A cura del Dott. Mario Santoro
Con la legge 9 gennaio 2004 n. 6 è stato introdotto il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, disciplinato dagli artt. 404-413.
L’amministrazione di sostegno si colloca tra quegli strumenti di tutela del c.d. “soggetto debole”, tra i quali rientrano anche gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, racchiusi, rispettivamente, negli articoli 414 e 415 del Codice civile.
La definizione, nonché lo scopo, di questo nuovo istituto di tutela, viene fornita dall’art. 404 c.c. che recita: “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.
Tale innovazione, nello specifico, ha comportato una maggiore tutela nei confronti dell’incapace, nonché un mutato orientamento della nostra Giurisprudenza nei confronti dei vecchi istituti di tutela, in particolare dell’interdizione.
Caratteristiche dell’amministrazione di sostegno
Una prima caratteristica fondamentale della disciplina dell’amministrazione di sostegno è la proporzionalità; in effetti, secondo quanto stabilito dall’articolo 407 c.c. “il provvedimento deve essere adeguato alle condizioni del beneficiario e non deve togliere al beneficiario più capacità di quanto non occorra a garantire la protezione degli interessi personali e patrimoniali dello stesso, ma deve dargli l’assistenza di cui ha bisogno per le sue esigenze esistenziali”.
Pertanto, anziani, disabili, alcolisti, tossicodipendenti, possono ottenere la nomina di un amministratore di sostegno da parte del Giudice tutelare, il quale abbia cura sia della loro persona sia del loro patrimonio[1].
La seconda caratteristica fondamentale dell’istituto in esame risiede nella sua duttilità e modulabilità, infatti l’art. 405 c.c. con riguardo al Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno, ci dice che il giudice tutelare, oltre ovviamente alle generalità dell’interessato e dell’amministratore, deve indicare al suo interno:
- La durata dell’incarico;
- Tutti gli atti che l’amministratore di sostegno deve compiere nell’interesse del beneficiario;
- Gli atti che il beneficiario può compiere senza l’assistenza dell’amministratore di sostegno;
- I limi e le spese che l’amministratore potrà effettuare, nonché la periodicità con la quale deve riferire al giudice circa l’attività posta in essere in nome e per conto del beneficiario.
Bisogna inoltre precisare che, in riferimento all’oggetto della tutela sono descritti i compiti dell’amministratore di sostegno, che possono essere i seguenti:
- Cura della persona del beneficiario, in relazione al suo stato di salute e agli aspetti relazionali e sociali;
- Amministrazione del patrimonio del beneficiario, in riferimento, ad esempio ai beni mobili, pagamento delle utenze domestiche, riscossione dello stipendio della pensione, gestione delle risorse finanziarie, con l’obiettivo di conservare e soddisfare le necessità ordinarie e straordinarie del beneficiario.
In buona sostanza, è doveroso ricordare che i compiti dell’amministratore di sostegno si distinguono in compiti di assistenza[2] (in tal caso l’amministratore deve assistere il beneficiario senza però sostituirlo nel compimento dell’atto) oppure di rappresentanza (in tal caso l’amministratore sostituisce il beneficiario per gli atti indicati da parte del Giudice tutelare).
Se ne deduce, quindi, che gli atti che non vengono affidati all’amministratore rimangano in capo al beneficiario, il quale avrà la possibilità di continuare a compierli con una capacità di agire piena[3].
Inoltre, l’art. 405 c.c., disciplina gli aspetti procedimentali affermando che il giudice tutelare deve provvedere entro sessanta giorni dalla data del ricorso, e la decisione avverrà con “decreto motivato immediatamente esecutivo”.
L’art. 406 c.c. invece identifica i soggetti abilitati a proporre il ricorso, cioè: l’interessato stesso, e gli altri soggetti individuati dall’art. 417 cod. civ., più i responsabili dei servizi sociosanitari.
L’art. 407 si dedica ad atti istruttori, come il colloquio fra giudice e persona interessata, oppure decisioni d’ufficio da parte del giudice tutelare.
L’art. 408 c.c., determina i criteri di scelta dell’amministratore di sostegno.
Ancora, nell’art. 409 c.c., denominato “effetti dell’amministrazione di sostegno”, consente al beneficiario di continuare a godere della capacità d’agire, rilevante ai fini della vita quotidiana.
L’art. 410 regola i doveri spettanti all’amministratore: in particolare, l’amministratore ha obblighi di informare sia il beneficiario che il giudice tutelare che adotterà gli opportuni provvedimenti in caso di eventuali negligenze.
