martedì, Marzo 19, 2024
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L’ambiguo rapporto tra memoria e Costituzione: verso un costituzionalismo mnemonico in Ungheria ed in Russia?

L’ambiguo rapporto tra memoria e Costituzione: verso un costituzionalismo mnemonico in Ungheria ed in Russia?

a cura di Taysier Roberto Mahajnah

 

  1. Introduzione

Negli ultimi anni si è assistito a una crescente attenzione verso lo studio della memoria e delle sue implicazioni nel campo del diritto. Prove di questo rinnovato interesse sono le nascite di diversi progetti finanziati dall’Unione Europea e da enti privati come i consorzi di ricerca Memory Laws and Comparative Perspective (MELA Project )[1] e MEMOCRACY,[2] volti a indagare la memoria da una prospettiva normativa in Germania e in alcuni Paesi dell’Europa centro-orientale.

L’elenco dei progetti qui presentati mostra innanzitutto come la memoria ed il modus operandi adottati nell’interpretazione del passato stiano migrando dalla ricerca sociologica e politologica a quella giuridica, portando persino alcuni studiosi a chiedersi se il rapporto che si instaura tra diritto e memoria possa essere considerato una disciplina di importanza periferica o centrale per la ricerca accademica.[3] Inoltre, i progetti citati condividono delle affinità elettive essenziali per questo articolo, ossia l’uso della memoria (e la sua codificazione) in modo abusivo. In particolare, se in passato le cosiddette leggi sulla memoria (c.d. memory laws) erano giustificate come parte del paradigma di una democrazia militante (come la legge Gayssot, prima del suo genere a introdurre una risposta punitiva al fenomeno negazionista dell’Olocausto in Francia), oggi, invece, si assiste all’uso di tali strumenti per manipolare e rafforzare una certa narrazione del passato.

Tuttavia, questa nuova tendenza mnemonica, ribattezzata con il termine di memoria illiberale,[4] presenta un ulteriore profilo che la distingue dal rapporto instaurato tra diritto e memoria in passato: l’uso della costituzione nella codificazione della memoria. Infatti, il governo della memoria illiberale non è regolato solo attraverso gli strumenti punitivi previsti dal campo penalistico, ma anche attraverso disposizioni costituzionali, dando luogo a quello che è stato definito un costituzionalismo mnemonico.[5]

Il focus di questo articolo, quindi, è rivolto allo studio di quei paesi che hanno codificato un certo passato sulla scia della memoria illiberale. I casi di studio, infine, saranno rappresentati dall’Ungheria di Viktor Orbán e dalla Federazione Russa di Vladimir Putin.

 

 

  1. L’evoluzione del rapporto tra diritto e memoria

 

Uno dei primi contributi sull’uso politico della memoria è del sociologo francese Maurice Halbwachs che coniò il termine memoria collettiva, riferendosi alla condivisione del passato, reciprocamente riconosciuta e rafforzata da una collettività, da piccoli gruppi informali ad attori nazionali e globali. [6]

Specificamente, l’uso politico della memoria risale al moderno Stato post-vestfaliano. Infatti, la pace di Vestfalia del 1648 stabilì espressamente l’obbligo di applicare amnistie e perdoni per gli atti avvenuti durante la guerra, imponendo dunque un uso minimo dei rituali pubblici e dei commiati al fine di non riaccendere le ostilità tra i paesi interessati.[7] In questo caso, l’uso della memoria si sviluppò attraverso il c.d. modello dell’oblio.[8] Più tardi, invece, nel segmento storico della Rivoluzione francese, i giacobini organizzarono una marcia nazionale per riaffermare la rottura con l’Ancien Regime e le sue istituzioni, promuovendo così un modello mnemonico zelante.[9] Tale modello continuò fino al Trattato di Versailles, il quale sancì la fine della Prima Guerra Mondiale.[10]

Tuttavia, con la fine della Seconda Guerra Mondiale ed i tragici eventi dell’Olocausto, una nuova traiettoria mnemonica sostituì questa dicotomia. Infatti, la deportazione degli ebrei, essendo stata un elemento onnipresente durante la guerra, creò un sintomo di consapevolezza storica generale. Per questa ragione il diritto e la memoria si intrecciarono in modo radicale, dando vita alle cosiddette leggi sulla memoria, ossia leggi che sanciscono interpretazione approvate dallo Stato di eventi storici critici, commemorando le vittime di atrocità del passato e individui eroici o eventi emblematici di movimenti nazionali e sociali.[11]

