La vendita di garanzia tra patto commissorio e patto marciano
Nel diritto romano il concetto di obbligazione indicava un vincolo materiale (nexum) che legava due soggetti e che poteva essere sciolto soltanto dal soggetto obbligato (obligatus) mediante la solutio, la quale corrispondeva ad una rottura del vincolo materiale suddetto.
Il nexum si configurava dunque come garanzia patrimoniale del credito, garanzia consistente nella persona stessa del debitore: difatti laddove l’obligatus non riuscisse ad estinguere il debito allora, di regola, tale inadempimento lo costringeva ad una schiavitù perpetua, legando sé stesso alla persona del creditore fin quando non fosse riuscito a pagare il riscatto[i].
Il termine “obbligazione” deriva dal verbo latino ob-ligare (legare a sé): oggi l’obbligazione non va più intesa nel senso di un vincolo materiale ma è da intendersi piuttosto quale vincolo giuridico tra due soggetti, in virtù del quale un soggetto (debitore o soggetto passivo) è tenuto ad un determinato comportamento verso un altro soggetto (creditore o soggetto attivo), comportamento volto a soddisfare un interesse patrimoniale o non patrimoniale del creditore stesso[ii].
L’art. 1174 cc indica la regola già detta secondo cui l’obbligazione deve corrispondere ad un interesse patrimoniale o non patrimoniale del creditore e in più individua un requisito della prestazione oggetto dell’obbligazione: la patrimonialità. La prestazione deve essere suscettibile di valutazione economica perché il carattere patrimoniale della prestazione rileva in caso di inadempimento della stessa: la valutabilità economica del bene o del servizio oggetto della prestazione consente al giudice di stabilire in concreto quanto spetti al creditore e, conseguentemente, di iniziare l’esecuzione.
L’ordinamento italiano impernia la responsabilità patrimoniale del debitore su tre principi generali:
- il principio della responsabilità patrimoniale generica e illimitata del debitore ex art. 2740 c.c., secondo cui il credito è garantito da tutto il patrimonio del debitore;
- il principio della par condicio creditorum ex art. 2741 c.c., secondo cui, in fase esecutiva, i creditori hanno diritto ad essere soddisfatti in modo proporzionale, salve le cause legittime di prelazione (si intendono qui i creditori prelazionari, che dunque vantano un privilegio, un pegno o una ipoteca e che dunque hanno diritto ad essere soddisfatti per primi e per l’intero limitatamente al bene gravato dalla garanzia specifica di cui sono titolari);
- il divieto del patto commissorio ex art. 2744 c.c.
- Il patto commissorio dell’art. 2744 c.c.
L’art. 2744 c.c. stabilisce “è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno“.
Un simile patto si pone in violazione della par condicio creditorum, perché il bene ipotecato o dato in pegno non subisce il filtro dell’esecuzione forzata, con la conseguenza che il creditore otterrebbe più di quanto gli spetti laddove il bene valga più della prestazione dovutagli. Per di più un simile accordo sottrae il bene agli altri creditori del medesimo debitore, che non potrebbero soddisfarsi sul valore residuo – come di norma previsto: per questi motivi, ciò che il legislatore vieta è prevedere in anticipo che, alla scadenza del termine di adempimento, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi automaticamente al creditore[iii], senza passare per il filtro giurisdizionale.
Accade spesso, nella prassi, che le parti tentino con vari espedienti di aggirare il divieto del patto commissorio ponendo in essere istituti come un mutuo, un contratto preliminare, una vendita con patto di riscatto, che nascondono le vere intenzioni delle parti e si risolvono in accordi simulati: tali accordi sono nulli per illiceità della causa.
Con la premessa che qualunque istituto giuridico può, in astratto, essere volto ad aggirare il patto commissorio, ci si vuole qui soffermare sulla vendita con patto di riscatto, che è stata oggetto di una recente pronuncia della Corte di Cassazione.
- I più recenti profili giurisprudenziali della vendita con patto di riscatto
La vendita con patto di riscatto è disciplinata dagli artt. 1500 ss. c.c.