L’art. 411 elenca le regole per la tutela dei minori nella tematica di testamento e donazione.
L’art. 412, disciplina le disposizioni riguardanti le patologie negoziali come l’annullabilità, nelle ipotesi di violazione di legge o eccesso di poteri.
In ultimo, l’art. 413 riguarda la revoca e la sostituzione dell’amministratore di sostegno, sottoposte alla valutazione del giudice tutelare, anche d’ufficio.
Il rapporto con l’interdizione e l’inabilitazione
L’interdizione e l’inabilitazione, come già anticipato, sono altri due istituti presenti nel nostro ordinamento sempre indirizzati alla tutela del “soggetto debole”.
Il primo è disciplinato dall’art 414 c.c. e si presenta come uno strumento rivolto a tutelare tutti coloro che, a causa di una condizione di abituale infermità mentale, sono totalmente incapaci di agire o di provvedere ai propri interessi, quindi l’interdetto sarà completamente privo della capacità legale di agire, mentre il secondo si presenta come uno strumento meno rigido rivolto a quei soggetti che non presentano infermità talmente gravi da far ricorso all’interdizione, privandoli della capacità di compiere atti eccedenti l’ordinaria amministrazione (possono quindi contrarre matrimonio e disporre testamento).
La principale differenza tra gli istituti in esame sta nel quantum di capacità sottratta al beneficiario.
La dottrina sosteneva che “L’interdetto e, per la straordinaria amministrazione, l’inabilitato, sono incapaci di agire salvo che per gli atti autorizzati dal giudice, mentre il sostenuto è capace di agire, salvo che per gli atti in cui è sostituito o assistito dall’amministratore (art. 409 c.c.). Si può così evitare di ricorrere all’interdizione o all’inabilitazione, considerata come una deminutio e quindi umiliante per il soggetto” [4].
Occorre rilevare che prima della riforma del 2004 al sussistere della malattia mentale il giudice pronunciava obbligatoriamente l’applicabilità degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Il primo, però, si presentava come una misura poco valida nel proteggere l’infermo in quanto andava a lederne la dignità e a limitare alcuni dei diritti fondamentali della persona[5].
Il secondo, invece, era semplicemente da considerarsi inefficace e non più applicabile dopo l’entrata in vigore dell’amministrazione di sostegno.
La sentenza n. 13584/2006
Carattere residuale dell’interdizione
È doveroso premettere che la Dottrina (o perlomeno, la maggior parte di essa) ha sempre mostrato un atteggiamento ostile nei confronti dell’interdizione e dell’inabilitazione poiché li considera come degli istituti anacronistici e costituzionalmente poco orientati.
Infatti, già nella Bozza Cendon del 1986, propedeutica alla riforma del 2004, veniva evidenziato che “l’interdizione appare come una figura poco valida per la tutela del soggetto debole perché funzionale prevalentemente agli interessi dei familiari o dei terzi e che finisce per comprimere o addirittura annullare alcuni dei diritti fondamentali della persona, risultando sproporzionata rispetto al suo fine, cioè la salvaguardia della maggioranza dei sofferenti psichici”[6].
Ciò che si lamentava, dunque, dell’interdizione era una violazione dell’art. 3 Cost. e del “Principio di autodeterminazione della persona”.
Invece, il nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno introdotto nel 2004, con il suo carattere, duttile e modulabile in base alle specifiche esigenze del beneficiario, costituì un elemento rilevante ai fini dell’attuazione del principio di uguaglianza contenuto nell’art. 3 Cost.
Inoltre, è evidente come lo stesso, rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, appaia più moderno e costituzionalmente orientato, in un campo certamente Europeista, nel pieno rispetto di quel principio di autodeterminazione della persona che sempre dovrebbe orientare questa sfera del diritto[7].
Così, la stessa Corte di Cassazione, seguendo la linea così tracciata, si pronunciò sulla materia e, nel 2006, con la sentenza N.13584, precisò che “si esclude che si faccia luogo all’interdizione tutte le volte in cui la protezione del soggetto abitualmente infermo di mente, ovvero incapace di provvedere ai propri interessi, sia garantita dallo strumento dell’amministrazione di sostegno”.
La pronuncia è di straordinaria rilevanza perché conferisce un carattere residuale all’interdizione: da questo momento il Giudice dovrà applicare l’amministrazione di sostegno e, solo quando questo istituto risulterà inadeguato alla protezione del soggetto beneficiario, potrà valutare la necessità di procedere all’interdizione o all’inabilitazione[8].
