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L’azione di riduzione quale strumento a tutela dei legittimari

L’art. 536, comma primo, c.c., identifica i legittimari con coloro ai quali «la legge riserva una quota di eredità»: essi sono i discendenti, il coniuge e, ove manchino i discendenti, anche gli ascendenti.

Le norme del codice civile sulla quota di legittima «rappresentano soltanto un limite stabilito dalla legge alle disposizioni dettate nel testamento o all’applicazione delle norme generali date dalla legge medesima per il caso di mancanza di testamento»[1], quindi trovano applicazione non solo quando vi è un testamento ma anche quando si apre, in tutto o in parte, la successione ab intestato.

Le norme sulla legittima, in primo luogo quelle contenute negli artt. 536-552 c.c., hanno natura cogente e sono dirette a fissare il contenuto dei diritti riservati dalla legge ai legittimari; la legittima costituisce, pertanto, un diritto inderogabilmente attribuito al legittimario.

Per il principio di intangibilità quantitativa della legittima, questa viene intesa quale porzione di beni corrispondente, in valore, ad una certa frazione della massa costituita dal patrimonio complessivo netto del de cuius, una quota il cui contenuto economico deve essere pari alla parte destinata per legge al legittimario sulla massa patrimoniale determinata secondo i criteri di calcolo previsti dall’art. 556 c.c.[2]. La quota di riserva è invece determinabile, nel caso concreto, mediante il rapporto esistente tra l’entità della legittima ed il valore del relictum al netto dei debiti ereditari[3].

Il legittimario leso che reclama il diritto alla porzione legittima deve esperire l’azione di riduzione per la reintegrazione della sua quota. Tale azione di impugnativa negoziale implica una lesione determinata da un negozio attributivo, presumendo dunque l’esistenza di una donazione o di un testamento con cui l’ereditando abbia disposto dei suoi beni in misura eccedente rispetto al valore della porzione disponibile[4], impedendo in tal modo l’acquisto della quota di legittima all’avente diritto.

L’azione di riduzione, che è definita un’azione (personale) di accertamento costitutivo[5], è rivolta a far valere un diritto potestativo del legittimario per il cui esperimento è necessario lo strumento del processo, attraverso il quale è possibile ottenere, ipso iure, la dichiarazione giudiziale d’inopponibilità nei confronti del legittimario stesso della disposizione lesiva della legittima.

L’effetto della riduzione è una forma di inefficacia relativa del negozio lesivo (che consiste, come detto, in una donazione o in una disposizione testamentaria), il quale viene reso inoperativo rispetto ai legittimari nella misura occorrente per la reintegrazione della quota ed essi riservata.

Con il rimedio della riduzione, la legge tutela i diritti riservati ai legittimari, ma bisogna tenere a mente che le disposizioni testamentarie che eccedono il valore della disponibile (quota antitetica e complementare alla quota indisponibile perciò riservata) non incidono sulla validità, né producono l’inefficacia automatica dell’attribuzione eccessiva e perciò non sono nulle, producendo al contrario pienamente la loro efficacia fino all’eventuale sentenza di accoglimento della domanda di riduzione.

In forza della sentenza di riduzione, i beni lesivi colpiti si considerano, in favore del legittimario, non come rientrati nel patrimonio del de cuius, ma come mai usciti dal suo patrimonio.

Ciascun legittimario può domandare la riduzione nei limiti della sua quota individuale. L’azione non dà luogo a litisconsorzio necessario attivo; la sentenza fa stato solo nei confronti dei legittimari che hanno promosso o sono intervenuti nel giudizio, non anche dei legittimari che al giudizio non hanno partecipato.

L’azione spetta al legittimario in quanto tale, non in quanto erede: come erede non potrebbe domandarla, perché in tale veste dovrebbe rispettare tutte le disposizioni del de cuius[6]. Appunto per questo, l’azione non deriva dalla successione, ma è attribuita ex lege a tutela del diritto di partecipare all’eredità in ragione di una quota commisurata a una certa quantità di beni: di conseguenza, il legittimario non può agire in riduzione se non abbia accettato l’eredità.

È opportuno precisare, però, che il titolo d’acquisto del legittimario non è la sentenza di riduzione, ma la quota d’eredità di cui è già investito per vocazione testamentaria o intestata (o che gli viene devoluta ex lege per vocazione necessaria in conseguenza della riduzione pronunziata contro l’erede istituito)[7]. Il legittimario domanda la legittima in quanto tale, in qualità di terzo ma, ottenuta la riduzione, la acquisisce come erede, cioè come avente causa a titolo universale dal defunto (vale a dire mortis causa). In questa veste egli domanda al possessore, divenuto sine causa, la restituzione dei beni donati (o legati).

In altri termini, sia nel caso in cui il legittimario sia stato pretermesso (e cioè escluso dalla successione da una delazione in favore di altri), sia quando, pur istituito erede ex testamento o ab intestato (e dunque nominalmente fornito di quel titolo), ne veda svuotato il contenuto economico da donazioni o legati, la pronuncia di riduzione non assicura di per sé sola al legittimario l’acquisto della quota di patrimonio o di singoli beni[8]. L’una e gli altri verranno sempre conseguiti in forza della delazione ereditaria recuperata, o integrata nel contenuto, a seguito di riduzione.

Difatti nel nostro ordinamento, a differenza di quello francese in cui la qualità di legittimario e quelle di erede sono indissolubilmente legate, la qualità di legittimario e la qualità di erede (cioè l’accettazione dell’eredità) si uniscono nella fattispecie dell’azione di riduzione soltanto quando il legittimario si trovi già chiamato all’eredità per vocazione testamentaria o intestata.

