venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

L’apologia di fascismo: profili normativi e costituzionali

1. Premessa

La tematica inerente il disciolto Partito Fascista e vari movimenti, gruppi extraparlamentari ed anche vere e proprie forze politiche che si ispirano a tale ideologia ha interessato, dal dopoguerra ad oggi, il dibattito politico, giuridico e culturale italiano.
Tale questione, che si barcamena tra il divieto di riorganizzazione sancito dalle disposizione XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione e la libertà di manifestazione del pensiero garantita dalla CEDU e dalla stessa Carta costituzionale, è recentemente tornato in auge a seguito delle proteste e degli scontri avvenuti a Roma.                                                                                                                                                            Proprio sul punto la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha disposto il sequestro preventivo ex art. 321, c. 3-bis, c.p.p. del sito “www.forzanuova.eu“, quale corpo del reato o meglio cosa pertinente al reato, ritenendo configurabile non il reato di apologia di fascismo, bensì quello di istigazione a delinquere in concorso (artt. 414 e 110 c.p.). Con riferimento a tele delitto, la Procura ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale dominante in materia, secondo cui: “ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’articolo 414, comma 3, c.p., non basta l’esternazione di un giudizio positivo su un episodio criminoso, ma occorre che il comportamento dell’agente sia tale per il suo contenuto intrinseco, per la condizione personale dell’autore e per le circostanze di fatto in cui si esplica, da determinare il rischio effettivo della consumazione di altri reati lesivi di interessi omologhi a quelli offesi dal crimine esaltato (Cassazione Penale, Sez. VI, 18/04/2019, n. 31562)“, nonché quello secondo cui: “il delitto di istigazione a delinquere, previsto dall’art. 414 c.p., è reato di pericolo concreto e non presunto e richiede, di conseguenza, per la sua configurazione, un comportamento che sia ritenuto concretamente idoneo, sulla base di un giudizio ex ante, a provocare la commissione di delitti (Cassazione Penale, Sez. V, 12/09/2019, n. 48247, in Cassazione Penale 2020, 7-8, p. 2872)“.

Per la Procura capitolina difatti le espressioni contenute nel comunicato pubblicato nel sito del movimento politico (“Mesi di piazze pacifiche non hanno fermato l’attuazione del Great Reset, ora la musica è cambiata e il direttore d’orchestra e compositore è solo il popolo in lotta – costretto a difendersi dalla ferocia unanime di chi dovrebbe rappresentarlo, l’attacco alla CGIL rientra perfettamente in questo quadro analitico – che ha deciso di alzare il livello dello scontro. Da domani, dal 15 ottobre, e fino a che il green pass non verrà ritirato definitivamente, la rivoluzione popolare non fermerà il suo cammino, con o senza di noisarebbero idonee per ritenere sussistente il fumus commissi delicti del reato in parola, stante la netta caratterizzazione apologetica ed isitigatoria. Per quanto attiene alle esigenze cautelari si osserva che: “La libera disponibilità del sito internet possa ulteriormente aggravare e protrarre le conseguenze del reato ipotizzato, continuando a pubblicizzare metodi di protesta, “di lotta e scontro”, fondati unicamente sulla violenza e sulla prevaricazione”. Tale evenienza: “può essere evitata unicamente disponendo il sequestro preventivo del sito web mediante il cd. “oscuramento”, in modo tale da impedirne la consultazione da parte degli utenti della rete e l’ulteriore utilizzo da parte degli autori del reato”. Le ragioni di tale provvedimento, che in quanto misura cautelare reale è soggetta alla riserva di legge e di giurisdizione e quindi applicabile solamente da un giudice, si fondano sulla asserita volontà di Forza Nuova di proseguire nella supposta attività delittuosa, ricavabile – secondo l’organo inquirente – da una parte del comunicato (“e non si fermerà“).

Effettuato questo breve ma doveroso excursus sui fatti recentemente occorsi, il cui procedimento penale è ancora pendente in fase di indagini con tutte le conseguenze del caso, pare utile analizzare la questione inerente lo stato dell’arte di quella che può sembrare a prima vista una mera questione politica e sociale, ma che in realtà è un coacervo di norme e pronunce giurisprudenziali e costituzionali, nonché di elementi storici che tratteggiano la cornice di un quadro dalle forme impressioniste.