Il primo governo ad adottare le leggi sulla memoria fu quello francese che, nel 1990, emanò la Legge Gayssot, prevedendo che chiunque dubitasse la portata o l’esistenza di crimini contro l’umanità sarebbe stato perseguito penalmente.[12] Successivamente, nel 1992, fu l’Austria ad emendare il proprio codice penale ove la negazione e la banalizzazione dell’Olocausto costituì reato.[13] Infine, nel 1995, il Belgio introdusse la reclusione fino ad un anno, accompagnata da una multa di 2500 euro, per coloro che avessero negato l’esistenza dell’Olocausto.[14]

A distanza di anni, l’attenzione al fenomeno negazionista si spostò dagli Stati membri all’Unione Europea, la quale adottò diverse risoluzioni per contrastare la trivializzazione dell’Olocausto.

Il primo provvedimento verso un’europeizzazione mnemonica dell’Olocausto, fu la Resolution on European and International Protection for Nazi Concentration Camps as  Historical Monuments.[15] Successivamente, il Parlamento Europeo adottò ulteriori atti che consolidarono l’importanza (e l’esistenza) storica dell’Olocausto, tra i quali il Programma Cittadini, lanciato nel dicembre 2006, attraverso la Decisione 1904/2006/CE24[16] con la quale si rafforzò la memoria dell’Olocausto attraverso fondi destinati a vari istituti di ricerca, associazioni di sopravvissuti, musei e organizzazioni attive nella promozione dei diritti umani.

Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito ad un diverso utilizzo delle leggi sulla memoria, ossia da leggi che regolano la memoria ed il passato con l’intento di proteggere una certa verità storica e le vittimi coinvolte, a leggi che utilizzano il passato per scopi anti-democratici.

Segnatamente, l’articolazione del nuovo trend mnemonico ha superato i territori penalistici invadendo il campo costituzionalistico. Infatti, negli ultimi anni, in Ungheria ed in Russia sono state emanate nuove disposizioni costituzionali volte alla sopravvivenza di alcuni valori del passato che rischiano di limitare i diritti fondamentali. In altre parole, le disposizioni costituzionali (caratterizzate da una forte linfa mnemonica) sono diventate il fondamento di una certa identità collettiva che si oppone agli ideali di uguaglianza e libertà.

 

  1. Memoria collettiva ed il quadro costituzionale ungherese

 

Con l’avvento di Viktor Orbán sulla scena politica ungherese, è avvenuta (e tutt’ora in corso) una regressione che ha indebolito i predicati essenziali dello stato democratico, portando l’Ungheria ad essere l’alfiere di quel novero di democrazie c.d. illiberali.[17]

Tuttavia, prima di analizzare il quadro costituzionale ungherese, è necessario comprendere quali elementi mnemonici sono stati rievocati da Viktor Orbán durante i suoi mandati.

Specificamente, due enti– fortemente interconnessi – della tradizione magiara sono stati resuscitati negli ultimi anni, ossia la Sacra Corona d’Ungheria e la Costituzione storica.  Per quanto riguarda la Sacra Corona, questa era un prezioso diadema che un tempo era consegnata ai nuovi re. La Corona è anche chiamata Corona di Santo Stefano, poiché il re Stefano è considerato il fondatore dell’Ungheria.  Successivamente, da Re Stefano in poi, la Sacra Corona non fu solamente un oggetto necessario per governare lo Stato ungherese ma si condensò in una vera e propria dottrina che stipulava gli obblighi del Re nei confronti del ceto nobiliare e viceversa.[18]

Per comprendere il legame tra dottrina della Sacra Corona e la Costituzione storica, è necessario soffermarsi brevemente sul sistema costituzionale ungherese medievale e moderno. Infatti, prima della promulgazione della Costituzione del 1949 (Legge n. XX del 1949), l’Ungheria non aveva una costituzione scritta, ma questa si formava attraverso un reticolo di leges fundamentales, (leggi fondamentali).[19]

