L’applicabilità del diritto internazionale nel “cyberspazio”
Il 30 Agosto l’Unione Europea e l’India hanno avuto il quarto incontro bilaterale in merito all’applicabilità del diritto internazionale nel c.d. cyberspazio; questo incontro rientra in un più ampio schema di incontri propedeutici alla Quinta Conferenza Globale sul Cyberspazio che si terrà a New Delhi il 23 ed il 24 Novembre di quest’anno.
Quando si parla di “cyberspazio” si fa riferimento all’insieme di reti informatiche, incluse le infrastrutture fisiche, che permettono di modificare ed immagazzinare le informazioni; l’uso del termine è ora diventato un sinonimo di Internet.
Secondo il prof. Andreas Zimmermann dell’Università di Postdam, in un articolo pubblicato dall’European Society of International Law (ESIL), la discussa definizione di cyberspazio, è, in ogni caso irrilevante ai fini dell’applicabilità del diritto internazionale, dato che, uno spazio “virtuale” necessita, comunque, di strutture fisiche, localizzate in luoghi specifici, motivo per cui “it still does not constitute some new form of ‘outer space’ where no State could, as a matter of international law, exercise its jurisdiction”, ovvero il cyberspazio non costituisce uno spazio esterno dove potrebbe essere esclusa la giurisdizione degli Stati. Non deve stupire, quindi, che lo stesso incontro UE-India abbia portato alla ri-affermazione dell’applicabilità delle norme di diritto internazionale alle attività poste in essere in Internet.
Nonostante la tesi di Zimmermann sia la più largamente accettata, esistono in seno alla comunità internazionali opinioni contrastanti. Alcuni Stati non ritengono che le norme di diritto internazionale siano estendibili al cyberspazio, ma sarebbero necessari dei trattati ad hoc per regolare la materia; in tal caso, però, il problema sarebbe che, fino alla conclusioni dei trattati appositi, le attività poste in essere nel web non potrebbero essere sottoposte a nessuna norma di diritto internazionale, con evidenti ricadute nelle relazione tra i vari Paesi.
Affermare, d’altro canto, che le norme di diritto internazionale possano regolare le attività nel cyberspazio – come dice Zimmermann – fa sorgere una nuova serie di questioni che infiammano la dottrina.
In primo luogo, l’iter classico utilizzato dal diritto internazionale per la creazione di nuove regole – attraverso numerosi trattati multilaterali – è un processo lungo e che mal si concilia con la velocità con la quale viene ad evolversi lo scenario del tecnologico.
In secondo luogo, vi è una mancanza di volontà da parte di alcuni Stati più avanzati tecnologicamente a regolare le attività su Internet, proprio perché tali Stati sono, spesso, sede di grosse multinazionali che hanno interesse a muoversi in un ambiente de-regolarizzato. A questo si deve aggiungere che gli Stati meno sviluppati hanno pochissimi mezzi per poter regolare il cyberspazio all’interno dei loro confini nazionali. L’insieme di questi due fattori ha portato spesso ad abusi da parte delle grandi multinazionali tecnologiche, abusi che difficilmente possono essere risolti dal singolo legislatore nazionale, proprio per la natura delle infrastrutture utilizzate che spesso non sono localizzate all’interno del territorio nazionale.
Un’altra questione che è stata discussa in dottrina riguarda l’uso della forza. Da un lato ci si è chiesti se determinate attività virtuali, come ad es. attacchi informatici nei confronti di infrastrutture pubbliche di un Paese, possano ricadere nel divieto di uso della forza previsto dall’art. 2 della Carta delle Nazioni Unite e se tali attività violente possano dar diritto all’autodifesa così come previsto dall’art. 51 della Carta N.U.
L’art. 2 della Carta N.U prevede infatti che “i Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite” , collegabile all’art. 51 che prevede la possibilità da parte di un Paese di esercitare il proprio diritto all’autodifesa in risposta ad un attacco armato nei propri confronti.
Secondo il professor Martin R. Flug dell’università di Yale sarebbe possibile far valere il diritto all’autodifesa a seguito di azioni violente commesse nel cyberspazio ai danni di un Paese. Tale posizione è stato ribadita in occasione dell’USCYBERCOM Inter-Agency Conference del 2012, quando gli Stati Uniti hanno dichiarato più volte di voler applicare le attuali regole del diritto internazionale anche agli attacchi informatici paragonandoli ad un qualsiasi attacco di altra natura nei loro confronti; inoltre, bisogna inoltre tener presente che l’America considera, all’interno della propria dottrina di difesa preventiva, come pericolo alla propria sicurezza anche attacchi che non risultino nella morte di propri cittadini, essendo sufficiente una minaccia concreta nei confronti del loro Paese.
Per quanto riguarda lo jus in bello, cioè la parte di diritto internazionale che si applica in caso di conflitto armato tra due o più Paesi, si ritiene, pacificamente, che le norme di diritto internazionali applicabili siano compatibili anche per quanto le attività informatiche. Principi come quello di proporzionalità, quindi, sarebbero pienamente applicabili, in particolare quando tali attività vadano a colpire sistemi informatici di strutture utilizzate anche da civili: come ospedali o centrali elettriche. Il principio di proporzionalità fa riferimento al bilanciamento di interessi che deve avvenire tra “il vantaggio militare derivante dall’attacco e, dall’altro, l‟esigenza umanitaria che l‟attacco non causi vittime e/o danni eccessivi rispetto al vantaggio militare diretto e concreto previsto”.
In conclusione, si può affermare che le problematiche in merito all’applicabilità del diritto internazionale nel cyberspazio sono di varia natura. Questioni che, data la complessità del tema, sono ancora molto lontane dall’essere risolte, nonostante i Paesi dell’area Occidentale si stiano muovendo in maniera sempre più efficace per affrontarle, ne sono testimonianza una nuova serie di incontri sul tema che si terranno a Brussels nel 2018.
Mattia Monticelli è nato a Napoli nel 1993, diplomato al Liceo Scientifico Elio Vittorini ed attualmente studente di Giurisprudenza presso la Federico II di Napoli, collabora con Ius in Itinere per l’area di Diritto Internazionale.
È da sempre appassionato dei risvolti pratici del diritto. Il suo interesse lo ha spinto ad entrare in ELSA Napoli ed a partecipare alla MOOT Court di Diritto Privato fin dal primo anno.
Ama viaggiare e scoprire culture e modi di vivere diversi, questo lo ha portato a studiare, fin dal Liceo, l’Inglese conseguendo numerosi certificati. La voglia di viaggiare lo ha motivato a specializzarsi in futuro nel Diritto Internazionale.
Email: mattia.monticelli@iusinitinere.it