2. Evoluzione storica della normativa.

Nell’ordinamento italiano sono molteplici le norme che, a vario titolo, riguardano le organizzazioni o i partiti che si ispirano al regime fascista.
La prima fonte ha rango costituzionale e riguarda in particolare la ricostituzione del disciolto Partito Fascista; la disposizione XII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista: questa norma ha notevole rilievo perché rende inapplicabile, nei confronti dei movimenti fascisti, la libertà di associazione, prevista dall’art. 18 Cost (1).
Una prima disposizione in tal senso si è avuta con la L. 20 giugno 1952, n. 645 (c.d. legge Scelba), la quale ha vietato la riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto Partito Fascista e previsto i reati di apologia di fascismo, di istigazione e reiterazione delle pratiche tipiche e proprie del partito e del regime cessati.
Le disposizioni normative in parola intendevano punire, nell’immediato dopoguerra, i fenomeni di discriminazione e le manifestazioni dei movimenti fascisti, contrarie ai principi costituzionali.
La legge Scelba ha costituito un indubitabile punto di riferimento sul piano strutturale per le nuove fattispecie incriminatrici di discriminazione razziale introdotte dalla legge 13 ottobre 1975, n. 654 (c.d. legge Reale), di ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale di New York sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, le cui disposizioni sono state successivamente modificate dalla legge 25 giugno 1993, n. 205 (c.d. legge Mancino) (2).
Si evince quindi che la legge Scelba si pone come fondamenta delle disposizioni normative, che sono state emanate successivamente, attraverso le quali il legislatore ha inteso punire ogni tipo di discriminazione, etica e razziale comune ai regimi costituitesi nel primo dopoguerra.
In particolare la legge Mancino ha disciplinato specifiche ipotesi di delitto per la repressione delle condotte di propaganda delle idee fondate sulla superiorità della razza e di istigazione a commettere violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, anche se non legate alla dottrina fascista.
In tempi più recenti inoltre, ad opera del D. Lgs. 1 marzo 2018 n. 221, sono stati introdotti nel codice penale gli artt. 604-bis e 604-ter c.p nei quali è stato riversato il testo delle disposizioni di cui all’art. 3 L. 654/1975 ed all’art. 3 D.L. 122/93.
L’attuale art. 604-bis, c. 1, c.p., oltre alle condotte di propaganda, esplicate con l’incitamento o la diffusione, punisce anche gli atti discriminatori, comportamenti di arbitraria differenziazione razziale dell’individuo, pur se posti in essere in forma isolata, mentre i motivi che caratterizzano l’azione criminosa (razziali, etnici o religiosi), prima riferiti alla qualità delle persone offese, sono stati trasposti sul piano soggettivo della fattispecie, caratterizzanti il dolo specifico.
Per quanto attiene l’ipotesi associativa di cui all’art. 604-bis, c. 3, c.p., oltre all’introduzione delle motivazioni etniche, nazionali e religiose, viene estesa anche alle ipotesi di movimenti e di gruppi, in conformità alle scelte incriminatrici già effettuate in tema di attività di riorganizzazione del disciolto Partito Fascista dall’art. 7 L. 654/75.
Una parte della dottrina (3) ha evidenziato che potrebbero sussistere alcuni casi di interferenza con le disposizioni della legge Scelba e le disposizioni di cui all’art. 604-bis, c. 1, lett. a) e b); proprio per tale ragione queste ultime norme sono caratterizzate da una clausola di riserva generale – espressione del principio di sussidiarietà – che ne impone l’applicazione solo nel caso in cui le condotte non siano punite in modo più grave da altra disposizione.

