venerdì, Aprile 19, 2024
Diritto e Impresa

Le azioni di responsabilità nel concordato preventivo

concordato

Da qualche tempo il tema della legittimazione ad esperire le azioni di responsabilità nel concordato preventivo ritorna con frequenza all’attenzione degli interpreti.

Fino ad oggi il terreno elettivo di queste azioni è stato il fallimento, tanto è vero che “nel comune modo di sentire è quasi implicito che uno dei vantaggi cui i gestori della società mirano, allorché richiedano l’ammissione della società insolvente alla procedura concordataria, sia proprio quello di sottrarsi ai rischi di eventuali future azioni di responsabilità”[1].

In realtà, le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori nel concordato preventivo scontano la difficoltà dell’assenza una norma analoga a quella contenuta nel codice civile all’art. 2394 bis e nella legge Fallimentare all’art. 146, per l’ipotesi in cui la società sia soggetta a fallimento. Quelle previsioni, infatti, attribuendo al curatore fallimentare la legittimazione alle azioni della società e dei creditori sociali, da un lato consentono di superare il problema del ricorrere o meno dei requisiti previsti per l’una l’altra azione e, al tempo stesso, di far leva sul regime probatorio e di prescrizione più vantaggioso per la procedura; dall’altro lato, e soprattutto, permettono che il risultato dell’azione confluisca in ogni caso nell’attivo fallimentare a tutto vantaggio del ceto creditorio. Nessuna norma, invece, regola quelle azioni per il caso in cui la società, ex artt. 160 ss. l. Fall., sia ammessa alla procedura di concordato preventivo. A riguardo, preme, in primis, analizzare le sorti dell’azione sociale di responsabilità così come delineata dall’art. 2393 c.c. A riguardo, giova rammentare che il credito risarcitorio vantato dalla società per gli atti di mala gestio (compiuti dagli amministratori) fa parte dell’attivo sociale, sicché di fronte ad un concordato preventivo con cessione di beni è necessario, in via preliminare, verificare se il credito risarcitorio, e con esso l’azione, sia stato ceduto ai creditori.

In questo caso, infatti, si ritiene generalmente che, dopo l’omologa, la legittimazione all’azione spetti al liquidatore giudiziale e, in questo quadro, tema discusso attiene alla necessità o meno della delibera assembleare, contemplata per le S.p.a., che autorizzi l’azione ex art. 2393 c.c. A riguardo, divisa pare la giurisprudenza di merito, laddove in determinate pronunce esclude la necessità della delibera, valorizzando la circostanza per cui la società versa in uno stato patologico, quale lo stato di crisi, che permetterebbe, per ciò solo, di prescindere dalla volontà assembleare[2]; diversamente, in altre pronunce[3] si sostiene la necessità della delibera de qua e della volontà assembleare, dato il carattere eccezionale delle norme previste in tema di fallimento dagli artt. 2393 bis c.c. e 146 l. Fall. che legittimano alle azioni medesime il solo curatore. Ciò posto, dottrina autorevole, da diverso angolo prospettico, sostiene la non necessità della delibera assembleare considerando che con l’avvenuta cessione del credito risarcitorio si ha un trasferimento della legittimazione alla proposizione dell’azione in esame, spezzandosi così il legame con la società. Diversamente, nel caso di cessione parziale dei beni costituenti il patrimonio della società debitrice e di esclusione del credito risarcitorio alla cessione, la legittimazione all’azione ex art. 2393 c.c. rimarrà in capo alla società che la eserciterà nei modi e nei tempi previsti dalla norma di riferimento. Ciò, peraltro, accadrà anche nel caso di difetto di cessione parziale, sicché si riespande il principio di cui all’art. 2740 c.c., e il patrimonio della società in concordato dovrà ritenersi tutto a disposizione dei creditori, fatta eccezione di quelle eventualmente contenute nel piano, di talché la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori spetterà ai soci che, repetita iuvant, dovranno esercitare l’azione nei modi e nei tempi di cui all’art. 2393 c.c.

Per quanto concerne, invece, le azioni di responsabilità dei creditori sociali ex art. 2394 c.c., qui a ben vedere non si pone un problema di legittimazione attiva tout court, più che altro, problemi sorgono in relazione agli effetti di detta azione, strettamente connessi ai soggetti in capo ai quali l’azione medesima è validamente esperita. Preliminarmente, pare doveroso osservare che la Corte d’Appello di Milano (già ) nel 1992[4] aveva confermato la legittimazione dei creditori sociali all’azione, ex art. 2394 cc., nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società posta in concordato preventivo per ottenere il risarcimento dei danni subiti dagli atti di mala gestio di tali organi. Si badi, poi, che nella stessa pronuncia la Corte di merito ricorda come in tema di accertamento della responsabilità degli organi gestori della società ex art 2394 c.c., al giudice non è consentito sindacare e post l’opportunità delle scelte imprenditoriali compiute dai gestori del patrimonio sociale, ma solo censurare le violazioni degli obblighi giuridici commessi da tali organi. Sicché, nel caso di specie, la Corte sottolinea, ai fini e per gli effetti dell’accoglimento della domanda ex art. 2394 c.c., che anche il ricorso al credito bancario non costituisce attività di per sé illecita, salvo che la società in quel momento non si trovasse in una situazione di sottocapitalizzazione a norma degli art.. 2446 e 2447 c.c. Ciò posto, emerge come l’azione in esame è rimessa alla legittimazione attiva del singolo creditore e ciò comporta che, nonostante il rimedio muove dallo stesso presupposto dell’azione sociale, vale a dire la necessità di riparare il danno arrecato al patrimonio della società, il risultato di esso, ed è questo il vero nodo gordiano da sciogliere, quando la società non è sottoposta a fallimento, va a vantaggio del singolo creditore che ha agito e non già a beneficio di tutto il ceto creditorio come, diversamente, avviene nel caso in cui detta azione sia esperita dal curatore fallimentare, laddove si va ad aumentare direttamente l’intera massa attiva del fallimento.

