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Le conseguenze delle irregolarità urbanistiche sul contratto preliminare di compravendita immobiliare

 

Con la Sentenza n. 26558 del 23.11.2020, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi dell’articolo 40 della legge 47/1985, possa essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex articolo 2932 del codice civile a condizione che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassi la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l’oblazione e la pratica non sia stata ancora definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d’uso. Al contempo, ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l’indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell’obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso.

 

Il contratto preliminare e l’esecuzione forzata in forma specifica.

Tra le varie fattispecie che si presentano di un impegno già attuale delle parti, assai importante e frequente è la formazione di un contratto obbligatorio, che ha come oggetto diretto l’obbligo di un furturo contrahere: è il così detto contratto preliminare.

Tale contratto, con il quale i soggetti s’impegnano a stringere un dato rapporto tra loro, è un vero contratto dal quale sorgono obbligazioni per le parti; ma si distingue negli effetti dal contratto definitivo, perché suo diretto contenuto è l’obbligazione di un facere, di un consenso da prestare, mentre gli effetti concreti sulla situazione giuridica rispettiva delle parti deriveranno dal nuovo consenso del successivo contratto definitivo[1][2].

Rispetto all’obbligazione di fare dedotta nel contratto preliminare, il quale, come appena visto, ha per oggetto la prestazione di un futuro consenso, l’art. 2932 c.c. prevede l’efficacia coattiva del medesimo: l’interessato può ottenere una sentenza che produce gli stessi effetti del contratto non concluso, come cioè se il promittente avesse mantenuto il suo impegno di eseguire la prestazione (esecuzione per comando del giudice).  Per ottenere l’esecuzione in forma specifica, il contraente diligente deve a sua volta adempiere la propria prestazione. Se, ad esempio, è il promissario acquirente a ricorrere alla procedura di cui all’art. 2932, costui dovrà mettere a disposizione del promittente alienante il relativo prezzo per poter ottenere, mediante sentenza, il trasferimento della proprietà del bene promesso in vendita.

 

La risoluzione del contratto per inadempimento.

La risoluzione del contratto per inadempimento è un rimedio che la parte adempiente può esperire per ottenere lo scioglimento del vincolo negoziale qualora la controparte non adempia le sue prestazioni. Essa è diretta a far valere le disfunzioni dell’autoregolamento, e segnatamente l’alterazione del sinallagma, sicché si inserisce tra le impugnative negoziali [3].

Essa viene chiesta con domanda giudiziale, in seguito alla quale l’inadempiente non può più adempiere la propria prestazione (art. 1453 co. 3 c.c.). L’azione giudiziale non è però sempre necessaria. Dopo la scadenza del termine stabilito per l’esecuzione, la parte non soddisfatta può intimare per iscritto all’altra parte una diffida ad adempiere entro un congruo termine, dichiarando che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s’intenderà senz’altro risoluto (art. 1454 c.c.). La risoluzione per inadempimento può essere dunque giudiziale o di diritto: nella prima ipotesi l’effetto risolutorio del contratto consegue alla pronuncia costitutiva di risoluzione, a seguito della corrispondente domanda giudiziale proposta dalla parte non inadempiente; nella seconda la risoluzione si realizza in via stragiudiziale per effetto di diffida ad adempiere, clausola risolutiva espressa o termine essenziale, cosicché all’esito dell’integrazione dei presupposti previsti da tali fattispecie l’eventuale pronuncia giudiziale si limiterà ad accertare un effetto risolutorio già avvenuto. L’inadempimento deve rivestire una notevole importanza, avuto riguardo all’interesse della controparte (art. 1455 c.c.) [4]. In forza dell’unanime giurisprudenza la risoluzione può essere pronunciata solo quando l’inadempimento dedotto sia imputabile almeno a colpa della parte inadempiente; ove l’inadempimento non sia imputabile ricorrono piuttosto i presupposti per chiedere la risoluzione per impossibilità sopravvenuta (Cass. n. 987/2007; Cass. n. 2553/2007; Cass. n. 567/2001; Cass. n. 360/1992; Cass. n. 5143/1987). Tuttavia la colpa dell’inadempiente è presunta, sicché è onere dello stesso inadempiente dimostrare che l’inadempimento è dipeso da circostanze a sé non ascrivibili (Cass. n. 8924/2019 ; Cass. n. 2853/2005). Onere della parte che agisce in risoluzione è solo quello di dare dimostrazione del titolo, ossia del contratto, di cui si invoca la risoluzione e dell’eventuale termine di scadenza previsto per l’adempimento, nonché di allegare l’inadempimento della controparte (Cass. n. 826/2015; Cass. n. 15659/2011; Cass.S.U.n. 13533/2001). Una volta chiesto l’adempimento, il creditore insoddisfatto può mutare domanda per ottenere invece la risoluzione, ma non può più chiedersi l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione.