Prospettive di una nuova riforma
L’orientamento fissato dalla Corte di Cassazione nella sentenza N. 13584/2006 è stato più volte ribadito con ulteriori pronunce, fino ai giorni nostri, con le quali la stessa ha relegato al rango di extrema ratio l’istituto dell’interdizione (es. nei casi di autolesionismo).
L’inabilitazione invece è stata quasi totalmente sostituita dall’amministrazione di sostegno: dando uno sguardo anche solo ai primi dieci anni di vita dell’istituto in questione (decennio 2004/2014) la casistica che emerge è assai ampia e va a ricoprire tutti quei casi in cui, precedentemente, si faceva appunto ricorso all’inabilitazione[9].
Arrivati a questo punto è interessante analizzare che, la “sopravvivenza positiva” dei due istituti codicistici, non sembrerebbe trovare serie giustificazioni neppure entro il ristretto e residuale spazio di operatività che la Cassazione sembra loro riconoscere, questo perché l’amministrazione di sostegno, date le sue peculiari caratteristiche, si presenterebbe come una figura in grado di far fronte pure a quelle situazioni di extrema ratio richiamate dalla Suprema Corte.
Seguendo questo ragionamento ci si potrebbe allora chiedere se sia opportuno procedere a un’eliminazione totale dei due vecchi istituti di tutela e ad un conseguente rafforzamento dell’amministrazione di sostegno.
In effetti, un tentativo di riforma in tal senso è stato effettuato nel 2014 con la proposta di legge N. 1985, presentata alla camera ma persa nei meandri della commissione giustizia.
Questa proposta di legge fu denominata “Rafforzamento dell’amministrazione di sostegno e abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione”, ispirandosi totalmente, nel nome e nei contenuti, all’omonimo saggio pubblicato dal prof. Paolo Cendon nello stesso anno.
Difficile giudicare se il progetto in questione potesse essere un’effettiva innovazione oppure un danno per il nostro sistema giuridico, certo è che ha aperto le porte per una seria riflessione sull’amministrazione di sostegno, sulle molteplici possibilità di utilizzo di questo istituto, sull’inadeguatezza degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, su come gli altri paesi Europei abbiano affrontato questa tematica e soprattutto su di una possibilità di snellimento del nostro codice civile.
In molti ritengono che tutto ciò che si può fare con l’interdizione e l’inabilitazione, lo si possa fare meglio con l’amministrazione di sostegno. Ma siamo sicuri che ciò sia vero e che non si andrebbe solo incontro a un vuoto di tutela? Che lo spazio lasciato vuoto dall’abrogazione dei due vecchi istituti possa essere adeguatamente colmato dal nuovo?
Tanti gli interrogativi e tante le eventuali e possibili risposte, in un sistema giuridico, come il nostro, in continuo mutamento e in continua evoluzione.
[1] G. CASSANO, L’amministrazione di sostegno nella giurisprudenza, Maggioli Editore, 2008.
[2] P. CENDON, Amministrazione di sostegno, motivi ispiratori ed applicazioni pratiche, Torino:” l’amministratore di sostegno è un amministratore col cuore. Un amministratore che non deve soltanto salvare un patrimonio, ma aiutare, sorreggere, consigliare, una persona umana: ricordando cioè che per la qualità del soggetto affidato può essere più importante poter dormire con un orsacchiotto di velluto, piuttosto che saper fare esattamente la sua denuncia dei redditi”.
[3] K. MASCIA, L’amministrazione di sostegno nella dottrina e nella giurisprudenza, Key Editore, 2016.
[4] Gazzoni, Manuale di diritto privato, XI ed., Napoli, 2016.
[5] ANTONICA, L’amministrazione di sostegno: un’alternativa all’interdizione e all’amministrazione, in Famiglia e diritto, 2004
[6] P. CENDON, Bozza Cendon, 1986
[7] P. CENDON, R. ROSSI, Rafforzamento dell’amministrazione di sostegno e abrogazione dell’interdizione e dell’inabilitazione, Key editore, 2014.
[8] VENCHIARUTTI, Il discrimen tra amministrazione di sostegno, interdizione e inabilitazione al vaglio della Corte costituzionale, in Nuova giur. civ. comm., 2006
[9] Fonte: AIASS (Associazione Italiana Amministratori di Sostegno Solidali)