Il primo atto fu nel 1222, quando l’ordine dei nobili, con la legge della Bolla d’Oro (Aranybulla in ungherese), sancirono i loro diritti (garanzie di libertà personale, esenzione fiscale e diritto di resistenza).[20] L’importanza della Bolla d’oro risiedeva nel fatto che essa riuniva in un unico atto le disposizioni normative che erano state emanate dal re Santo Stefano (1000-1038) e le consuetudini in vigore nei due secoli precedenti, compresa la dottrina della Sacra Corona Unita.[21]

Definiti i cardini mnemonici essenziali per Orbán, la prima deteriorazione del tessuto democratico avvenne con l’adozione di una nuova costituzione (rinominata Legge Fondamentale) che, approvata dal nuovo governo nel 2012, suscitò diverse critiche (soprattutto da parte della Commissione di Venezia) per il mancato coinvolgimento di altre forze politiche. Inoltre, si sottolinea come la Legge fondamentale, dalla sua entrata in vigore, ha subito diversi emendamenti costituzionali (nove ad oggi).

A partire dal Preambolo costituzionale (rinominato Credo Nazionale), emergono subito i riferimenti al Re Stefano I come fondatore dello Stato ungherese ed al ruolo centrale che la religione cristiana ha avuto per la nazione: “Siamo orgogliosi che il nostro re Santo Stefano abbia reso il nostro Paese parte dell’Europa cristiana mille anni fa, riconoscendo il ruolo del cristianesimo nel preservare la nazione”.[22] Inoltre, il settimo emendamento alla Legge Fondamentale (maggio 2018) afferma come la cultura cristiana dovrà essere salvaguardata in Ungheria. Il legislatore, dunque, trasforma la religione cristiana – ovvero la cultura magiara basata sul cristianesimo – come elemento imprescindibile per la sopravvivenza della società ungherese.

Sulla base di questa rinnovata identità, a dicembre la Legge Fondamentale è stata modificata per la nona volta (22 dicembre 2020). Specificamente, l’emendamento ha aggiunto una nuova frase all’art. XVI. La disposizione costituzionale ora recita: “Ogni bambino ha diritto alla protezione e alle cure necessarie per il suo corretto sviluppo fisico, mentale e morale. L’Ungheria tutela il diritto dei bambini di identificarsi con il sesso con cui sono nati e garantisce un’educazione in linea con l’identità costituzionale e la cultura cristiana dell’Ungheria”.[23]

Infine, il nucleo mnemonico di carattere religioso si estrinseca anche nell’art. L della Legge Fondamentale che sancisce come il matrimonio sia solamente l’unione tra uomo e donna: “L’Ungheria protegge l’istituzione del matrimonio come unione di un uomo e di una donna stabilita per decisione volontaria, e la famiglia come base della sopravvivenza della nazione”.[24]

Nell’analisi degli elementi mnemonici che abbiamo visto essere presenti nella Legge fondamentale, manca tuttavia, un riferimento alla Costituzione storica.

In particolare, nel Preambolo si stabilisce che: “Onoriamo le conquiste della nostra Costituzione storica e onoriamo la Sacra Corona, che incarna la continuità costituzionale ungherese e l’unità della nazione”[25] e “Riteniamo che la protezione della nostra identità radicata nella nostra Costituzione storica sia un obbligo fondamentale dello Stato”.[26]

La nozione di Costituzione storica è stata utilizzata soprattutto dalla Corte costituzionale ungherese (la cui indipendenza è stata notevolmente ridotta dall’avvento di Fidesz nel 2010). Nel 2016, infatti, la Corte costituzionale ungherese ha deciso di pronunciarsi su un’istanza presentata un anno prima dall’Ombudsman ungherese, che chiedeva alla Corte di fornire un’interpretazione dell’art. XIV para. 1 e dell’art. E comma 2 della Legge Fondamentale in relazione alla decisione del Consiglio dell’Unione Europea n. 1601/2015 del 22 settembre[27] con la quale si dispose la ricollocazione di 1294 richiedenti asilo, presenti in Italia e Grecia, in Ungheria. Tra i motivi per cui i giudici costituzionali ungheresi hanno dichiarato ultra vires la decisione n. 1601/2015, spicca soprattutto quello dell’identità costituzionale. In particolare, nella sentenza n. 22/2016, i giudici costituzionali ungheresi dichiararono come l’applicazione della decisione n. 1601/2015 contrasti con l’identità costituzionale ungherese la cui matrice è rappresentata dalla Costituzione storica.[28]

