L’abito a misura UE della class action
Negli ultimi mesi, la Commissione Europea si è occupata di consumer protection: si tratta di un tema molto rilevante a livello comunitario la cui stagnazione, negli ultimi anni, ha costituito una semi-sconfitta per le istituzioni europee. Per esigenze di modernizzazione, l’11 aprile 2018 è stato presentato un articolato piano di riforma della relativa disciplina che, riprendendo – non senza una certa enfasi- il noto precedente rooseveltiano, è stato definito come “New deal for consumers”. La comunicazione è stata varata unitamente a due proposte di direttive, una finalizzata alla modifica di preesistenti strumenti di armonizzazione, l’altra relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.
Volendo porre l’attenzione su queste ultime, prima di tale proposta, la disciplina europea era ferma al 2013 quando, con la comunicazione COM-2013/401 della Commissione al Parlamento Europeo, erano stati presentati gli strumenti di c.d. “ricorso collettivo”, in linea con gli obiettivi politici dell’Unione di conservazione della competitività a livello globale e del mantenimento di un mercato unico, aperto e funzionante. Il documento in questione non aveva un valore vincolante, ma piuttosto, forniva linee guida di cui gli Stati Membri avrebbero dovuto tener conto nella disciplina di questi strumenti (e.g. la scelta orientata verso il meccanismo di inclusione volontaria nella classe, il c.d. opt-in, alla luce dei vantaggi che comporta rispetto, rispetto al c.d. opt-out, che invece appartiene alla tradizione giuridica della class action americana).
Nonostante questo, il quadro europeo, posto in evidenza dalla relazione sull’applicazione della Raccomandazione, è rimasto, in questi cinque anni, frastagliato e disomogeneo, con alcune “fughe in avanti” del Regno Unito (in materia di antitrust) e del Belgio che hanno introdotto meccanismi di opt-out, le cui prospettive di successo apparivano maggiori di quelle di strumenti quali l’action de group francese e dell’azione di classe italiana disciplinata dall’articolo 140bis del Codice del Consumo.
Questa mancata armonizzazione a livello comunitario si è mostrata, in tutta la propria debolezza, con il caso Dieselgate del 2015. La società automobilistica tedesca Volkswagen, infatti, aveva ammesso di aver truccato il motore delle sue auto diesel al momento dei test di omologazione in modo da farle risultare meno inquinanti. Mentre negli Stati Uniti, tuttavia, i consumatori americani con una class action avevano strappato generosi risarcimenti, nell’Unione Europea ciò era stato impossibile a causa della mancanza di uno strumento comune a tutti gli Stati Membri, i quali, in relazione a tale tematica, hanno sempre mostrato forti forme di protezionismo nei confronti delle loro imprese nazionali.
Su queste basi, la Commissione, nel “New Deal for consumers”, ha avanzato una proposta di Direttiva avente come oggetto un nuovo tipo di class action, parlando a tal proposito di “representative action, the European way”, in sostituzione della Direttiva 2009/22/EC (“Injuctions Directive”), con l’intento di creare un modello di risarcimento del danno collettivo che si allontani da quello statunitense e che sia adattabile alla tradizione giuridica del nostro continente. L’ambito di applicazione appare particolarmente vasto e comprende tanto le violazioni transfrontaliere, quanto quelle di portata nazionale, il che consentirà un affiancamento e non una sostituzione delle azioni collettive regolate da ciascuno Stato.
Se con la Direttiva 2009/22/CE, infatti, era stato possibile per entità qualificate designate dagli Stati Membri, come le organizzazioni dei consumatori o enti pubblici indipendenti, proporre azioni rappresentative allo scopo di fermare le violazioni sia nazionali che transfrontaliere del diritto dei consumatori dell’Unione Europea (quindi, con unica finalità inibitoria), l’obiettivo della proposta di riforma è quello di estendere tale possibilità al fine di consentire ai consumatori di ottenere veri e propri “provvedimenti di riparazione”: l’azione rappresentativa di natura risarcitoria, come delineata dalla proposta di direttiva, consente di ottenere altro rispetto al risarcimento monetario e cioè, inter alia, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto e il rimborso del prezzo pagato.
Al fine, poi, di evitare un abuso di tale azioni, la riforma comprende numerose garanzie. In particolare:
- Il monopolio della legittimazione ad agire spetta ad “enti qualificati”. Tali enti, in particolar modo, devono rispettare determinati requisiti reputazionali: devono essere no profit e devono avere un interesse giustificato nel garantire il rispetto delle normative europee (Articolo 4). A differenza degli Stati Uniti, così, non potranno presentare ricorso collettivo le società legali;
- Tali entità qualificate devono essere trasparenti in merito alle loro fonti di finanziamento al fine di consentire all’autorità giudiziaria o amministrativa di garantire che non vi siano conflitti interesse o rischi di abuso in un determinato caso e di valutare se il terzo disponga di risorse sufficienti per i suoi impegni finanziari nei confronti dell’entità qualificata in caso di fallimento dell’azione (Articolo 7);
- Il commerciante che ha commesso l’illecito è tenuto, a proprie spese, a informare i consumatori interessati in merito a qualsiasi decisione finale (ingiunzione, risarcimento ecc.), alle sue conseguenze giuridiche e, se del caso, i provvedimenti successivi che i consumatori finali devono adottare (Articolo 9);
- L’azione rappresentativa può essere proposta al giudice o all’autorità amministrativa competente di uno Stato Membro da diversi enti qualificati di diversi Stati Membri dell’Unione, che agiscono congiuntamente o rappresentati da un singolo ente qualificato, per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori di diversi Stati Membri dell’Unione. La proposta, tuttavia, sembra rimanere in silenzio in relazione alle norme sulla competenza giurisdizionale nel caso di controversie parallele dinanzi a giudici di Stati Membri differenti (Articolo 16).
La Direttiva inizierà ora il suo processo legislativo ordinario. Mentre esiste un consenso politico generale per garantire che otterrà la necessaria approvazione finale da parte dei due legislatori, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione Europa, vi è ancora spazio per molti emendamenti che possono meglio definire molti aspetti e che potrebbero ridurre o ampliare la libertà per gli Stati membri di sviluppare i dettagli del nuovo regime nei rispettivi ordinamenti giuridici nazionali. Una volta approvati e in vigore, gli Stati membri avranno diciotto mesi per adeguare le loro leggi procedurali nazionali e sostanziali per recepire tali norme.
Dottoressa in Giurisprudenza presso LUISS Guido Carli di Roma.
Profilo di specializzazione: “European Union Law and Regulation”.
Tesi in European Business Law, dal titolo: “Damages for infringement of EU Competition law rules”.