3. Profili di legittimità costituzionale e giurisprudenziali.

Alcune criticità, di rilievo costituzionale, hanno interessato l’art. 5 della legge Scelba che vieta la manifestazione o l’esposizione di simboli riconducibili al disciolto Partito Fascista, ovvero di organizzazioni naziste.
Difatti la Corte costituzionale, con le sentenze 16 gennaio 1957 n. 1 e 25 novembre 1958 n. 74, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4 e 5 della legge Scelba, con argomentazioni di carattere generale che riguardano l’intero impianto della legge.
Entrambe le sentenze fondano la loro decisione sul testo della XII disposizione transitoria e ritengono che – per ritenere la possibilità di sanzionare penalmente le condotte vietate – sia necessario accertare che tali condotte abbiano creato un pericolo di riorganizzazione del partito fascista.
La sentenza n. 1/57, con riferimento all’apologia di fascismo (art. 4), ritiene che non sia sufficiente una difesa elogiativa del regime ma che debba trattarsi di una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista.
La sentenza n. 74/58, che ha esaminato il problema in relazione alle manifestazioni fasciste (art. 5), ha affermato analoghi principi precisando peraltro che deve ritenersi la legittimità costituzionale non solo delle sanzioni penali che prendono in considerazione soltanto gli atti finali e conclusivi della riorganizzazione, bensì anche di quelli idonei a creare un effettivo pericolo di tale riorganizzazione.
Non è quindi sufficiente che le condotte pongano in essere attività astrattamente qualificabili come apologia di fascismo e manifestazioni fasciste, ma è necessario che il fatto trovi nel momento e nell’ambiente in cui è compiuto circostanze tali da renderlo idoneo a provocare adesione e consensi e a concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni fasciste.
Da ultimo la Corte costituzionale ha nuovamente esaminato la questione con la sentenza 14 febbraio 1973 n. 15, dichiarandone l’infondatezza.
Orbene se si analizzano le pronunce della Corte Costituzionale si evince come la fattispecie di cui all’art. 5 L. 645/52 si configuri come un reato di pericolo concreto.
Tuttavia per un’altra tesi dottrinale (4) il contenuto delle manifestazioni simboliche che ricordano l’ideologia fascista o nazista assumono un rilievo assorbente sul piano della offensività, per effetto dell’attuazione della XII Disposizione, non essendo necessario individuare una idoneità in concreto e funzionalità di tali condotte alla riorganizzazione del disciolto partito fascista, ove si svolgono in ambito pubblico, che per sua natura può consolidare il consenso intorno a tali idee e realizzare un effetto di turbamento della pacifica civile convivenza.
La questione, come prevedibile, ha interessato anche la giurisprudenza di legittimità la quale ritiene che la fattispecie di cui all’art. 5 L. 645/52, come modificato dall’art. 11 della L. 22 maggio 1975, n. 152, sia inquadrabile come un reato di pericolo concreto, che non sanziona le manifestazioni del pensiero e dell’ideologia fascista in sé, in ragione delle libertà garantite dall’art. 21 Cost., ma soltanto ove le stesse possano determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste (5).
La Corte di Cassazione (6) con una recente sentenza si è pronunciata circa un episodio, occorso a Milano, durante il quale erano stati posti in essere alcuni comportamenti tipici del regime fascista quali la chiamata del presente, il c.d. saluto romano, e l’esposizione di uno striscione inneggiante ai camerati caduti e di numerose bandiere con croci celtiche (7); la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano aveva contestato la violazione dell’art. 5 L. 645/52.
La Corte, rendendo inammissibile il ricorso, ha richiamato due pronunce della Corte Costituzionale, già evidenziate in precedenza, che prendono in considerazione solamente quelle manifestazioni che possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste, ovvero di quelle manifestazioni che siano idonee a provocare consenso della massa nei confronti del partito disciolto.
Nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che vi fosse una mera commemorazione del corteo, del quale avevano già concordato le modalità: silenzio, privo di inno, canti o slogan evocativi dell’ideologia fascista e l’assenza di comportamenti aggressivi, armi o altri strumenti.
