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L’AGCM sanziona Sky per pratiche commerciali scorrette durante il lockdown

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con delibera n. 28563 del 9 febbraio 2021, ha irrogato a Sky Italia S.r.l. tre sanzioni amministrative pecuniarie complessivamente pari a due milioni di euro per pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 20, 22, 24 e 25, lett. d) del D. Lgs. 206/2005 (“Codice del Consumo”).

Tali pratiche hanno riguardato la mancata rimodulazione e/o il mancato rimborso automatico dei canoni mensili dei pacchetti di abbonamento pay tv “Sky Sport” e/o “Sky Calcio” nel periodo in cui gli eventi sportivi in diretta erano stati sospesi a causa del lockdown generalizzato e fino alla loro ripresa, l’omissione di informazioni tempestive e facilmente accessibili relative all’adesione al cd. “sconto coronavirus” e l’imposizione di ostacoli spoporzionati alla fruizione di detto sconto da parte dei consumatori interessati.

In relazione alla mancata attivazione di Sky nel rimodulare e/o rimborsare i canoni degli abbonamenti di propria iniziativa, dinanzi all’argomentazione della società relativa all’assenza di qualsivoglia fondamento giuridico relativo all’automaticità del rimborso, non rinvenendone traccia né nelle disposizioni del c.c., né nel contratto di abbonamento, né tanto meno nella normativa emergenziale, l’AGCM ha ribadito nei fatti in questione la primazia del Codice del Consumo e la valenza precettiva del canone della diligenza professionale di cui all’art. 18, co. 1, lett. h) del Codice del Consumo [1].

Pertanto, a detta di AGCM, «deve essere considerata pratica scorretta non soltanto l’esplicita violazione delle regole tecniche e deontologiche ma anche la condotta del professionista che, pur ossequioso delle leges artis, di fatto si comporti in modo contrario a buona fede o a ciò che il consumatore ragionevolmente poteva attendersi»[2].

L’AGCM ha proseguito rilevando come gli effetti distorsivi di tale pratica si siano riversati sia sui clienti rimasti vincolati ai canoni dell’abbonamento seppur dinanzi a un’offerta notevolmente impoverita nell’ attesa di una futura ripresa degli eventi sportivi sospesi, sia sui clienti che invece per questo avevano deciso di recedere dal contratto.

Dalle risultanze istruttorie relative alla seconda condotta l’AGCM ha accertato che la società non ha fornito chiare, tempestive e adeguate informazioni relative alla promozione cd. “sconto coronavirus” rivolta ai clienti titolari dei pacchetti “Sky Calcio” e “Sky Sport” e valida per un periodo limitato, dal 24 marzo 2020 al 6 aprile 2020, al fine di ottenere una riduzione del canone di abbonamento, con un conseguente svantaggio economico.

In riferimento alla terza condotta – ritenuta dall’AGCM aggressiva [3] –  anche alla luce dei numerosi reclami  presentati dai consumatori relativi al malfunzionamento e alle difficoltà di accesso e di completamento della procedura di adesione allo “sconto coranavirus” (disponibile esclusivamente in modalità online, senza previsione di mezzi ulteriori), il Garante ha rilevato come l’informazione così configurata risultasse di fatto inaccessibile ai clienti che non intendevano cessare il rapporto contrattuale ma che avrebbero comunque potuto beneficiare dello sconto. A detta di AGCM, il professionista ha imposto «ostacoli onerosi e sproporzionati alla fruizione dello sconto da parte dei clienti interessati, limitandone considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento e inducendoli ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbero altrimenti preso» [4]. 

Tenuto conto della gravità delle violazioni, della dimensione economica del professionista, dell’ampiezza di diffusione delle pratice, nonchè del contesto emergenziale che ha reso i consumatori vulnerabili, l’AGCM ha deliberato il divieto di diffusione o continuazione delle suddette pratiche e l’irrogazione di tre sanzioni pecuniari per un importo totale di due milioni di euro.

Avverso tale delibera, Sky potrebbe presentare ricorso al TAR del Lazio come del resto fece due anni fa in un caso similare avverso il provvedimento n. 27545 del 23 gennaio 2019 con cui AGCM accertò pratiche commerciali scorrette ai sensi degli artt. 21, co. 1,  lett. b), 24 e 25 del Codice del Consumo. In tale occasione, il TAR respinse il ricorso.

Scarica il provvedimento n. 28563 del 9 febbraio 2021

Scarica il provvedimento n. 27545 del 23 gennaio 2019

 

[1]«diligenza professionale“: il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista». La definizione  riproduce grosso modo l’art. 2, lett. h) della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. Il canone della diligenza professionale fa riferimento a un «quid pluris rispetto alla normale buona fede, dovendosi tener conto del ragionevole, legittimo affidamento che la collettività di consumatori ripone sugli operatori di un determinato settore» in A. SEMINARA, La tutela civilistica del consumatore di fronte alle pratiche commerciali scorrette, in Contratti 6/2018, pp.689-701. Si veda altresì V. MELI, “Diligenza professionale”, “consumatore medio” e regole di de minimis nella prassi dell’AGCM e nella giurisprudenza nella giurisprudenza amministrativa, in V. MELI, P. MARANO (a cura di), La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, Torino, 2011.

[2] Provvedimento n. 28563, punto 63.

[3] Ai sensi dell’art. 24 del Codice del Consumo, «E’ considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o e’ idonea a limitare considerevolmente la liberta’ di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o e’ idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso». L’art. 26 reca poi un elenco tassativo di pratiche considerate ex lege aggressive perché particolarmente invasive della sfera personale del consumatore, e precisamente nel caso in cui la pratica crea «l’impressione al consumatore di non poter lasciare i locali commerciali senza avere concluso un contratto di acquisto di prodotti o servizi» o perché invade la sfera della propria abitazione come nel caso di visite a domicilio effettuate con modalità sgradite. Sono altresì fattispecie di per sé vietate le pratiche aggressive, consistenti in marketing e sollecitazioni commerciali non richieste e reiterate mediante strumenti di comunicazione a distanza, l’imposizione di ostacoli al risarcimento assicurativo di un danno subordinandolo alla presentazione di documenti non ragionevolmente pertinenti, le esortazioni dirette ai bambini per convincere gli adulti all’acquisto dei prodotti reclamizzati, la fornitura e il pagamento di prodotti o servizi non richiesti, informazioni al consumatore riguardanti situazioni di pericolo per il lavoro ove non acquisti un determinato prodotto, e, infine, la vincita di premi inesistenti o subordinati a oneri economici per il consumatore.

[4] Provvedimento n. 28563, punto 87.

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