venerdì, Aprile 19, 2024
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Le conseguenze della Brexit nello scenario economico

Le conseguenze economiche della Brexit e il futuro del Regno Unito sono nelle mani del parlamento di Westminster. Infatti, lo scorso 25 novembre, il Consiglio Europeo ha approvato l’accordo sulla Brexit. Un negoziato non facile soprattutto riguardo il futuro delle relazioni tra Londra e Bruxelles. Tuttavia, l’intesa sulla Brexit è tutt’altro che definitiva: l’accordo non soddisfa l’ala più intransigente e sovranista del partito conservatore.

La Brexit commerciale: idee per un nuovo sviluppo economico

Secondo i sostenitori della Brexit, il Regno Unito può giovare dall’uscita dall’UE. Quindi, si tratta di una precisa scelta che rappresenta un’opzione di politica economica trasversale a vari schieramenti politici.

In effetti, leggendo il manifesto per la Brexit del 2016[1], per definire le relazioni tra Londra e Bruxelles, si nota come l’accento sia posto su temi prettamente economici e commerciali. Per cui, la soluzione dell’equazione appare semplice: riprendere la piena sovranità per assicurare un roseo sviluppo economico al Regno Unito. Tuttavia, tale politica non appare semplice ma semplicistica.

Anzitutto, i fautori della Brexit sostengono che riconquistare la totale sovranità consentirebbe a Londra di perseguire una propria politica commerciale. Si ricordi che, nell’ambito UE, tale politica è legislazione esclusiva della Commissione Europea. Quindi, assecondando quest’idea, il Regno Unito non può difendere i propri interessi nazionali all’interno dell’Organizzazione Internazionale del Commercio né tantomeno siglare accordi singoli con paesi terzi strategici.

Inoltre, si accusa Bruxelles di un eccessivo burocratismo che rende impossibile negoziare e sottoscrivere accordi in breve tempo. Infine, è bene anche sottolineare la critica al mercato unico europeo: si sostiene essere eccessivamente regolamentato e ormai in declino a causa di una lieve flessione di scambi commerciali intra UE.

In definitiva, l’auspicio sovranista, comune ad una buona parte del partito conservatore, ritiene giusta l’idea di Brexit perché la ripresa di una piena politica commerciale può essere un volano di creazione di posti lavori e opportunità per le imprese britanniche per aumentare l’export. In questo quadro, Londra creerebbe una serie di zone di libero scambio, UE inclusa, senza essere succube di Bruxelles.

L’economia del Regno Unito       

Raggiungendo un’intesa con l’UE, dopo due anni di negoziati, Londra ha contenuto gli shock economici, almeno nel breve periodo. Infatti, l’accordo prevede che per due anni il Regno Unito formi un’unione doganale e un’area di libero scambio con l’UE in modo da mantenere inalterato il regime di import e export di beni, servizi e capitali. Certo, non proprio ciò che propugnava la Brexit.

Infatti, i pro Brexit sostenevano che i risparmi dei contributi al bilancio europeo avrebbero liberato risorse per finanziare servizi pubblici essenziali. Inoltre, nei negoziati post Brexit, il Regno Unito avrebbe goduto di un vantaggio comparativo poiché era interesse europeo – non britannico – negoziare un accordo commerciale. La realtà economica britannica, invece, è ben diversa dalle ottimistiche aspettative della campagna Brexit del 2016.

In effetti, alcuni analisti economici sostengono come i bassi salari e la bassa produttività britannica derivino non dalle conseguenze del referendum del 2016, bensì da 40 anni di politiche economiche neoliberiste[2]. Una visibile conseguenza è la crescita modesta dell’economia britannica: dal 1990 ad oggi, la crescita media annua è stata dello 0,6% annuo[3], depurando da tale dato il crollo verticale negli anni acuti della crisi finanziaria.

Quindi, l’andamento pre-Brexit non era roseo. E il post Brexit? Difficile prevederlo ma alcune analisi, per come la si pensi, danno per assodato uno shock sull’economia.

Secondo un rapporto di PricewaterhouseCoopers[4], la crescita del Regno Unito dovrebbe aggirarsi intorno all’1,3% nel 2018, all’1,6% nel 2019 e all’1,7% nel 2020. Ciò è la conseguenza della frenata degli investimenti delle imprese e della debolezza degli investimenti immobiliari a causa dell’incertezza economica e politica della Brexit nonché della maggiore spesa previdenziale. Tuttavia, uno stimolo arriverà dalla maggiore spesa pubblica, mentre le riduzioni delle imposte dovrebbero liberare risorse a breve termine ma potranno essere un’arma a doppio taglio nel medio periodo.

