giovedì, Marzo 28, 2024
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L’accesso al Servizio universale come diritto fondamentale derivante dalla cittadinanza europea

Nella prima fase della produzione normativa europea, ad un’economia aperta e in concorrenza, fa da contraltare la necessità della previsione di strumenti per prevenire quelle condizioni di fallimenti di mercato per cui, in un regime di libera concorrenza volto alla massimizzazione dei profitti, si rilevino problemi o ritardi nella fornitura il servizio laddove questo cessi di essere economicamente conveniente per l’operatore.  Fulcro di tutte queste considerazioni è la nuova attenzione nei confronti del cittadino, la cui tutela esige che siano previste garanzie di accesso ai servizi ritenuti essenziali. L’esaltazione del mercato aperto e libero deve anche, necessariamente, cedere il passo agli interventi preposti alla tutela dell’utente di tali servizi, in quanto cittadino dell’Unione. Da ciò, l’identificazione di una serie di obblighi di pubblico servizio, aventi ad oggetto prestazioni che l’impresa, sulla base della mera convenienza economica, non svolgerebbe affatto ma che, tuttavia, divengono essenziale per il soddisfacimento degli interessi della collettività.

Questa nozione ha consentito di ritagliare uno spazio di fallimento del mercato che si è poi meglio consolidata nella nozione di “servizio universale”. Il servizio universale è in realtà un’espressione già conosciuta nell’ordinamento statunitense dall’inizio del ventesimo secolo nell’ambito della regolamentazione dei servizi di telecomunicazioni. L’espressione viene infatti utilizzata la prima volta nell’Annual Report della società americana di telecomunicazioni AT&T nel 1907, in cui l’allora presidente Theodore Vail dichiarò che il servizio fornito era basato sugli obiettivi del “one system, one policy, universal service”.

In realtà, il senso del discorso di Vail era parzialmente diverso da quanto ci si potrebbe attendere, in quanto il termine “universal service” era inteso non tanto ad estendere il servizio garantendolo a tutti i cittadini, quanto piuttosto ad assicurare che, nella situazione che si era venuta creando successivamente alla scadenza del brevetto depositato da Bell sul telefono, ovvero una pluralità di fornitori che non assicuravano la reciprocità del servizio, si superasse la mancanza di interconnessione tra le reti, assicurando così agli utenti l’interoperabilità dei servizi forniti dai vari operatori e di poter, quindi, comunicare liberamente con tutti gli altri fruitori del servizio di telefonia, superando il sistema di separazione tra le reti mediante mutua accessibilità.

Tale accessibilità risente, nei suoi tratti essenziali, della diversa configurazione dell’istituto del public service nell’ordinamento di common law. In particolare, l’esperienza giuridica statunitense è contrassegnata dall’attribuzione di personalità giuridica a soggetti privati affinché fornissero servizi a fini di carattere generale, religioso o culturale. In Nord America, peraltro, il fenomeno godette di particolare fortuna in quanto, stante la debolezza della struttura statale centrale a seguito del processo di unificazione della confederazione, occorreva un intervento diretto dei singoli Stati perché si sopperisse alla carenza del potere pubblico: tale intervento venne individuato nell’attribuzione a soggetti privati della personalità giuridica, affinché provvedessero allo svolgimento di determinate attività.

Il servizio universale assurge al rango di istituto legislativamente previsto quale principio essenziale nel Communications Act del 1934, il quale sanciva il monopolio dei servizi di telefonia dichiarando nel contempo lo scopo “to make available, so far as possible, to all the people of the United States a rapid, efficient, nationwide and worldwide wire and radio communication service with adequate facilities at reasonable charges”. L’istituto veniva pertanto accostato a principi di accessibilità, qualità, garanzia della copertura territoriale e fisica del servizio.