 

Il caso.

Il giudizio di cui in premessa trae origine dalla citazione notificata nel 2005 da P.L. a F.G. ed allo studio di A. s.a.s. con la quale li conveniva avanti al Tribunale di Ivrea al fine di conseguire la declaratoria di nullità, inefficacia ovvero di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di compravendita immobiliare intervenuto tra le parti mediante le scritture del 15 dicembre 2004 e del 24 gennaio 2005. Esponeva l’attore, promissario acquirente, che poco prima della data convenuta per la stipula del rogito notarile e cioè il 26 febbraio 2005, apprendeva, tramite il geometra incaricato di alcune irregolarità urbanistiche presenti nell’immobile oggetto del preliminare. In particolare emergeva che le tettoie a copertura di un locale realizzato con struttura in legno non avrebbero potuto essere sottoposte a sanatoria perché non poste a distanza legale; che il sistema di aerazione della caldaia a gas metano non era conforme alla vigente normativa di legge che era stata rilevata la presenza di una fossa settica che non era mai stata indicata prima della sottoscrizione del preliminare e, infine, che la richiesta di condono a suo tempo presentata in relazione alle tettoie era al vaglio del Comune che non si è ancora pronunciato in proposito. Poiché alla segnalazione di dette circostanze avvenuta con comunicazione del 23/2/2005 non aveva fatto seguito alcun riscontro da parte dei promittenti venditori, il P. non aveva stipulato il rogito ed aveva agito giudizialmente nei loro confronti. L’adito tribunale, per quanto qui di interesse, respingeva la domanda di declaratoria di nullità, così come quella di inefficacia mentre accoglieva la domanda di risoluzione per inadempimento dei promittenti venditori. Proponevano appello i soccombenti F.A.M., F.V.R., F.D.M., F.G.P. e F.G. in proprio e nella qualità di coeredi del padre defunto F.P.U. e la Corte d’appello di Torino confermava la sentenza di prime cure laddove aveva ritenuto l’inadempimento imputabile alle insanabili carenze urbanistiche delle due unità accessorie coperte con le tettoie ed adibite una ad autorimessa e l’altra a legnaia.

 

La sentenza della Corte di Cassazione n. 26558 del 23.11.2020.

La cassazione della sentenza d’appello veniva chiesta da F.A.M., F.V.R., F.D.M., F.G.P. e F.G. in proprio e nella qualità di coeredi del padre defunto F.P.U., sulla base di un unico motivo che censurava la violazione degli artt. 1455 e 1375 c.c., per avere la corte territoriale errato nell’applicazione delle norme di riferimento con riguardo alla valutazione del presupposto della gravità dell’inadempimento ai fini della declaratoria di risoluzione del contratto. La corte avrebbe errato nel ricondurre alla violazione delle obbligazioni principali ed essenziali della vendita immobiliare promessa fra le parti, l’asserito inadempimento relativo alla tettoia ed al locale adibito a legnaia. Così facendo la corte avrebbe omesso il giudizio di gravità dell’inadempimento riferito sia alle due suddette pertinenze che alla conformità del comportamento dei contraenti al canone di correttezza e buona fede, rispetto all’obbligazione principale avente ad oggetto la vendita di una casa elevata su due piani, respingendo, peraltro, la richiesta di ctu che, diversamente da quanto sostenuto dalla corte territoriale, aveva ad oggetto l’accertamento dell’incidenza dei lamentati inadempimenti rispetto all’oggetto principale ed alla destinazione del bene promesso in vendita; ciò in quanto lo stesso P. aveva attribuito alla parziale non sanabilità delle due pertinenze il valore economico di Euro 15.000,00 rispetto ad un prezzo di vendita di Euro 125.000,00.

