lunedì, Dicembre 2, 2024
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Land grabbing: una panoramica sul diritto internazionale

Premessa

Il presente contributo rappresenta il primo di una serie articoli volti ad approfondire altrettante il fenomeno del c.d. land grabbing[1]  – noto anche come rush for land o land investment – che trae origine, secondo la dottrina maggioritaria[2], dalla crisi economico-finanziaria del 2007/2008. Il land grabbing, infatti, può essere considerato una ‘riscoperta’ della terra come bene produttivo e di consumo da parte dei più importanti attori presenti nel commercio internazionale, ossia Stati, compagnie finanziarie, banche, fondi di investimento e multinazionali. Tali soggetti, difatti, da anni sono soliti investire parte del loro capitale all’acquisto di vasti appezzamenti di terreno coltivabile in nazioni straniere per sopperire alla mancanza di derrate agricole e combustili.

In questo primo articolo, di conseguenza, ci si soffermerà sui documenti di diritto internazionale applicabili al tema; nel secondo si darà conto dell’approccio tenuto dall’Unione Europea; nel terzo, infine, verranno analizzati i regimi dominicali di alcune nazioni africane, dando conto degli elementi di criticità ivi presenti che hanno reso particolarmente fiorente il land grabbing nel continente.

Gli atti dell’ONU applicabili al land grabbing

Come appena esposto, il land grabbing può essere definito come l’acquisto o l’affitto (con contratti di lunga durata) di terreni coltivabili in nazioni straniere a fini di investimento. Dato il suo carattere transnazionale, è logico che possano trovare applicazione al land grabbing alcuni documenti – provenienti soprattutto dall’ONU o da Agenzie delle Nazioni Unite – riguardanti temi come la sovranità territoriale, il diritto all’autodeterminazione dei popoli o lo sfruttamento del suolo. L’applicazione di alcune risoluzioni e dichiarazioni, infatti, è stato ritenuta possibile anche da parte della dottrina[3].

Dal punto di vista puramente cronologico, il primo atto (rientrante nel soft law) ricco di spunti per la tematica dell’accaparramento delle terre è la Risoluzione delle Nazioni Unite n. 1803/62, riguardante proprio la sovranità permanente dei popoli e delle Nazioni sulle risorse naturali. Nonostante tale risoluzione risalga ad oltre cinquant’anni fa, in essa sono contenuti alcuni principi in netto contrasto con la prassi degli investimenti stranieri sulla terra. A titolo esemplificativo, infatti, nella Risoluzione viene affermato che “the free and beneficial exercise of the sovereignty of peoples and nations over their natural resources must be furthered by the mutual respect of States based on their sovereign equality[4]. È chiaro come il riconoscimento di una sovranità in capo sia entità statali che alle popolazioni locali si ponga in netto contrasto con le mire predatorie tenute dagli investitori stranieri, incuranti di consultare le popolazioni locali. Di solito, infatti, gli accordi di cessione o affitto dei terreni coltivabili sono concordati soltanto tra i governi delle Nazioni interessate, senza il consenso espresso dei popoli locali.

La mancanza del consenso continua a persistere ancora oggi, nonostante la successiva Dichiarazione ONU sui diritti del popoli indigeni (2007). Tale atto rappresenta il documento conclusivo approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dopo un ampio e lungo dibattito in seno alla Commissione dell’ONU sui diritti umani. Sebbene tale atto non sia vincolante, riconosce, comunque, una serie di diritti per i popoli indigeni, come quello alla preservazione della cultura delle popolazioni indigene ed alla loro autodeterminazione.

Nonostante ciò, la Dichiarazione è stata oggetto di svariate critiche al momento della votazione: i rappresentanti del Canada e della Nuova Zelanda hanno manifestato forti perplessità sui contenuti del documento, mentre il rappresentante degli Stati Uniti ha espresso voto contrario. Inoltre la dottrina stessa considera tale documento per nulla innovativo ma semplicemente riproduttivo del diritto internazionale sedimentatosi in materia[5].

Simili critiche erano state rivolte, peraltro, alla Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati (Risoluzione ONU n. 3281/74) dove – invano – si tentò di conciliare “the promotion by the entire international community of the economic and social progress of all countries, especially developing countries” con “the protection, preservation and enhancement of the environment[6].