Ancora, da non sottovalutare è il ruolo della sterlina. Sebbene essa abbia subito un improvviso calo all’indomani del Brexit, il suo forte valore competitivo rende comunque appetibili le esportazioni del Regno Unito. Inoltre, il suo deprezzamento ha incrementato il turismo in entrata negli ultimi due anni. Tuttavia, l’UE resta il primo partner commerciale. Quindi, per due anni la transazione verso la Brexit dovrebbe essere pacifica. Ma un eventuale negoziato negativo post accordo potrebbe ridurre il regime di esportazione verso l’Europa.

Inoltre, dal punto di vista finanziario, considerando l’accordo con l’UE, il regime della Brexit dovrebbe essere “soft”, ammesso che Westiminster, il prossimo 11 dicembre, voti a favore dell’intesa. Si ipotizza, allora, che la Banca d’Inghilterra innalzi  i tassi di interesse di un quarto di punto percentuale all’1% a metà del 2019 per evitare fughe di capitali. Chiaramente, il ritmo e il momento preciso di tale decisione dipenderanno dalle scelte politiche.

Infine, è interessante stimare le conseguenze economiche in alcuni settori chiave dell’economia britannica post Brexit. Uno studio della London School of Economics[5] considera due scenari: soft Brexit e hard Brexit. In questa sede, si prenderà il caso oggetto di accordo, ossia il primo. L’analisi denota un incremento nei settori produttivi primari e distributivi, una generale tenuta del manifatturiero ma un deciso calo dei settori chimico, elettronico, tessile e dei servizi finanziari.

La relazione futura con l’UE

In definitiva, occorre considerare la relazione tra Regno Unito e UE post Brexit. Fintantoché  la Gran Bretagna è membro del mercato unico, in quanto membro dell’UE, ha acceso al libero scambio di beni, servizi, libera circolazione di persone e capitali. Adesso, le quattro libertà sono in discussione nonostante il regime transitorio di due anni. Il cronoprogramma dell’intesa impone la ridefinizione del rapporto tra le due sponde europee.

In sostanza, si aprono tre vie[6].

Un approccio è un accordo in stile Norvegia – UE. Ciò significa che si mantiene il regime di mercato unico. Tuttavia, è comunque un’intesa al ribasso. A parità di tariffe, ciò che regola uno scambio commerciale, e la sua profittabilità, sono le barriere non tariffarie, ossia la normativa. L’Unione europea è un mercato estremamente regolamento. Con questo approccio, le piccole e medie imprese del Regno Unito si troverebbero in difficoltà a far fronte ai costi  sulle norme di origine. Di conseguenza, politicamente, il Regno Unito dovrebbe accettare l’imposizione di normative a cui non ha partecipato nel processo decisionale.

Una seconda possibilità è il caso Svizzera – UE. Si tratta di accedere al mercato unico, ma non completamente nel caso specifico dei servizi. Un settore chiave nell’economia britannica. Basti pensare allo status particolare di cui gode la City di Londra dal punto di vista di passaporto finanziario delle banche. Uno svantaggio della Brexit che potrebbe avvantaggiare la capitale Ue della finanza: Francoforte.

Infine, c’è la possibilità di adesione ad un accordo commerciale in seno all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Ciò sostanzialmente equiparerebbe la posizione della Gran Bretagna a quella degli attuali paesi terzi. Un mercato che segue le comuni norme del mercato internazionale. Uno scenario decisamente peggiorativo alla situazione pre Brexit.

Il prossimo 11 dicembre, data in cui il parlamento britannico si esprimerà sull’accordo Regno Unito – UE; sarà decisivo per comprendere il futuro delle relazione tra le due aree.

 

[1] Il Manifesto Brexit è disponibile qui: http://www.voteleavetakecontrol.org/briefing.html

[2] Deakin S., “Why Brexit Won’t Cure Britain’s Broken Economic Model”, in Social Europe. Disponibile qui: https://www.socialeurope.eu/why-brexit-wont-cure-britains-broken-economic-model

[3] Per ulteriori approfondimenti, confrontare le tabelle descrittive dell’Office for National Statistics: https://www.ons.gov.uk/economy/grossdomesticproductgdp/timeseries/ihyq/pn2

[4] UK Economic Outlook disponibile qui: https://www.pwc.co.uk/services/economics-policy/insights/uk-economic-outlook.html

[5] Dhingra S.,, Machin S., Overman H. G., The Local Economic Effects of Brexit, Centre for Economics Perfomance, London School of Economics, 2016.

[6] “The Economic Consequences of Brexit.” Foreign Affairs. 28 Nov. 2018. Web. 28 Nov. 2018.

Fonte immagine: https://www.oxial.com/grc-blog/financial-services-compliance-in-post-brexit-world/

 

Marco Di Domenico

Dottore in Studi Internazionali presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale". Appassionato di politica ed economia internazionale.

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