Difatti, al contratto di compravendita può essere aggiunta una clausola di riscatto con cui il venditore conserva la facoltà, la possibilità, di riacquistare la proprietà della cosa venduta dietro restituzione del prezzo e delle spese (comprese quelle effettuate dall’acquirente per la riparazione della cosa e quelle che ne hanno aumentato il valore ex art. 1502 c.c.). Se le parti concordano, ai fini del riscatto, un prezzo maggiorato rispetto a quello stipulato per la vendita, allora tale patto è nullo per l’eccedenza (art. 1500 co. 2 c.c.).
La dichiarazione di riscatto è unilaterale e consiste – in altri termini – nell’esercizio di un diritto potestativo del venditore, azionabile nel termine perentorio previsto dal contratto: laddove il contratto nulla preveda al riguardo, allora il termine per il riscatto sarà di 2 anni per i beni mobili e di 5 anni per gli immobili; laddove invece le parti abbiano previsto un termine maggiore, allora esso si riduce a quello legale (art. 1501 c.c.).
Il riscatto legittimamente esercitato dal venditore ha una efficacia reale, con due ordini di conseguenze: innanzitutto, il bene si trasferisce automaticamente al venditore, non appena questi eserciti il riscatto stesso e dunque senza bisogno di nessun successivo atto di ritrasferimento. Altra conseguenza della realità del riscatto è data dalla sua opponibilità ai terzi acquirenti del bene (e sempre purchè il riscatto sia agli stessi opponibile ex art. 1504 c.c.). Si aggiunga inoltre che il bene riscattato torna al venditore libero da qualunque pegno o ipoteca costituita dall’acquirente, con solo obbligo per il venditore di mantenere le locazioni fatte senza frode per tre anni (art. 1505 c.c.).
La vendita con patto di riscatto ha generalmente uno scopo di garanzia: il venditore riceve liquidità immediata attraverso il prezzo pagato dall’acquirente, ma ha la possibilità di riappropriarsene restituendo il prezzo entro un dato termine. Ebbene l’alienazione a scopo di garanzia è di per sé lecita, tuttavia se le parti dovessero perseguire il diverso fine di eludere il divieto del patto commissorio (ex art. 2744 c.c.) allora il contratto sarebbe nullo per illiceità della causa. Difatti una simile vendita con patto di riscatto nasconderebbe un diverso accordo – illecito -, pensabile in termini di mutuo con patto commissorio: il venditore/debitore/mutuatario che non riesce a restituire il prezzo ricevuto – si tratta in realtà di un prestito – perde definitivamente la proprietà della cosa venduta, che passa all’acquirente/creditore/mutuante.
Si comprende allora che la cosa venduta, in realtà, costituisce una garanzia reale del credito che realizza un patto commissorio perché, anche qui, si accantona la via della tutela giurisdizionale e si realizza un passaggio di proprietà in frode alla legge. La frode, come sottolineato in più occasioni dalla Cassazione[iv], è data dalla sproporzione di valore esistente tra entità del debito e valore della cosa data in garanzia, in considerazione del fatto che il creditore potrebbe così ottenere più del valore del credito stesso.
Se dunque è vero che la vendita con scopo di garanzia è nulla laddove finisca per integrare un negozio in frode alla legge, urgono comunque alcune precisazioni perché non sempre questa affermazione è veritiera.
Con sentenza del 17 gennaio 2020 la Corte di Cassazione[v] si è soffermata sui profili di validità della vendita con patto di riscatto, in maniera tale da riconsiderarlo alla luce del divieto del patto commissorio e del patto marciano[vi].