Relativamente recenti, infine, sono i cd. PRAI or RAI (Principles of Responsible Agriculture, 2014), un insieme di dieci principi che spaziano dal cibo, alla sicurezza, all’accesso all’acqua fino ad arrivare al patrimonio culturale, redatti appositamente per fronteggiare il  land grabbing. Tuttavia, pur essendo stati compilati proprio per fornire una piattaforma comune in materia di land grabbing, anch’essi peccano sul fronte dell’originalità e dell’innovatività: basti pensare, per esempio, che nel Principio 9 Punto II, viene – ancora una volta – rimarcata la mancanza di “sharing of information relevant to the investment, in accordance with applicable law, in an inclusive, equitable, accessible, and transparent manner at all stages of the investment cycle.

Il diritto contrattuale internazionale: la prospettiva dell’UNCITRAL e dell’UNIDROIT

Un’altra fonte internazionale sul land grabbing è il diritto contrattuale internazionale: tra i documenti più significativi rientrati in tale ambito vi sono la “Legislative Guide on Privately Financed Infrastructure Projects” realizzata dall’UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law) nel 2000 e la “Legal Guide on Contract Farming” sviluppata dall’UNIDROIT nel 2012.

Anche in questo caso i risultati pratici raggiunti dai due documenti sono stati marginali.

Nel caso dell’atto ‘para-legislativo’ dell’UNCITRAL, nonostante per alcuni autori rappresenti ancora un punto di riferimento[7], si è di fronte ad un palese insuccesso dovuto soprattutto alla possibilità – riservata ai governi nazionali – di modificare e persino eliminare intere parti del testo. Tutto ciò si riflette, logicamente, sull’effettività del documento; è, di conseguenza, assai difficile riconoscere una sufficiente capacità vincolante ad un testo emendabile in ogni sua parte e, potenzialmente, interamente modificabile dagli Stati e da altri attori internazionali.

Anche la più recente “Legal Guide” dell’UNIDROIT condivide gli stessi aspetti critici delle Risoluzione e Dichiarazioni analizzate poc’anzi: anche se dedicata ai contratti agrari nel commercio internazionale, essa si risolve in un mero stimolo – rivolto esclusivamente ai governi – a rivedere le norme contrattuali esistenti nei diritti interni. Anche in questo caso, dunque, l’adozione concreta di regole e principi è lasciata ad una libera iniziativa degli Stati.

Lo scopo precipuo del documento predisposta dall’UNIDROIT sarebbe dovuto essere “to develop a collaborative model contract that involves a partnership between an investor, on the one hand, and small farmers and their communities, on the other, and that geniunely shares value between the parties[8]. Nonostante ciò, però, data la subordinazione delle regole ivi contenute alla volontà dei governi nazionali, la realizzazione di un model contract standarizzato per la conclusione di accordi riguardanti l’acquisto di terreni coltivabili pare essere un risultato praticamente impossibile da raggiungere nel medio – lungo periodo.

[1] Secondo l’Oxford Dictionary un land grabber è “a person who seizes and possesses land in an unfair and unlawful manner”. Definizione disponibile su  www.oxforddictionaries.com/definition/english/land-grabber

[2] Cfr. S. LIBERTI, Land Grabbing: come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo, Minimum Fax Editore, Roma, seconda edizione, 2015

[3] Cfr. M. NINO, “Land grabbing”, sovranità territoriale e diritto alla terra di popoli indigeni, in Diritti umani e diritto internazionale, Fasc. 1/2016, p. 185 ss.; M. NINO, Land grabbing e sovranità territoriale in diritto internazionale, Napoli, ESI, 2018; L. COTULA – S. VERMEULEN – R. LEONARD – J. KEELEYITA, Land grab or development opportunity? Agricoltural investment and international deals in Africa,  Leonard and James Keeleyita, Report FAO, 2009.

[4] Art. 5 della Risoluzione n. 1803/62. Il testo completo è disponibile al seguente link: https://www.ohchr.org/Documents/ProfessionalInterest/resources.pdf

[5] O. DE SCHUTTER, The emerging human right to land, in International Community Law Review, 2010, p. 303.

[6] Per il testo completo della Risoluzione n. 3281/74 v. https://www.aaas.org/sites/default/files/SRHRL/PDF/IHRDArticle15/Charter_of_Economic_Rights_and_Duties_of_States_Eng.pdf

[7] Per esempio, C. NICHOLAS, Devising transparent and efficient concession award procedures, in Uniform Law Reviev, Fasc. 1 – 2/2012, p. 104 ss.

[8] M. MANFREDI, Land investments and “land grabbing”: the need for a legal framework, in Diritto del commercio internazionale – pratica internazionale e diritto interno, Vol. 27/2013, p. 832.

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