dallo Stato, mentre le sue utilizzazioni dalle Regioni [9].
3 I propositi della tutela ambientale nell’Agenda 2030 dell’ONU
Al giorno d’oggi, la politica di tutela ambientale trova sempre più rilievo, anche a causa del mutamento climatico e dell’effetto serra, e ciò con riferimento soprattutto alla legislazione sovranazionale, come peraltro già all’interno dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile dell’ONU. La predetta Agenda rappresenta infatti un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità ed è stato sottoscritto nel 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Tale programma comprende ben 17 Obiettivi (c.d. goals) per lo Sviluppo Sostenibile ed un grande programma d’azione per un totale di 169 targets o traguardi [10]. Tra i sopracitati “goals”, alcuni ricadono inevitabilmente all’interno della materia ambientale con ripercussioni pregnanti in tema di salute erga omnes. In particolare, si dà rilievo all’obiettivo n. 13 inerente alla lotta contro il cambiamento climatico. Tale obiettivo ha il precipuo scopo di adottare misure urgenti per combattere il mutamento climatico e le sue conseguenze. Tra i target e strumenti di attuazione si ricordano poi quello di rafforzare la resilienza e la capacità di adattamento ai rischi legati al clima e ai disastri naturali in tutti i paesi del mondo; quello di integrare nelle politiche, nelle strategie e nei piani nazionali le misure di contrasto ai cambiamenti climatici; nonché, l’obiettivo di migliorare l’istruzione, la sensibilizzazione e la capacità umana e istituzionale riguardo ai cambiamenti climatici in materia di mitigazione, adattamento, riduzione dell’impatto e di allerta precoce. Per di più, il goal n. 13 prevede di promuovere meccanismi per aumentare la capacità di una efficace pianificazione e gestione connesse al cambiamento climatico nei paesi meno sviluppati e nei piccoli Stati insulari in via di sviluppo concentrandosi, tra l’altro, sulle donne, i giovani e le comunità locali ed emarginate. Altro obiettivo che indiscutibilmente riguarda anche il bene ambiente è il n. 9, relativo alle imprese, l’innovazione e le infrastrutture. Sul punto, tra gli strumenti di attuazione vi è quello entro il 2030, di aggiornare le infrastrutture e ammodernare le industrie per renderle sostenibili, con maggiore efficienza delle risorse da utilizzare e una maggiore adozione di tecnologie pulite e rispettose, proprio, dell’ambiente e dei processi industriali, di modo che tutti i paesi intraprendano azioni in accordo con le loro rispettive capacità. Tra gli altri, ma non per ultimo, il fine di sostenere lo sviluppo della tecnologia domestica, la ricerca e l’innovazione nei paesi in via di sviluppo, anche assicurando un ambiente politico favorevole, tra le altre cose, alla diversificazione industriale e a conferire valore aggiunto alle materie prime. Infine, con riguardo al diritto alla salute, garantito ai cittadini sia all’interno della Costituzione italiana, sia all’interno della normativa europea ed internazionale, è lecito citare il goal n. 3, inerente alla salute e il benessere, al fine di assicurare per l’appunto, la salute e il benessere, a tutti i cittadini e a tutte le fasce d’età. Nello specifico l’Agenda si pone, entro il 2030, l’obiettivo di ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche e pericolose e da inquinamento ambientale e contaminazione di aria, acqua e suolo.
A conclusione, stando alla breve ricostruzione legislativa, dottrinale e giurisprudenziale in tema di ambiente sin qui riportata, non si può certamente non notare come, negli anni, un evidente salto di qualità sia stato fatto [11].
Vero è il passaggio da una prima visione del concetto di ambiente, quasi non tutelato ovvero ritrovante tutela attraverso una visione ab origine per lo più estetica e ad oggi, addirittura nella prospettiva di veri e propri goals proposti a livello sovranazionale.
Di certo, lo sviluppo riguardante la protezione del bene giuridico così inteso, sembrerebbe quantomeno procedere nella direzione giusta, ed il sentimento sociale appare notevolmente mutato in una prospettiva di maggior rispetto anche solamente a livello domestico.
Molto ancora rimane da fare, ma considerata l’origine, ove il benessere industriale appariva di notevole maggior interesse, oggi sembra, che anche sotto tale profilo, molte delle grandi multinazionali abbiano ben compreso che la tutela ambientale, lo sviluppo sociale ed economico possano procedere di pari passo.
[1] G. Pericu, Ambiente (tutela dell’) nel diritto amministrativo, in Digesto Disc., 1987.
[2] Corte Cost., sentenza n. 641, 30 dicembre 1987; Cass. Civ., Sez. II, sentenza n. 1046, 3 febbraio 1998; M. Pilloni, “La tutela ambientale: nuova tutela dei diritti umani”, 2022, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/la-tutela-ambientale-nuova-tutela-dei-diritti-umani-43467
[3] G. Corona, Breve storia dell’ambiente in Italia, edizione 2015.
[4] V. Droisi, “L’argomentazione del giudice tra diritto e processo» La gestione processuale della scienza controversa con specifico riguardo alle malattie…”, 2022, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/largomentazione-del-giudice-tra-diritto-e-processo-la-gestione-processuale-della-scienza-controversa-con-specifico-riguardo-alle-malattie-correlate-allesposizione-da-ami-41021; V. Gardi, “L’esposizione dei passeggeri alle sostanze tossiche: la tutela sancita dal diritto alla salute”, 2021, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/lesposizione-dei-passeggeri-alle-sostanze-tossiche-la-tutela-sancita-dal-diritto-alla-salute-39858
[5] Corte Cost., sentenza n. 61, 22 luglio 2009.
[6] Cass., Sez. un., sentenza n. 1463, 9 marzo 1979, in Riv. dir. proc., 1979, con nota di L. Zanuttigh, Diritto all’ambiente e tutela giurisdizionale, 4, pp. 720 ss.; cfr. F. Perna, “Il TAR Lazio sui rischi per la salute e l’ambiente dovuti all’uso dei telefoni mobili”, 2019, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/il-tar-lazio-sui-rischi-per-la-salute-e-lambiente-dovuti-alluso-dei-telefoni-mobili-18243
[7] Corte Cost., sentenza n. 430, 3 ottobre 1990; Corte Cost., sentenza n. 391, 11 luglio 1989; Corte Cost., sentenza n. 127, 16 marzo 1990.
[8] C. De Benetti, “L’ambiente nella giurisprudenza della Corte costituzionale: dalla leale collaborazione alla sussidiarietà”, 2002, disponibile qui: http://dirittoambiente.net/file/vari_articoli_14.pdf
[9] Corte Cost., sentenza n. 378, 14 novembre 2007.
[10] Risoluzione Assemblea Generale ONU (Agenda 2030), Trasformare il nostro mondo: Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, 25/09/2015, qui si rileva che: “[…] quest’Agenda è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità. Essa persegue inoltre il rafforzamento della pace universale in una maggiore libertà. Riconosciamo che sradicare la povertà in tutte le sue forme e dimensioni, inclusa la povertà estrema, è la più grande sfida globale ed un requisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile […]”.
[11] Cfr. V.A. Lovero, “Ambiente e Costituzione: panem et circenses?”, 2022, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/ambiente-e-costituzione-panem-et-circenses-41747; E. Corduas, ”Il ruolo del giurista e della legge nella grande sfida per la salvaguardia dell’ambiente”, 2017, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/ruolo-del-giurista-della-legge-nella-grande-sfida-la-salvaguardia-dellambiente-2342