Alla luce delle libertà garantite dall’art. 21 Cost., secondo l’orientamento assunto dalla Corte di Cassazione andrebbero penalmente sanzionate solamente quei comportamenti che siano in grado di suggestionare concretamente le folle inducendo degli astanti sentimenti nostalgici in cui ravvisare un serio pericolo di organizzazione del partito fascista.
È quindi necessario esaminare tale rapporto non soltanto in virtù delle libertà costituzionali ma anche alla luce dell’art. 10 CEDU, il quale, parimenti all’art. 21 Cost, garantisce all’individuo la libertà di manifestazione del pensiero e di stampa.
Tale principio consente, però, la limitazione della predetta libertà in tre casi: quando tale restrizione sia espressamente prevista per legge, quando la conseguente interferenza col diritto di espressione persegua i fini previsti dal medesimo articolo 10 e quando l’interferenza si concretizzi in misure necessarie e proporzionali sia allo scopo perseguito, sia al fatto al quale s’intende reagire.
In definitiva quindi, secondo la Suprema corte, deve essere il giudice di merito, nel singolo caso concreto, a valutare le condizioni ambientali e psichiche nelle quali il saluto romano sia in grado di creare consenso ed una base solida affinché si possa ricostruire il partito fascista.
In tempi ancora più recenti la Corte di Cassazione (8) è stata investita della questione inerente il saluto romano e la conseguente violazione dell’art. art. 2 D.L. 122/93.
La Corte nella motivazione ritiene che: “(…) il “saluto fascista” o “saluto romano” costituisce una manifestazione gestuale che rimanda all’ideologia fascista e ai valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza sanzionati dall’art. 2 del decreto-legge n. 122 del 1993, evidenziando che la fattispecie contestata  non richiede che le manifestazioni siano caratterizzate da elementi di violenza, svolgendo una funzione di tutela preventiva, che è quella propria dei reati di pericolo astratto”.
Nel caso de quo quindi il “saluto fascista” accompagnato dalla parola “presente” integra, a dire della Corte, la fattispecie dell’art. 2 D.L. 122/93, per la connotazione di pubblicità che qualifica tale espressione gestuale, evocativa del disciolto partito fascista, che appare pregiudizievole dell’ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi.
Di particolare interesse è la circostanza che i Giudici di legittimità si soffermino sulla natura del delitto in parola configurandolo come un reato di pericolo astratto che impone, per la sua configurazione, che sia accertata l’idoneità della condotta a offendere il bene giuridico, contestualizzando il comportamento dell’agente attraverso un giudizio ex ante.
Tuttavia, la stessa Cassazione ha valutato la condotta dell’imputato alla luce delle circostanze concrete apparentemente avallando il giudizio di prognosi ex ante in concreto svolto dalle corti di merito, che, però, attiene all’accertamento dei reati di pericolo concreto.
In effetti, se il reato fosse stato di pericolo effettivamente astratto il giudice avrebbe potuto limitarsi a valutare la sussumibilità del comportamento dell’imputato all’interno della fattispecie astratta, prescindendo dalle circostanze del caso concreto (9).
Orbene la citata contestualizzazione presuppone in definitiva un accertamento finalizzato a verificare se la condotta dell’imputato è astrattamente idonea a essere percepita come manifestazione esteriore o come ostentazione simbolica ed emblematica delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi di cui all’articolo 3 L. 654/75.
Le argomentazioni della Suprema Corte forniscono una chiave di lettura in ordine al discrimine tra il delitto di esibizionismo razzista di cui all’art. 2 della Legge Mancino e il delitto di manifestazioni fasciste di cui all’art. 5 L. 645/52.
Il compimento, in pubbliche riunioni, di manifestazioni tipiche e connotanti il partito fascista può rilevare ai sensi di entrambe le norme.
La differenza tra le disposizioni menzionate inerisce al bene giuridico tutelato: quello dell’art. 2 della legge Mancino va individuato nell’ordine pubblico in senso materiale, vale a dire nella condizione di pacifica convivenza immune da disordine e violenza, mentre il bene giuridico tutelato dall’art. 5 della legge Scelba va rinvenuto nella sicurezza dell’ordinamento costituzionale.
Apparentemente una seconda differenza tra le norme in esame potrebbe essere ravvisata anche nella natura del pericolo scaturente dalla condotta incriminata: pericolo astratto nell’art. 2 della legge Mancino, pericolo concreto nell’art. 5 della legge Scelba (10).