Ed è proprio in questo senso che si avverte la necessità e in dottrina e in giurisprudenza di consentire un modo per uscire dall’impasse, acché l’azione dei creditori porti un vantaggio alla procedura e non solo al singolo creditore che ha agito. A riguardo, il Tribunale di Napoli nel 2013[5] ha cercato di individuare la legittimazione all’azione ex art. 2394 c.c. in capo al commissario giudiziale, facendo leva sul dettato dell’art. 240 l. Fall. In particolare si sottolinea come il commissario giudiziale non potrebbe, in realtà, agire ex art. 2393 c.c., dunque con l’azione sociale di responsabilità, perché, evidentemente, a norma dell’art. 167 l. Fall., nel concordato preventivo non c’è spossessamento del debitore (come invece avviene ne caso di fallimento); né tantomeno potrebbe agire ex art. 2394 c.c. poiché egli, diversamente dal curatore fallimentare, non è un rappresentante della massa dei creditori sociali. Tuttavia, ciò non toglie che, comunque, occorre dare una spiegazione all’art. 240 l. Fall. che, in modo del tutto extra-vagante, attribuisce una speciale legittimazione al commissario giudiziale che può (deve) “esercitare l’azione civile nel processo penale per i reati previsti nel titolo VII della legge fallimentare”. Ad avviso del Tribunale allora la circostanza che la norma penale prende in considerazione, espressamente, la legittimazione del commissario, mentre la norma civile tace del tutto, non significa conferma della scelta del legislatore di non derogare, in sede civile, alle norme ordinarie in punto di legittimazione, ma esprime, invece, l’esigenza che non venga lasciata scoperta di tutela nessuna area, “tanto più in un settore, come quello del concordato preventivo, in cui il carattere privatistico dell’istituto rischia di danneggiare i creditori meno avvertiti”.

Da ciò, si afferma la legittimazione ad agire ex art. 2394 c.c. per il commissario giudiziale, sarebbe, difatti, “irragionevole che il commissario sia legittimato a rivolgere la domanda risarcitoria al giudice penale e non al giudice civile quando si sia in presenza anche astratta di un reato”. In senso contrario si è espresso, nel 2015, il Tribunale di Piacenza[6], laddove, valorizzando la portata restrittiva dell’art. 240 l. Fall. e il principio per cui “fuori dai casi espressamente previsti dalla legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”[7], si sottolinea che l’azione ex art. 2394 c.c. ha natura autonoma ed il singolo creditore è l’unico soggetto legittimato attivamente ad esercitarla nell’ambito del concordato preventivo, mentre è da escludersi la legittimazione attiva in capo agli organi della procedura. Per amor di completezza a ciò si aggiunga che la giurisprudenza di merito si è pronunciata anche sul dovere di adeguata disclosure in sede di proposta di concordato. Difatti, in ordine alle conseguenze delle lacune informative su fatti di mala gestio, si è affermato che l’omessa disclosure, sostanziandosi in una condotta finalizzata a nascondere ai creditori una parte di potenziale attivo, così da convincerli ad accogliere la proposta di concordato come l’unica alternativa praticabile, integra un’ipotesi di occultamento sanzionabile, ex art. 173 l. Fall., con la revoca del concordato, e ciò indipendentemente dall’ammontare del pregiudizio che l’omissione del potenziale attivo ha causato ai creditori[8].

Sicché, da quanto detto emerge che sicuramente, ad oggi, può e deve ritenersi superata l’idea che per trovare riparo dalle responsabilità gestorie basti aprire l’ombrello del concordato, tuttavia, a fronte del vuoto normativo, è quanto mai attuale la necessità di trovare un modo per estendere gli effetti favorevoli della domanda ex art. 2394 c.c. alla proceduta concorsuale e non limitarli solo al creditore proponente. In quest’ottica, dunque, si auspica un intervento mirato del legislatore, tanto più che con la legge delega dell’ottobre del 2017si prevede una sostanziale riscrittura della legge fallimentare, entro i prossimi 12 mesi, in un’ottica di contemperamento degli interessi pubblicistici e privatistici che vengono in luce nelle procedure concorsuali.

FONTI.

[1] R. RODORF, Azione di responsabilità, concordato preventivo e amministrazione controllata, in Rivista delle Società,  1995.

[2] Trib. Roma, 20 gennaio 1996, in Rivista delle Società, 1996.

[3] V., Trib. Milano, 19 luglio 2011, in www.ilfallimentarista.it

[4] App. Milano, 14 gennaio 1992.

[5] Trib. Napoli, 25 luglio 2013, in Gazz. For., 2014.

[6] Trib. Piacenza, 12 febbraio 2015, n. 113.

[7] Art. 81 c.p.c.

[8] App. Bologna, Sez. III, 25 febbraio 2013, n. 213.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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