La ricostruzione operata dai giudici di legittimità tiene conto di un particolare, una minuzia, che vale a differenziare il patto commissorio dal patto marciano, sì da rendere il primo illecito e il secondo lecito:
- il patto commissorio, come prima osservato, prevede il passaggio di proprietà del bene dal debitore al creditore in caso di inadempimento del contratto;
- il patto marciano invece, lecito sulla base di consolidata giurisprudenza[vii], prevede si il passaggio di proprietà del bene ma previa valutazione e stima dello stesso: in tal modo il creditore ottiene la proprietà del bene in caso di inadempimento ma è tenuto a versare al debitore l’eventuale differenza di valore esistente tra credito e bene dedotto in garanzia, così evitando una possibile appropriazione indebita da parte del creditore del surplus. Il patto marciano – che come noto è una figura atipica – fonda la sua liceità sulla figura del pegno irregolare ex art. 1851 cc, come ben spiegato nella sentenza in commento: la liceità del patto commissorio cui accede un patto marciano sta nell’analogia con il pegno irregolare (art. 1851 c.c.) il quale consente al creditore che abbia ricevuto in pegno cose fungibili di appropriarsene all’inadempimento del debitore restituendo però a quest’ultimo l’eccedenza di valore (tra le cose date in pegno e l’ammontare del debito). Il patto marciano, che come è noto non è figura tipica, persegue esattamente lo stesso scopo rispetto a beni non dati in pegno ma alienati in garanzia; ossia consente al creditore di appropriarsene restituendo al debitore la differenza di valore.
In questa prospettiva, nel gennaio 2020 la Cassazione ha stabilito che non sempre la vendita con riscatto che nasconde un mutuo garantito è nulla: bisogna operare una distinzione.
Il patto di riscatto in cui si dispone anche una valutazione, una stima del bene venduto (o quantomeno che contenga l’indicazione di criteri oggettivi e predefiniti al fine di tale quantificazione da effettuarsi concretamente al momento dell’inadempimento) è sicuramente degno di tutela, perché il contesto di una simile vendita con riscatto è volto a realizzare il giusto prezzo per il creditore senza rendere eccessivamente gravosa la posizione del debitore[viii].
Al contrario, se nessun criterio di stima è previsto dal contratto e contemporaneamente sia possibile evincere dall’accordo che la volontà delle parti contraenti è nel senso di realizzare un patto in frode alla legge, che attribuisca al creditore più del credito vantato e che sottragga tale surplus alla garanzia patrimoniale generica degli altri eventuali creditori, allora la vendita con scopo di garanzia è sicuramente nulla ex art. 1418 co. 2 c.c.
[i] Fonte e approfondimenti: https://it.wikipedia.org/wiki/Nexum
[ii] Bocchini Quadri, Diritto privato, edizione 2014.
[iii] Bocchini Quadri, Diritto privato, edizione 2014.
[iv] Cass., 20-7-2001, n. 9900; Cass., 8-2-2007, n. 2725; Cass., 9-5-2013, n. 10986.
[v] Corte di Cassazione, sez. III civile, 17-1-2020, n. 844 consultabile al seguente indirizzo web: http://images.go.wolterskluwer.com/Web/WoltersKluwer/%7B3102d2c8-ef29-4753-844f-9a0060d72b19%7D_cassazione-civile-sentenza-844-2020.pdf
[vi] Per ulteriori approfondimenti: https://www.altalex.com/documents/news/2020/02/05/vendita-a-scopo-di-garanzia-con-patto-marciano
[vii]Cass., 18-4-2003, n. 6293; Cass., 21-1-2005, n. 1273.
[viii] Come già precisato in Cass. n. 1625/2015, viene qui ribadito: occorre che la stipulazione preveda, per il caso ed al momento dell’inadempimento ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (cfr. art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà riferimento (cfr. art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purchè siano rispettati detti requisiti. L’essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perchè il surplus gli sarà senz’altro restituito.
Classe ’96.
Dopo aver conseguito la maturità classica, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli “Federico II” e nel maggio 2020 consegue la laurea cum laude, con tesi in Diritto Commerciale dal titolo “I limiti alla circolazione delle azioni e l’autonomia statutaria” sotto la guida del prof. G. Guizzi e della prof.ssa S. Serafini.
Ha svolto tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la VI sez. penale della Corte di Appello di Napoli.
Ha conseguito il master di II livello in ‘Diritto della PA’ presso l’Università degli studi di Torino, aa. 2020/21.
Si è abilitata all’esercizio della professione forense nella sessione 2021 presso la CdA Salerno.
E’ attualmente borsista presso l’Università degli studi di Napoli ‘Federico II’.