4. Conclusioni.

Dovendo redigere le conclusioni di quella che, come già evidenziato nelle prima pagine, risulta essere una questione di ordine storico e giuridico i cui effetti si ripercuotono sulla realtà sociale e politica pare utile riassumere per sommi capi i punti salienti dell’evoluzione storica delle norme, nonché dell’inquadramento giurisprudenziale.
Per dare applicazione alla XII disposizione transitoria della Costituzione venne approvata la c.d. legge Scelba (legge 20 giugno 1952 n. 645) la quale, mutuando appunto la disposizione costituzionale, vietava la riorganizzazione del disciolto Partito Fascista, da intendersi quale un movimento che persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.
La legge prevede pesanti sanzioni penali per chi venga condannato per questo reato e sanzioni di minor gravità per i reati di apologia del fascismo (art. 4) e di manifestazioni fasciste (art. 5).
Per tale ultimo reato la L. 152/75 ha tuttavia previsto, all’art. 11, un significativo aggravamento di pena con la trasformazione in delitto dell’ipotesi contravvenzionale (11).
Ulteriore apporto in materia è arrivato dalla L. 654/75 (ratifica della convenzione di New York del 7 marzo 1966 contro la discriminazione razziale) e che ha trovato compiuta applicazione con la L. 205/93 (c.d. legge Mancino, la quale ha convertito il D.L. 26 aprile 1993 n. 122 contenente misure urgenti in tema di discriminazione razziale, etnica e religiosa, riformulando anche l’art. 3 l. 654/75).
Infine, ad opera del D. Lgs. 221/18, sono stati introdotti nel codice penale gli artt. 604-bis e 604-ter c.p nei quali è stato riversato il testo delle disposizioni di cui all’art. 3 L. 654/75 ed all’art. 3 D.L. 122/93.
La combinazione di queste norme potrebbe porre in essere dei casi di interferenza; conseguentemente il legislatore ha previsto che le disposizioni di cui all’art. 604-bis, c. 1, lett. a) e b) sono caratterizzate da una clausola di riserva generale – espressione del principio di sussidiarietà – che ne impone l’applicazione solo nel caso in cui le condotte non siano punite in modo più grave da altra disposizione.
Della questione, come esplicitato sub. 3, si è anche occupata la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione.
Per la Consulta infatti sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 4 e 5 della legge Scelba in quanto è necessario accertare che tali condotte abbiano creato un pericolo di riorganizzazione del partito fascista; conseguentemente la Corte Costituzionale ed anche la giurisprudenza di legittimità qualificano la fattispecie di cui all’art. 5 L. 645/52 come un reato di pericolo concreto.
Al contrario invece l’art. 2 D.L. 122/93 è un reato di pericolo astratto, essendo il pericolo implicito nella stessa condotta ritenuta per comune esperienza pericolosa, con la conseguenza che si rende superflua ogni indagine in merito alla sussistenza del pericolo medesimo.
Per concludere quindi la qualificazione di uno dei delitti in parola come reato di pericolo astratto o concreto non riguarda solamente i manuali accademici o il dibattito dottrinale, ma è anche destinato a produrre effetti nella realtà quotidiana.
Con riferimento al reato previsto dall’art. 5 L. 645/52 il giudice dovrà valutare, nel singolo caso, le condizioni ambientali e psichiche nelle quali il saluto romano sia in grado di creare consenso ed una base solida affinché si possa ricostruire il partito fascista, mentre per quanto attiene il delitto ex art. 2 D.L. 122/93 occorre accertare l’idoneità della condotta a offendere il bene giuridico, contestualizzando il comportamento dell’agente attraverso un giudizio ex ante.
Tali differenze non sono di poco conto, perché pongono il discrimen tra una condotta penalmente sanzionata ed una lecita e garantita dai principi cardine dell’ordinamento nazionale ed europeo comune a tutti i cittadini.
Occorre quindi che ogni singolo episodio, da un punto di vista prettamente giuridico, venga analizzato al fine di individuare, alla luce del dettato normativo e dell’orientamento costituzionale e di legittimità, la concreta fattispecie incriminatrice applicabile.

 

(1) C. Brusco, Contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione e applicazione delle leggi di contrasto al neofascismo, in Questione giustizia, 14.05.19

(2) A Nocera, Manifestazioni fasciste e apologia del fascismo tra attualità e nuove prospettive incriminatrici, in Dir. Pen. Cont., 09.05.18, p. 3.

(3) Sulla clausola di riserva contenuta nell’art. 1 della legge Mancino vedi anche Cass., Sez. I, 16 giugno 1999, Crasti, in Riv. Pen., 1999, 735 e Id., Sez. I, 29 ottobre 1993, Freda, ivi, 1994, 900 sul rapporto tra l’ art. 1 L. 20 giugno 1952, n. 645 (riorganizzazione del partito fascista) e l’art. 3, 3° comma, della L. 13 ottobre 1975, n. 654, come sostituito dall’art. 1, comma 1, d. l. 26 aprile 1993, n. 122 e trasfuso nell’art. 604-bis cod. pen. In dottrina, sulla attualità delle disposizioni incriminatrici, cfr. G. Biondi, È ancora attuale la norma che punisce le associazioni finalizzate alla riorganizzazione del disciolto partito fascista?, in Giur. merito, 2006, III, 2474 ss.; A. Caputo, Discriminazioni razziali e repressione penale, in Quest. giust., 1997, 476 ss.