 

  1. I valori tradizionali di Vladimir Putin come principi costituzionali

 

Similmente all’esperienza ungherese, l’analisi del quadro costituzionale russo non può che partire da una breve sintesi di quelli che sono state le entità mnemoniche riportate in auge da Vladimir Putin.

In primo luogo, come la dottrina della Sacra Corona in Ungheria, anche nella Federazione Russa è ritornata prepotentemente la c.d. dottrina di Mosca come Terza Roma. Questa espressione (elaborata dal monaco russo Filofei) indica la trasformazione che Mosca subì dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453, diventando l’erede spirituale di Bisanzio (la seconda Roma) e l’erede imperiale di Roma.[29] La dottrina di Mosca come Terza Roma comprende diversi aspetti fondamentali. Il primo di essi fu certamente la connotazione della città russa come il nuovo baluardo della cristianità.[30] Il secondo, invece, rappresenta la sinfonia che caratterizzò i rapporti tra Chiesa e Stato per secoli a partire dal XVI secolo.[31] Infine, la terza e ultima caratteristica fu la sua dimensione escatologica: la capitale russa, dopo la caduta di Bisanzio, assunse un’importante funzione religiosa in quanto scelta da Dio per diventare il centro della cristianità.[32]

L’altro scenario mnemonico, invece, scelto da Vladimir Putin è sicuramente la rievocazione della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta, nello specifico, di quegli eventi che (raggruppati sotto la denominazione di Grande Guerra Patriottica) portarono alla sconfitta della Germania nazista. [33]

Tuttavia, l’interpretazione che la Federazione Russa oggi offre della Grande Guerra Patriottica spesso soffre di maglie revisioniste al punto da ignorare il Patto Molotov-Ribbentrop del 1939, in cui il Terzo Reich e l’Unione Sovietica stipularono un patto di non aggressione.

Inoltre, la narrazione storica della Grande Guerra Patriottica, utilizzata da parte del Cremlino, riconnette tali eventi a momenti fondativi della Federazione Russa, sottolineando come il sacrificio dei soldati rivive nel rispetto delle tradizioni e dei valori russi come il patriottismo ed il culto dello Stato.[34]

Definiti, dunque, le entità mnemoniche russe, si deve ora analizzare come queste siano entrate nel tessuto costituzionale.

In particolare, dopo diverse proposte, l’11 marzo 2020 la Duma ha adottato 2020 la Duma ha adottato la terza e ultima lettura degli emendamenti alla Costituzione del 1993.

L’articolo 67. comma 2 emerge immediatamente come una codificazione della Terza Dottrina di Roma con l’obiettivo di proteggere una certa memoria collettiva religiosa: “La Federazione Russa, essendo unita dalla storia millenaria, salvaguardando la memoria degli antenati che ci hanno trasferito gli ideali e la fede in Dio e la continuità nello sviluppo dello Stato russo, riconosce l’unità statale storicamente costruita”. [35]

Successivamente, l’articolo 67, comma 3 proclama che la Federazione Russa onora l’impresa dei difensori della Patria e salvaguarda la verità storica, non consentendo la denigrazione dell’impresa che ha difeso la Patria (durante la Seconda guerra mondiale). [36]

Inoltre, l’art. 67, comma 4 similmente alla disposizione costituzionale in Ungheria, promuove l’educazione dei bambini secondo valori come il patriottismo ed il rispetto degli anziani. Infine, l’art. 114 garantisce l’attuazione, nella Federazione Russa, di una politica governativa coerente e socialmente orientata verso la conservazione dei valori familiari tradizionali. [37]

Le disposizioni appena citate devono essere lette in raccordo. Infatti, i principi costituzionali contenuti negli art. 67 comma 2 e comma 3 sono le premesse dalle quali inferiscono i valori anche per le generazioni successive, dando vita a quella che è stata definita una paternità transtemporale.[38]  In altre parole, l’art. 67 funge da legame identitario tra la dottrina di Mosca come Terza Roma, la Grande Guerra Patriottica e le future generazioni.