La comune accezione moderna del servizio universale lo considera come un insieme di esigenze di interesse generale cui dovrebbero essere assoggettate, nell’intera Unione Europea, le attività come le telecomunicazioni (è il settore in cui la disciplina del servizio universale risulta più articolata, la cui nozione è stata individuata in un “insieme minimo definito di servizi, di una data qualità, a disposizione di tutti gli utenti, indipendentemente dalla localizzazione geografica e offerto, in funzione delle specifiche condizioni nazionali, ad un prezzo abbordabile”), il settore postale (la disciplina contenuta nella direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 97/67/ CE ha mirato alla garanzia di una disciplina del servizio universale che permettesse lo svolgimento del servizio pubblico in buone condizioni economiche e finanziarie; si è riconosciuta, pertanto, la possibilità di porre delle restrizioni al libero mercato e che taluni servizi fossero riservati alle amministrazioni postali in virtù di diritti speciali ed esclusivi e su tale impostazione ha influito anche l’orientamento della Corte di Giustizia allorché ha asserito che gli obblighi posti a carico del titolare del diritto esclusivo giustifichino le restrizioni e, in alcuni casi, l’esclusione della concorrenza, al fine di consentire lo svolgimento del servizio in condizioni di equilibrio economico) e il settore dell’energia elettrica (la materia è stata disciplinata dalla direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2009/72/CE, il cui art. 3 comma III attribuisce agli Stati il compito di assicurare che i clienti civili e, se ritenuto opportuno, le piccole imprese usufruiscano del servizio universale, identificato nel “diritto alla fornitura di energia elettrica di una qualità specifica a prezzi ragionevoli, facilmente e chiaramente comparabili, trasparenti e non discriminatori”).

Fulcro della disciplina è il principio di accessibilità economica delle tariffe che implica l’alterazione del principio secondo cui il prezzo costituisce il risultato dell’incontro tra domanda ed offerta di mercato. Si prevede la possibilità che ciascuno Stato membro stabilisca a vantaggio dei consumatori a basso reddito o con particolari esigenze sociali formule tariffarie diverse da quelle di mercato, oppure la garanzia di un sostegno economico.

Pertanto, determinati servizi sono volti a soddisfare esigenze considerate rilevanti nella società moderna, tanto da garantirne l’erogazione anche nei confronti di soggetti che rischierebbero di rimanerne esclusi o sprovvisti: riportando le parole di Cartei: “Da questo punto di vista, il servizio universale esprime un bisogno non solo individuale ma anche collettivo: la diffusione dei servizi, infatti, non solo aumenta la fruizione dei diritti fondamentali del singolo cittadino ma, consentendo l’eliminazione delle sacche di emarginazione, contribuisce al processo sociale ed alla ricchezza dell’intera collettività”.

Il servizio universale può dunque essere interpretato come un fine sociale che richiede tuttavia, per renderne possibile la veicolazione, di una determinazione del contenuto, ovvero l’individuazione dei servizi facenti parte e degli standard minimi di questo. Manca però una nozione di servizio universale univocamente definita e pacificamente riferibile a tutti i settori in cui è utilizzata. La nozione non individua una fattispecie unitaria, ma discipline diverse tra loro: ciò potrebbe essere dovuto dalla considerazione che l’ordinamento cui la nozione deve la propria elaborazione è quello di common law come reinterpretata dall’esperienza giuridica statunitense.

Da qui è trasfusa in quello comunitario per poi trasmigrare nei singoli diritti nazionali. Nell’inquadramento del servizio universale nella prospettiva eurounitaria, il regime giuridico deve essere rintracciato in seno alla disciplina della regolazione delle attività economiche. I suoi contenuti, infatti, sono in larga misura stabiliti a livello europeo avuto riguardo ai processi di liberalizzazione, all’organizzazione del mercato ed all’importanza attribuita a taluni servizi di rete.

La penetrazione del servizio universale a livello eurounitario si spiega con la necessità di uniformare i vincoli imposti agli operatori e di evitare che gli Stati decidano autonomamente i livelli di sviluppo della disciplina a detrimento dell’organizzazione dei mercati. L’istituto si può interpretare quale corollario di quella promozione della coesione economica e sociale che rientra nelle funzioni essenziali assegnate ai servizi di interesse generale e dei valori di “coesione economica e sociale, della solidarietà tra gli Stati membri e della parità tra uomini e donne” di cui l’Unione europea si fa propugnatore fin dalle prime disposizioni dei Trattati. In particolare, richiamando il principio di coesione, l’art. 36 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza, 7 dicembre 2000) prevede che l’Unione, sempre al dichiarato scopo di promuovere la coesione sociale e territoriale, “riconosce e rispetta l’accesso ai servizi di interesse economico generale quale previsto dalle legislazioni e prassi nazionali” e l’accesso ai servizi di interesse economico generale è preordinato al conseguimento del principio di coesione sociale e territoriale, purché sempre in conformità con il Trattato.  La prospettiva abbracciata dalla Commissione europea è infatti aderente ai termini sopra esposti, ed è evidenziata nella comunicazione della Commissione europea del 1996, in cui i servizi di interesse generale sono stati presi in considerazione, oltre che dal mero punto di vista della loro diretta ed immediata utilità, anche sotto il profilo simbolico di appartenenza ai cittadini alla comunità sociale europea, alla loro parità e uguaglianza a prescindere dalla nazionalità, alla loro afferenza all’identità sociale e culturale europea.