La Corte di Cassazione ritiene la censura fondata in quanto ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l’indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell’obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso [5]. Nel caso in cui, come quello di specie, si deduce a fondamento della domanda di risoluzione per inadempimento la presenza di due manufatti (garages e legnaia), pertinenze dell’immobile oggetto del preliminare, che non risultano conformi alle norme urbanistiche, occorre procedere a valutare se la difformità dei manufatti realizzati rispetto a quello autorizzato possa essere considerata parziale e non preclusiva della possibilità di chiedere la sentenza ex art. 2932 c.c.; ciò in quanto in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c., a condizione che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassi la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l’oblazione e la pratica, come nel caso del recesso del P., non sia stata ancora definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d’uso [6]. Ciò posto, nel caso di specie, tale valutazione risultava del tutto omessa dalla Corte d’appello di Torino e, pertanto, la sentenza impugnata viene cassata con rinvio alla medesima corte, in diversa composizione, per il riesame dell’appello alla luce dei principi di diritto sopra enunciati.

Nel caso in commento, emerge dunque che la corte territoriale ha errato nel ricondurre alla violazione delle obbligazioni principali ed essenziali della vendita immobiliare promessa fra le parti, l’asserito inadempimento relativo alla tettoia ed al locale adibito a legnaia; così facendo, infatti, il giudice di merito ha omesso il giudizio di gravità dell’inadempimento, riferito sia alle due suddette pertinenze che alla conformità del comportamento dei contraenti al canone di correttezza e buona fede. Ciò rispetto all’obbligazione principale, avente ad oggetto la vendita di una casa elevata su due piani [7].

 

[1] In altro senso il contratto preliminare rientra nella categoria degli atti preparatori che sono attuati in vista della contrattazione futura che le parti hanno di mira: ma vi rientra con una sua fisionomia di impegno già vincolante (a un futuro contrahere). (G. Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Cedam 2013; De Matteis, La contrattazione preliminare ad effetti anticipati, Pd 1991.)

[2] Il negozio ora descritto come contratto tipico regolato dalla legge – preliminare proprio – va tenuto distinto da un altro contratto, che non è promessa reciproca di contrarre, bensì contratto definitivo di immediata efficacia, con l’impegno di riprodurre il consenso in una forma particolare: il c.d. preliminare improprio, detto anche compromesso. Quasi sempre i contraenti redigono il primo documento del contratto immobiliare non per atto notarile, impegnandosi di rifare l’atto nella forma pubblica, necessaria come documento per la trascrizione.

[3] Scognamiglio, in Tr. G. S.-P., 1980,  269.

[4] A riguardo, la giurisprudenza si è in passato interrogata su quale sia la gravità che dà luogo alla risoluzione, ricorrendo talora ad una espressione: un inadempimento tale da lasciar ritenere che la parte offesa, se lo avesse previsto, non avrebbe stipulato (Cass., Sez. II, 29 settembre 1994 n. 7937). Un simile percorso logico è stato seguito anche successivamente, precisando anche che la non scarsa importanza dell’inadempimento — che il giudice, chiamato a pronunciare su una domanda di risoluzione di un contratto con prestazioni corrispettive ex art. 1453 c.c., deve accertare anche di ufficio, essendo la relativa circostanza un elemento che attiene al fondamento stesso della predetta domanda — va, ex art. 1455 c.c., valutata, non solo in relazione alla entità oggettiva dell’inadempimento, ma anche con riguardo all’interesse della controparte, all’interesse cioè che l’altra parte intende realizzare, tenendo conto che anche un inadempimento che sia oggettivamente notevole non può essere considerato, in senso assoluto ed automatico, come determinante la risoluzione del contratto (Cass., Sez. II, 28 marzo 1995 n. 3669). De Jure, Sull’importanza dell’inadempimento in caso di irregolarità urbanistica di manufatti qualificabili come pertinenze dell’immobile oggetto del contratto di compravendita.

[5] Cfr. Cass. 24003/2004; id. 3742/2006; id. 15052/2018.

[6] Cfr. Cass. 8081/2012; id. 11659/2018.

[7] Rivista Giuridica dell’Edilizia 2021, 1, I, 122.

 

Salvatore Solano

Salvatore Solano, avvocato, ha contribuito a fondare la rivista giuridica "Ius in itinere", con la quale collabora dal 2017. Email: salvatoresolano94@gmail.com

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