Infine, non è da sottovalutare, come la Grande Guerra Patriottica (nella sua forma revisionista) sia ormai definitivamente entrata nel tessuto costituzionale e, dunque, elevata a bene giuridico degno di tutela. Tale condizione, infatti, potrebbe fortemente limitare il diritto alla libertà d’espressione (e di stampa) per tutti coloro che vorranno criticare la narrativa distorta del Cremlino.

 

  1. Conclusioni

 

L’articolo qui proposto ha cercato di offrire alcune considerazioni su come la memoria possa diventare un fenomeno normativo, e più specificamente, elevarsi a fonte costituzionale.

In questo contesto, il passato diventa una risorsa ed una strategia per giustificare una svolta anti-democratica, ossia l’enucleazione di un’identità collettiva (e costituzionale) che affonda le proprie radici in un humus tradizionalistico avverso soprattutto nei confronti della comunità LGBTQ+, ma che colpisce più in generale anche le minoranze religiose. In altre parole, il richiamo ad una memoria pregna di carattere religioso, assurge a giustificazione per promuovere riforme costituzionali che mirano alla creazione di una società conservativa.

A livello generale, il contributo qui presente dimostra come il costituzionalismo mnemonico non sia solamente uno strumento ideologico ma sia diventato un fondamento ontologico per giustificare l’applicazione di misure illiberali.

Infine, per ragioni di ordine metodologico, è dovuta una necessaria precisazione. Infatti, nonostante nel testo siano presenti rimandi all’importanza che le memory laws hanno avuto nel proteggere la narrazione storica dell’Olocausto, è innegabile come sia più spiccata la pars destruens del rapporto tra memoria e diritto. Tuttavia, tale dimensione negativa è riferita solamente al circuito difettoso che si instaura tra memoria e diritto costituzionale nelle c.d. democrazie illiberali e negli stati autoritari, e non alla relazione tra memoria e diritto in toto. Questo perché, come già scritto precedentemente, il contributo mira ad analizzare principalmente il fenomeno del costituzionalismo mnemonico, dando al lettore la possibilità di comprendere appieno come il passato, nella sua applicazione illiberale, possa diventare il fondamento per una lacerazione ancora più acuta dei diritti umani.

 

 

[1] Si veda: https://melaproject.org/

[2] Si veda: https://memocracy.eu/

[3] E. Heinze, “Beyond memory laws: Towards a general theory of law and historical discourse”, in Queen Mary University of London Forum, 2016, p. 6; disponibile qui: https://qmro.qmul.ac.uk/xmlui/handle/123456789/55205

[4] Si veda: G. Rosenfel, “The rise of Illiberal memory”, in Memory Studies, 2021, n. 2; disponibile qui: https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/1750698020988771.

[5] Si veda: U. Belavusau, “Mnemonic Constitutionalism and Rule of Law in Hungary and Russia”, in Interdisciplinary Journal of Populism, 2020, vol.1, n. 1; disponibile qui: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3768037.

[6] M. Halbwachs, On Collective Memory, edizione 1992, p. 23.

[7] U. Belavusau, “Memory Laws: Mapping a New Subject in Comparative Law and Transitional Justice”, in Research Paper series, 2017, vol. 3, n.3, p.5; disponibile qui: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3015232.

[8] Ivi, p. 6.

[9] Ivi, p.7.

[10] Ibidem.

[11] G. Baranowska, A. Gliszczynska-Grabisa, “Right to Truth and Memory Laws: General Rules and Practical Implication”, in Polish Political Science Yearbook, 2018, vol. 47, n.1, p. 98; disponibile qui: http://cejsh.icm.edu.pl/cejsh/element/bwmeta1.element.desklight-0016a372-0426-4745-b849-e91b3777306c

[12] Kahn, Holocaust Denial and the Law, edizione 2004, p. 105.