La definizione dei SIEG come “promotori della coesione sociale” deve essere dunque letta anche in quest’ottica, come coerentemente hanno fatto gli atti di soft law succedutesi nel tempo: oltre alla citata comunicazione del 1996, la prospettiva viene reiterata anche nella comunicazione della Commissione europea del 20 settembre 2000, in cui i SIEG sono definiti “un fattore essenziale del modello europeo di società”, nonché nella Relazione al Consiglio europeo di Laeken, in cui la Commissione si esprime nel senso di ritenere rilevante il contributo dei SIEG alla competitività generale dell’industria europea e alla coesione economica, sociale e territoriale.

Al fine di bilanciare in modo equilibrato l’interesse generale con la promozione della concorrenza, viene ribadito che gli Stati membri possono contemperare l’apertura dei mercati con la previsione o il mantenimento di obblighi di servizio pubblico. In una siffatta situazione, è facilmente comprensibile come, se è vero che una rete di servizi essenziali favorisce la coesione sociale tra i popoli costituenti l’Unione, il servizio universale deve necessariamente controbilanciare la liberalizzazione dei servizi. Sotto il profilo dell’utenza, in tutti i settori in cui è contemplata, la disciplina del servizio universale individua un elemento unificante nel regime giuridico cui sono sottoposte le prestazioni. La relazione giuridica che lega l’utente al fornitore del servizio diviene, seppure in un regime giuridico posto a tutela di obiettivi di interesse generale, una relazione di mercato. Il rapporto giuridico che ne prende il posto è sorretto, infatti, dai diritti contrattuali e dai relativi strumenti di tutela.

La conseguenza finale di tale processo pare riassumersi nella affermazione del regime della responsabilità contrattuale, non più caratterizzata come in passato da aree di esenzione per il soggetto gestore, ma fondata sulle regole del diritto comune. L’estensione dell’area della contrattualità non investe soltanto il rapporto giuridico che lega l’utente ed il gestore. Anche i rapporti tra l’autorità istituzionalmente responsabile del servizio ed il gestore in principio possono essere regolati in forma consensuale. La figura giuridica che assume rilievo è costituita dal contratto di servizio/contratto di programma che, nata per la disciplina dei servizi pubblici locali, può applicarsi anche nei servizi a rete e riguardare la definizione dei servizi, le modalità di erogazione, gli obiettivi di qualità, i criteri di determinazione delle tariffe e gli oneri del servizio.

Affiora così la necessità di definirne puntualmente il contenuto e gli obblighi specifici, in quanto viene ad evidenziarsi il preminente interesse del cittadino europeo a che il gioco della concorrenza non escluda parte della popolazione dalla fruizione dei servizi di interesse generale, alterando quel processo di coesione culturale e sociale cui questi sono sottesi. Proprio perché nel modello comunitario la supremazia del mercato non ammette rivali, ma solo correttivi, risulta inaccettabile ogni ricostruzione che si fondi sulla contrapposizione con l’interesse pubblico o che richiami gli strumenti di politica sociale posti a tutela degli interessi collettivi. Nella prospettiva europea, infatti, l’interesse pubblico è costituito dal mercato stesso; e ciò non perché si rappresenti un valore in sé, ma nella prospettiva dei benefici che l’efficienza allocativa si ritiene apporti naturalmente, tra i quali sono rintracciabili molti dei fini di giustizia distributiva attribuiti in passato al modello interventista proprio dello Stato gestore.

Lo sviluppo, a livello comunitario, della nozione di servizio universale ha dichiaratamente lo scopo di trovare un punto d’equilibrio tra queste contrapposte esigenze, garantendo il più possibile un servizio di qualità a prezzi accessibili a tutta la popolazione. Occorre rilevare, infine, come le disposizioni relative al servizio universale non siano presenti in tutti i servizi a rete, ma solo in quelli in cui le condizioni di mercato hanno consentito il processo di liberalizzazione.

Gianluca Barbetti

Gianluca Barbetti nasce a Roma nel 1991. Appassionato di diritto amministrativo,ha conseguito la laurea in Legal Services con una tesi sui servizi pubblici locali, con particolare attenzione alle società partecipate. Durante il percorso di studi, ha svolto diverse attività parallele per completare la propria formazione con approcci pratici al diritto, come Moot Court in International Arbitration e Legal Research Group. E' curatore e coautore di due opere pubblicate e attualmente in commercio.

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