mercoledì, Marzo 27, 2024
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L’abuso del diritto: dalla giurisprudenza della CGUE al decreto 128/2015

Il tema dell’abuso del diritto è di notevole attualità e interesse, intersecandosi con la figura dell’elusione fiscale e con alcune fattispecie precedentemente trattate (Transfer Pricing, CFC).

Questo istituto nato in seno alla giurisprudenza e in particolare quella della CGUE è stato ora, per la prima volta, codificato dal nostro Legislatore con il Decreto 128/2015 che introduce l’art 10 bis alla L. 212/2000 (cd Statuto del contribuente), di fatto ponendo fine alla bipartizione elusione-abuso del diritto e creando una unica figura comprensiva di entrambe.

Prima di delineare la disciplina attuale e le ragioni della sua introduzione analizziamo il contesto in cui si colloca.

L’evoluzione normativa nell’ordinamento italiano prende le mosse dai comportamenti elusivi, ossia quei comportamenti che si collocano in una via di mezzo tra ciò che è lecito e ciò che è illecito. Il comportamento elusivo in particolare non consiste nella violazione di norme impositive (avremmo in tal caso vera e propria evasione) bensì in un aggiramento del precetto fiscale che permette di conseguire un risultato conforme alla lettera della legge non però alla ratio delle norme medesime. Si caratterizza per l’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale utilizzando in modo atipico istituti giuridici previsti per funzioni diverse.

La disciplina di questo fenomeno è stata affidata a una clausola “semigenerale” antielusiva in primis con L. 408/90 e successivamente con l’art 37 bis del DPR 600/73 (introdotto con L. 662/1996).

Il suddetto articolo prevedeva, nella sua formulazione originaria, l’inopponibilità “all’amministrazione finanziaria gli atti, i fatti e i negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e ad ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”, pur lasciando valido ed efficace il negozio giudico sotto il profilo civilistico.  Al terzo comma delimitava l’ambito di applicazione a determinate fattispecie tipiche.

In ambito internazionale, a partire dagli anni 90, si intensificano gli sforzi per prevenire la fuga di capitali all’estero. Ciò si concretizza in un approccio casistico volto a definire comportamenti elusivi-evasivi ben definiti  (disciplina del transfer pricing, deducibilità dei costi provenienti da stati o territori a fiscalità privilegiata, disciplina delle CFC).

Parallelamente alla figura tipizzata dell’elusione la Giurisprudenza del CGUE elabora il principio di abuso del diritto che, pur richiamato in alcune disposizioni contenute in direttive, è in realtà un principio immanente nell’ordinamento comunitario concretamente determinato nei contenuti e nella casistica dalla Corte di Giustizia. In particolare in ambito IVA è con la sentenza Halifax (C-255/02 del 21 febbraio 2006) che la Corte per la prima volta delinea l’abuso del diritto come l’ottenimento di “un vantaggio fiscale la cui concessione  sarebbe contraria all’obiettivo perseguito dalle disposizioni”; prevede inoltre che debba “risultare da un insieme di elementi oggettivi che lo scopo delle operazioni controverse è/sia essenzialmente l’ottenimento di un vantaggio fiscale”. Circoscritto dalla Corte solo alle imposte armonizzate viene fatto proprio dalla nostra Suprema Corte che, con le note sentenze SS.UU. 30055-30056-30057/2008, affermano l’esistenza di un principio generale antielusivo, così come determinato in ambito comunitario, rinvenendovi però un fondamento costituzionale nel principio di capacità contributiva (art. 53 Costituzione).

In questo quadro eterogeneo l’amministrazione e la giurisprudenza italiana hanno spesso fatto ricorso, più che agli strumenti tipici forniti dall’ordinamento, all’abuso del diritto creando un quadro generale di incertezza cui il legislatore cerca di porre rimedio con l’articolo 10 bis e abrogando il 37 bis.

Configurano quindi, ai sensi dell’art. 10 bis dello Statuto del Contribuente, abuso di diritto operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Il legislatore chiarisce che manca la sostanza economica quando “i fatti, gli atti, e i contratti, anche tra loro collegati”, sono “inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali”.

Come nella previgente disciplina si prevede l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria dell’operazione, caratteristica questa che consente di disconoscerne i vantaggi fiscali, ma senza compromettere gli effetti giuridici delle attività negoziali messe in atto.

Novità molto rilevante ai fini della individuazione concreta delle fattispecie è l’introduzione di indici di mancanza di sostanza economica e in particolare la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.

Il comma terzo prevede poi una clausola generale in forza della quale “Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.”

Vincenzo Caianiello

Studente di giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli. Appassionato di diritto commerciale e tributario internazionale. Amante della musica e della sua stratocaster. Attualmente in Erasmus presso Universitat Autónoma de Barcelona.

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