(4) Perduca, Fascismo II) Disposizioni penali sul fascismo, in Enc. Giur., XIV, 1989, p. 5.

(5) A. Nocera, Op. cit., p. 7.

(6) Cass.pen., sez. IV, 14.12.17, n. 8101.

(7) M.E. Orlandini, Apologia al fascicmo e saluto romano, in Ius in itinere, 31.07.18.

(8) Cass.pen., sez. I, 16.05.19, n. 21409

(9)  M. Galli, Dalla cassazione alcune indicazioni per individuare il discrimine tra il delitto di “esibizionismo razzista” (art. 2 co. 1 legge mancino) e il delitto di «manifestazioni fasciste» (art. 5 legge Scelba), in Dir.Pen.Cont., 22.06.19.

(10) I reati di pericolo si distinguono in reati di pericolo concreto e reati di pericolo astratto (o presunto). I reati di pericolo concreto si caratterizzano per la presenza del pericolo quale elemento espresso si fattispecie che, in quanto tale, deve essere oggetto di precipua verifica da parte del Giudice. Nei reati di pericolo astratto, invece, il pericolo costituisce la ratio della norma, in quanto insito, implicito nella stessa condotta ritenuta per comune esperienza pericolosa, con la conseguenza che si rende superflua ogni indagine in merito alla sussistenza del pericolo medesimo. Ciò che conta è la conformità tra fatto concreto e fattispecie astratta. Secondo parte della Dottrina, alla bipartizione sopra ricordata deve essere contrapposta una teoria tripartita che si riconoscere autonomia alla figura del reato di pericolo presunto, che viene così tenuto distinto dal reato di pericolo astratto, e nel quale il pericolo non è necessariamente insito nella condotta, ma è in ogni caso presunto in via assoluta, per cui non è neppure ammessa la prova contraria della sua inesistenza. Una parte della dottrina ritiene che vi sia una ulteriore sottocategoria dei reati di pericolo: i reati di pericolo presunto, che si distinguono sia da quelli di pericolo concreto e sia da quelli di pericolo astratto. Nell’ambito dei reati di pericolo presunto, il pericolo non sarebbe insito nella stessa condotta ma, anzi, sarebbe possibile accertarne l’esistenza di volta in volta. Tuttavia, il legislatore presume il pericolo juris et de jure e non è ammessa la prova contraria sulla sua esistenza, v. F. Mantovani, Diritto penale, Milano, 2017, p. 205. Contra v. E. Gallo, Riflessioni sui reati di pericolo, Padova, 1970, p. 13; G. Marinucci, E. Dolcini, G. L. Gatta, Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, 2018, p. 246. L’opera di ricostruzione dei reati di pericolo qui proposta si rifà totalmente a quella proposta da G. Marinucci, E. Dolcini, Corso di diritto penale 1. Le norme penali: fonti e limiti di applicabilità. Il reato: nozione, struttura e sistematica, Milano, 2001, pp. 559 e ss. Per una panoramica delle diverse ricostruzioni si rimanda alla manualistica, in particolare v. G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2019, p. 218; D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2017, p. 191; F. Palazzo, Corso di diritto penale, Torino, 2018, p. 72; C. Fiore, S. Fiore, Diritto penale. Parte generale, Torino, 2013, p. 192; F. Antolisei, Manuale di diritto penaleParte generale, Milano, 2003, p. 233; M. Galli, Dalla cassazione alcune indicazioni per individuare il discrimine tra il delitto di “esibizionismo razzista” (art. 2 co. 1 legge mancino) e il delitto di «manifestazioni fasciste» (art. 5 legge Scelba), in Dir.Pen.Cont., 22.06.19.

(11) C. Brusco, Op. cit..

L’immagine è tratta da pixabay.

Francesco Martin

Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia. Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica. Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all'esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all'interno degli istituti penitenziari. Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia. Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A - sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell'area penale presso MDA Studio Legale e Tributario - sede di Venezia. Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l'Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati). Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l'Università degli Studi di Udine, nell'ambito del progetto UNI4JUSTICE. Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso "Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell'organismo di vigilanza" - SDA Bocconi. È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. - sede di Venezia.

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