Il legittimario non può pretendere di concretare tale quota proporzionalmente su tutti i beni, dovendo rispettare, fino al limite della disponibile, le donazioni (e i legati) fatti dal de cuius[9].

Bisogna, peraltro, distinguere la fonte della lesione a seconda che trovi la sua causa in un’istituzione d’erede (a seconda che il legittimario sia stato pretermesso o risulti chiamato a succedere, per legge o per testamento, in una quota insufficiente d’eredità) da un lato, ovvero in una donazione (o in un legato) dall’altro.

Sono essenzialmente tre i gradi che il legittimario deve percorrere per ottenere la quota a lui riservata. In primis, egli deve reclamarla sui beni eventualmente lasciati intestati; in secondo luogo, sui beni di cui è stato disposto per testamento; infine, se i beni relitti non sono sufficienti, sui beni donati. È bene precisare, però, che nel caso di beni lasciati nella successione intestata che siano sufficienti ad integrare la quota di legittima, il legittimario non agisce in riduzione, ma in virtù della vocazione intestata, tutelata dalla petitio hereditatis e, ove occorra, automaticamente adeguata alle norme sulla riserva ereditaria[10]. Inoltre, si procederà direttamente alla riduzione delle donazioni qualora le disposizioni testamentarie non eccedano la quota di cui il defunto poteva disporre, comprendendosi in tale espressione anche il caso della disposizione con cui si è devoluto ad uno dei legittimari quanto gli spetta a titolo di legittima[11].

L’azione di riduzione è, quindi, un mezzo di integrazione della legittima esclusivamente sui beni oggetto di disposizioni testamentarie e di donazioni eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e conosce soltanto due gradi; la regola dettata dall’art. 555 c.c. non ammette la riduzione delle donazioni «se non dopo esaurito il valore dei beni di cui è stato disposto per testamento».

Suddetta norma è fondata sul principio di irrevocabilità della donazione; se così non fosse, si ammetterebbe un mezzo per revocare atti che per loro natura sono irrevocabili.

Sul medesimo principio è basata l’ulteriore regola dell’art. 559: «le donazioni si riducono cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori». Fanno eccezione la donazioni coeve, quelle cioè poste in essere contestualmente dal donante in un unico contesto documentale, che sono soggette a riduzione con il metodo proporzionale, tipico delle disposizioni testamentarie, salvo che il donante – con dichiarazione inserita nell’atto di donazione – abbia stabilito un ordine di preferenza[12].

L’azione di riduzione si distingue dall’azione di restituzione prevista dall’art. 563 c.c.: quest’ultima è un’azione di condanna che presuppone già pronunciata, con sentenza passata in giudicato, la riduzione e la vana escussione dei beni a carico di colui dal quale il terzo acquirente ha preso causa. Questo si intende quando ci si riferisce alla retroattività reale della pronuncia che accoglie la domanda di riduzione: una retroattività che si riverbera, travolgendolo, non solo sul diritto del beneficiario della liberalità lesiva ridotta (il donatario o l’onorato testamentario), ma anche sul diritto del terzo acquirente o degli aventi causa successivi.

[1] Cfr. la relazione al progetto della Commissione reale, libro III, Roma, 1936, pp. 10 s., 21; e anche la relazione al codice, n. 261.

[2] S. DELLE MONACHE, Successione necessaria e sistema di tutele del legittimario, Padova, 2008, p. 33 ss.

[3] Ivi, p. 37.

[4] Ivi, pp. 39-40.

[5] Così F. MESSINEO, Azione di riduzione e azione di restituzione per lesa legittima, in Riv. dir. civ., n. 3-6, 1943, p. 132; L. MENGONI, Successione per causa di morte. Parte speciale, Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, 4ª ed., XLII, t. II, Milano, 2000, p. 231; A. PINO, La tutela del legittimario, Padova, 1954, p. 63, 76 e 126; A. PALAZZO, Le successioni, in  IUDICA G., ZATTI P. (a cura di ), Trattato di Diritto Privato, 2ª ed., tomo I, Milano, p. 566 s.; ID., voce «Riduzione (azione di)», in Enc. giur. it., XXVII, Roma, 1997, p. 1;  S. DELLE MONACHE, Successione necessaria e tutele del legittimario, cit., p. 44.

[6] L. MENGONI, Successione per causa di morte, Successione necessaria, cit., p. 239.

[7] Ivi, p. 237.

[8] G. AMADIO, Azione di riduzione e liberalità non donative (sulla legittima “per equivalente”), in Riv. dir. civ.,  parte I, 2009, pp. 683-712, spec. p. 688.

[9] L. MENGONI, Successione per causa di morte, Successione necessaria, cit., p. 282, in cui peraltro, aggiunge che il legittimario resta vincolato anche dalla divisione eventualmente disposta dallo stesso testatore o dalle norme da lui impartite per la composizione della quota riservata o della quota disponibile in sede di divisione ereditaria.

[10] Ivi, p. 270.

[11] G. CAPOZZI, Successioni e donazioni, 2ª ed., Milano, 2002, vol. II, p. 308.

[12] G. CATTANEO, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, in Tratt. di dir. priv. diretto da P. Rescigno, 5, I, Torino, 1997, p. 464.

Dott.ssa Vincenza D'Angelo

Vincenza ha conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2016 presso l'Università degli Studi "Roma Tre", discutendo una Tesi in Diritto delle Successioni dal titolo "Liberalità indirette e tutela  dei legittimari". Ha svolto la pratica forense e collaborato proficuamente negli studi legali nell'ambito del diritto civile, occupandosi prevalentemente di contenzioso. Nel 2021 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della Professione forense. Contatti: vincenzadangelo@yahoo.it

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