Finita una convivenza è possibile regolarizzare i rapporti patrimoniali? Si può richiedere la restituzione delle spese sostenute o il riconoscimento di determinati diritti sui beni acquistati?
Con la legge 76/2016 è stato introdotto il contratto di convivenza con cui “i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune”[1].
Con tale accordo i conviventi possono, tra gli altri, definire preventivamente i modi e l’entità della contribuzione per le necessità della vita in comune, anche in considerazione delle sostanze e delle rispettive capacità di lavoro professionale e casalingo, nonché scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni.
Il predetto contratto deve però, a pena di nullità, essere redatto per iscritto, con atto pubblico o scrittura privata autenticata. Se non viene utilizzato il suddetto strumento si prevede, in linea generale, che tutti gli esborsi, le attività prestate in costanza di convivenza, ed al fine dello svolgimento della vita familiare, siano state adempiute in esecuzione di doveri morali o sociali, pertanto rientranti nella categoria delle obbligazioni naturali ed irripetibili ai sensi dell’art. 2034 c.c..
Tale impostazione, in determinati e specifici casi, può essere superata riconoscendo all’ex convivente la possibilità di esperire l’azione di arricchimento ex artt. 2041-2042 c.c..
-Azione generale di arricchimento
A norma dell’art. 2041 c.c. “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”.
L’“arricchimento senza causa” è annoverato tra le fonti delle obbligazioni e costituisce uno strumento per ristabilire l’equilibrio patrimoniale tra soggetti.
Il nostro ordinamento prevede che un vantaggio economico ed il corrispondente depauperamento devono avere una giustificazione causale, che può discendere ad esempio dall’esecuzione di un contratto o da un atto di liberalità, o da una disposizione di legge.
In mancanza di tali fonti, si prevedono degli strumenti per tornare in una situazione di equilibrio; così in caso di danneggiamento, che provoca una perdita patrimoniale e non, è previsto il diritto al risarcimento del danno (art. 2043 c.c.) o, ancora, in assenza di un valido contratto, si può agire per la restituzione dell’indebito (art. 2033 c.c.).
Qualora non si rinvenga uno specifico mezzo, già predisposto dal legislatore, è possibile ricorrere all’azione in parola, definita per questo motivo come residuale, proprio in virtù del carattere sussidiario espressamente accordato dal disposto dell’art. 2042 c.c..
Per configurare la fattispecie dell’arricchimento senza causa occorre che una parte abbia conseguito un vantaggio patrimoniale (arricchimento inteso anche nel senso di risparmio di spesa o di perdita evitata) con contestuale impoverimento dell’altra parte, che può concretarsi anche nella perdita o mancato utilizzo di un bene, o nel mancato pagamento di una prestazione. Vi deve essere pertanto tra i due eventi (locupletazione/depauperamento) un nesso di causalità inteso anche nel senso che deve sussistere un unico fatto che genera lo squilibrio patrimoniale.
Ma come si inquadra il predetto istituto nell’ambito delle convivenze di fatto?
È stato riconosciuto, prima a livello giurisprudenziale e poi anche a livello legislativo, che la convivenza more uxorio “assume il rilievo di formazione sociale dalla quale scaturiscono doveri di natura sociale e morale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, da cui discendono, sotto vari aspetti, conseguenze di natura giuridica” e che “eventuali contribuzioni di un convivente all’altro vanno intese, invero, come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell’ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non implicare forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale”[2].
Pertanto, come sopra anticipato, generalmente si riconducono le prestazioni e le contribuzioni eseguite durante la convivenza nell’alveo delle obbligazioni naturali.
Ma esistono dei limiti, travalicati i quali è esperibile anche in questi casi l’azione di arricchimento.
È stato osservato infatti che, al fine della sussistenza di un’obbligazione naturale, che giustificherebbe lo spostamento patrimoniale da un convivente all’altro, occorre provare non solo l’esistenza di un dovere morale o sociale, ma anche che il suddetto dovere sia stato adempiuto in modo spontaneo e con una prestazione avente carattere di proporzionalità ed adeguatezza.
La Corte di Cassazione ha al riguardo statuito che “l’assunto tendente a prefigurare una sorta di inconciliabilità logico-giuridica tra la convivenza more uxorio e l’azione di arricchimento senza causa, postula che le prestazioni stesse trovino la loro giustificazione nel rapporto di convivenza e, cioè, che si tratti di prestazioni rese nell’adempimento dei doveri di carattere morale e civile di solidarietà e reciproca assistenza che, avuto riguardo alle condizioni sociali e patrimoniali delle parti, devono presiedere alla famiglia di fatto; mentre quando risulti che le prestazioni rese da un convivente e convertite a vantaggio dell’altro esorbitano dagli indicati limiti di proporzionalità e adeguatezza allora è configurabile una mera operazione economico-patrimoniale, comportante un ingiustificato arricchimento del convivente more uxorio con pregiudizio dell’altro.”[3]
In base al predetto principio, tutte le prestazioni che di fatto hanno prodotto un vantaggio patrimoniale proprio di un convivente e che non siano ritenute indispensabili al normale svolgimento della vita di coppia e/o familiare, possono essere considerate come un ingiustificato arricchimento, che legittimano l’altro convivente a richiedere un indennizzo per riequilibrare lo squilibrio patrimoniale creato.
È evidente che nella valutazione dei sopra richiamati limiti/principi di proporzionalità ed adeguatezza, il giudice valuta la consistenza della prestazione rapportata alle condizioni sociali e alla capacità economica del soggetto che invoca il sopravvenuto depauperamento.
Sulla scorta di tali premesse il Supremo Collegio ha ad esempio ritenuto legittima l’azione di arricchimento svolta da un soggetto nei confronti degli eredi del proprio ex convivente, per vedersi riconoscere l’indennizzo per gli esborsi effettuati per l’acquisto di immobili intestati al solo de cuius, in considerazione della circostanza dell’entità delle sostanze impiegate e del vantaggio economico proprio ed esclusivo dell’altro convivente.
In altro caso gli Ermellini hanno riconosciuto l’indennizzabilità del “contributo lavorativo continuativo nell’azienda del convivente con arricchimento esclusivo dello stesso, in luogo dell’intera famiglia cui detto apporto lavorativo era preordinato”[4].
L’azione si prescrive nell’ordinario termine decennale e comincia a decorrere dal momento in cui l’arricchimento si è verificato. Tale momento in certi casi può coincidere però con il termine della convivenza, corrispondente alla definitività della locupletazione.
[1] Legge 76/2016 – art. 1, commi 50 e ss.
[2] Cassazione Civile, Sez. I sentenza n. 1277/2014
[3] Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 11330/2009
[4]Cassazione Civile, Sez. I, sentenza n. 1266/2016
Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative.
Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell’ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense.
Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani.
Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali.
Email: paola.minopoli@iusinitinere.it