[13] J. Lechtholz-Zey, “The Laws Banning Holocaust Denial, Revised From GPN”, in Genocide Prevention, 2012, vol.9, n.3., p.3; disponibile qui: https://www.ihgjlm.com/wp-content/uploads/2016/01/Laws_Banning_Holocaust_Denial.pdf.

[14] Ibidem.

[15] Parlamento Europeo, “Risoluzione sulla protezione europea e internazionale dei campi di concentramento nazisti e relativi siti quali monumenti storici”, Gazzetta Ufficiale, N. C72/118, 15/3/1993; disponibile qui: https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/e03ef836-2326-404a-9d83-49d747da833b/language-en

[16] Decisione n. 1904/2006/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 12 dicembre. 2006 che istituisce, per il periodo 2007-2013, il programma «Europa per i cittadini» mirante a promuovere la cittadinanza europea attiva; disponibile qui; https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/ALL/?uri=CELEX%3A32006D1904

[17] Si veda: F. Zakaria, “The Rise of Illiberal Democracy”, in Foreign Affairs, 1997, vol.76, n.6; disponibile qui: disponibile qui: https://www.jstor.org/stable/20048274.

[18] K. Egresi, “La Storia del Costituzionalismo Ungherese”, in Nomos: Le Attualità del Diritto, 2012, vol. 1, p.3; disponibile qui: https://www.nomos-leattualitaneldiritto.it/nomos/katalin-egresi-la-storia-del-costituzionalismo-ungherese/.

[19] Ibidem.

[20] Ivi, p.5.

[21] Ibidem.

[22] National Avowal, The Fundamental Law of Hungary, 25 April 2011. Disponibile qui: https://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-REF(2021)046-e.

[23] Article XVI (1), The Fundamental Law of Hungary, as amended by the Ninth Amendment.

[24] Article L, The Fundamental Law of Hungary, 25 April 2011.

[25] National Avowal, The Fundamental Law of Hungary, 25 April 2011

[26] National Avowal, The Fundamental Law of Hungary, 25 April 2011

[27] Decisione (UE) 2015/1601 Del Consiglio del 22 settembre 2015 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia; disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32015D1601&from=EN.

[28] Corte Costituzionale ungherese, sentenza n.22/2016 AB, 5 December 2016, para. 65; disponibile qui: http://www.europeanrights.eu/public/sentenze/Ungheria_30novembre2016.pdf.

[29]J. Doroszcyk, “Moscow-Third Rome as Source of Anti-Western Geopolitics”, in Historia i Polityka, 2018, vol. 24, n.31, p. 53; disponibile qui:  https://apcz.umk.pl/HiP/article/view/HiP.2018.010.

[30] A. Laats, “The Concept of the Third Rome and its Political Implication”, in KVÜÕA, 2009, n.12, p. 102; disponibile qui: https://www.ksk.edu.ee/en/wp-content/uploads/2011/03/KVUOA_Toimetised_12-Laats.pdf

[31] Ibidem.

[32] Ivi, p.103.

[33] M. Edele, “Fighting Russia’s History Wars: Vladimir Putin and the Codification of World War II”, in History and Memory, 2017, vol. 29, n. 2, p.93; disponibile qui: https://www.jstor.org/stable/10.2979/histmemo.29.2.05.

[34] L. Riggi, “La Grande Guerra Patriottica: storiografia e memoria 75 anni dopo”, Centro Studi Geopolitica, 9 maggio 2020, disponibile qui: https://www.geopolitica.info/la-grande-guerra-patriottica-storiografia-e-memoria-75-anni-dopo/.

[35] European Commission for Democracy Through Law (Venice Commission), Russian Federation Constitution, Opinion no.992/2020, art. 67. comma 2; disponibile qui: https://www.venice.coe.int/webforms/documents/default.aspx?pdffile=CDL-AD(2021)005-e.

[36] Ivi, art. 67. Comma 4.

[37] Ivi, art. 67 114

[38] A. Addis, “Constitutional Preambles as Narratives of Peoplehood”, ICL Journal, 2020, vol. 12, n. 2. P. 128; disponibile qui: https://www.degruyter.com/document/doi/10.1515/icl-2017-0079/html.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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