L’apolidia nei sistemi internazionali di tutela dei diritti umani: America latina ed Europa a confronto
A cura di Dott.ssa Alessia Strigini, Laureata con pieni voti assoluti e lode in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Milano. Praticante avvocato.
Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, un nuovo soggetto si affianca a quelli già esistenti nel panorama internazionale: l’individuo. La centralità dell’essere umano si afferma con decisione nei decenni successivi e, con essa, le fonti del diritto internazionale riguardanti la tutela dei suoi diritti. Tra questi, si inserisce anche il diritto alla nazionalità: ogni individuo ha diritto ad averne una e a non essere privato in maniera arbitraria della propria, ovvero del diritto a cambiarla. Tale collocazione può apparire quantomeno controversa. Da un lato, infatti, la regolamentazione di come la cittadinanza viene acquisita da o conferita a un individuo è da molti considerata materia di competenza esclusivamente interna di ciascuno Stato; dall’altro, è stato e continua a essere prodotto materiale giuridico-normativo in ambito internazionale sulla necessità che gli Stati non lascino alcun individuo privo di ogni nazionalità, dal momento che tale condizione può, nella maggior parte dei casi, rendere difficile, se non impossibile, la fruizione dei diritti anche fondamentali, garantiti da ogni Stato.
La crescente attenzione alla tutela dei diritti umani porta quindi la comunità internazionale a riconoscere la cittadinanza come uno di questi, e a preoccuparsi di quelle situazioni in cui l’assenza di qualsiasi cittadinanza possa compromettere il godimento dei diritti fondamentali dell’individuo. Questa condizione prende il nome di apolidia. Nonostante la produzione normativa e gli sforzi compiuti verso la sua eradicazione, l’apolidia è un fenomeno ancora presente, anche se non prioritario, per i suoi numeri relativamente ridotti. Nel report pubblicato nel 2014 dall’UNHCR per lanciare la campagna #iBelong, si stima che nel mondo ci siano almeno dieci milioni di apolidi: almeno dieci milioni di persone che, ufficialmente, non esistono. Non essere cittadini di alcuno Stato ha delle conseguenze che vanno ben oltre la semplice impossibilità di esercitare il diritto di elettorato attivo e passivo: un apolide, nella maggior parte dei casi, non ha un documento di identità e, quindi, non può viaggiare, non può sposarsi, non ne può essere registrata la morte.
Scarica il contributo completo
* Il presente articolo scientifico è stato sottoposto a referaggio ai sensi dell’art. 3 del Regolamento della Rivista e pubblicato nel Numero 1/2020 della Rivista Semestrale di Diritto.