martedì, Aprile 23, 2024
Criminal & Compliance

Le Cultural Defenses Statunitensi ed il rilievo del motivo culturale

Gli Stati Uniti d’America sono la società multiculturale per eccellenza: sin dall’origine, infatti, si trovano a convivere nel medesimo territorio differenti etnie, costituendo un eterogeneo corpus sociale. In ragione della multiculturalità di base dell’ordinamento sociale e giuridico in questione, ben più presto di qualsiasi altra nazione è nato il dibattito sulla convivenza di una pluralità di diverse culture, religioni e usi, portando addirittura alla nascita del c.d. “diritto alla diversità culturale”, esercitabile dai membri dei gruppi etnici e culturali di minoranza [1].

L’evoluzione nella dottrina Statunitense: definizione e casistica.

Il dibattito si è tendenzialmente sviluppato mettendo a fuoco il fenomeno dei “reati culturali” (cultural offences) e dei “reati culturalmente motivati” [2]: dottrina e giurisprudenza hanno in particolar modo elaborato la nozione di cultural defense, concetto opposto a quello di reato culturalmente motivato.

Per cultural defense si intende un argomento di difesa che affonda le radici nella diversità culturale dell’imputato e sul presupposto che la cultura abbia esercitato una notevole influenza sulla condotta posta in essere: in ragione del suo background culturale, quindi, l’imputato mira ad ottenere una assoluzione o un trattamento sanzionatorio più mite. Il presupposto delle defenses viene individuato nella non piena responsabilità per la condotta assunta in seguito al conformarsi della stessa alle prescrizioni della cultura d’appartenenza. L’esimente per assumere rilievo deve essere tuttavia sempre collocata all’interno di altre defenses riconosciute dalla giurisprudenza (come ad esempio il mistake of fact o la self defense), non riconoscendo alcuna norma od istituto che attribuisca espressa rilevanza all’appartenenza ad un dato gruppo etnico-culturale. La dottrina americana proprio in virtù della mancanza di una autonoma figura normativa distingue tra: a) cultural evidence, le quali costituiscono una prova culturalmente orientata, in grado di provare la sussistenza di un istituto già riconosciuto nell’ordinamento — a tale schema viene ricondotta la rilevanza attribuita al background culturale del soggetto che commette il reato; b) true cultural defense, le quali implicano il richiamo diretto alle tradizioni e alle credenze diffuse nella cultura d’origine.

Un’altra controversia concerne la qualificazione di cultural defense in termini di justification o excuse: la justification, mira ad eliminare la dannosità sociale della condotta; l’excuse, eccepisce una condizione soggettiva di minore rimproverabilità al fine di escludere la colpevolezza d’un dato comportamento, restando sì antigiuridico ma non rimproverabile al soggetto (l’orientamento prevalente inquadra la cultural defense tra le seconde).                                                                               Secondo una definizione analitica per cultural defense si intende «l’uso, da parte di un imputato in un processo penale, di una prova culturale (cultural evidence) per supportare una causa esonerativa o limitativa della   responsabilità (criminal defense) tradizionale, per mitigare l’accusa (charge) o la pena inflitta (sentence), o per supportare il plea bargaining». Il termine, dunque, indica una strategia difensiva utilizzata nel processo penale basata sull’appartenenza dell’imputato ad una minoranza culturale.

Al fine di chiarire l’incidenza delle cultural defense nell’ordinamento penale americano, interessante sarebbe l’analisi casistica di alcune sentenze e controversie [3]: limitiamoci a citare un caso di notevole rilevanza per quanto riguarda l’applicazione delle cultural defenses. Il caso “People V. Metallides”: ipotesi di assoluzione d’un immigrato di origine greca imputato per l’omicidio d’un amico (avvenuto dopo la scoperta dello stupro della figlia). La difesa fonda le proprie argomentazioni sulla sussistenza di una sorta di vizio totale di mente (temporary insanity defense) quale causa di esclusione della colpevolezza, sottolineando come il concetto d’onore radicato nella cultura d’origine avrebbe giustificato l’omicidio. La Corte assolve Metallides affermando come la reazione dipenda dal retaggio culturale della persona, inquadrando però l’argomento nel vizio di mente. Gli orientamenti della giurisprudenza sono davvero numerosi: in alcune sentenze il motivo culturale giustifica una derubricazione del reato (come il caso People v. Kimura), in altre gli si nega del tutto un rilievo decisivo (si veda il People v. Romero); questa indecisione di fondo del giudice statunitense è espressione della profonda difficoltà che connota l’individuazione esatta della portata applicativa delle defenses.

Un accenno all’ordinamento Italiano

Il fenomeno del multiculturalismo trova sempre maggior spazio nell’ordinamento italiano: nato embrionalmente in seguito al passaggio dalla dottrina di Stato alle Confessioni (così come riconosciute oggi dinnanzi alla legge), diviene sempre più attuale in seguito ai recenti flussi migratori. Non esistendo un istituto creato ad hoc, l’incidenza del problema culturale si è maggiormente manifestato nella creazione di singole disposizioni: si faccia l’esempio dell’art. 583bis c.p. introdotta dalla l. n. 7/2006 per quanto riguarda il reato di “mutilazioni genitali femminili”

La lentezza del legislatore e la velocità delle rivendicazioni multiculturali ha determinato una ricerca di soluzioni sempre più immediatamente spendibili, dovendo il giudice svolgere la funzione sia di mediatore culturale che di elemento di integrazione [4]. Al fine di chiarire la posizione della Corte si porti l’esempio della Sentenza n.46300 in materia di violenze e maltrattamenti nel contesto familiare (reato disciplinato dall’art. 572 c.p.): il ricorso d’un immigrato marocchino — basato sull’assenza dell’elemento psicologico nella commissione delle violenze, in ragione della diversa concezione dei rapporti interfamiliare diffusa nella cultura islamica — è stato respinto dalla Cassazione. Il soggetto in questione ha lamentato di aver subito un pregiudizio etnocentrico da parte del giudice di merito nell’applicare schemi valutativi tipici della cultura occidentale senza aver tenuto conto della diversità culturale e religiosa del soggetto agente: gli ermellini hanno respinto il ricorso motivando come «l’assunto difensivo non è in alcun modo accoglibile […] in quanto si pone in contrasto con le norme cardi che informano e stanno alla base dell’ordinamento giuridico italiano e della regolamentazione concreta dei rapporti interpersonali». La Corte di Cassazione con la pronuncia in questione stabilisce come sia «del tutto evidente che entrambe le prospettive, nel nostro sistema penale, intanto possono attuarsi se e nella misura in cui non contrastino con i principi cardine del nostro ordinamento, anche di rango costituzionale […] non possono essere oggetto di deroga neanche quando trovano un ostacolo in una concezione culturale o religiosa diversa da quella tradizionalmente presente». [5]

In conclusione vista il numero elevato dei casi si profila la necessità di un intervento legislativo in materia al fine di evitare la notevole incertezza normativa che caratterizza il fenomeno, dovendo normativizzare il fenomeno stesso in un’ottica globalizzata e multiconfessionale, senza perdere di vista il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento penale e costituzionale.

[1] Sul punto C. Sorio, ‘’I reati culturalmente motivati: la cultural defense in alcune sentenze statunitensi’’ in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale.

[2] Sul punto F. Basile “Società multiculturali, immigrazione e reati culturalmente motivati”, in Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale; inoltre sempre F. Basile, “immigrazione e reati culturalmente motivati”, 2010.

[3] Si veda sul punto C. Sorio vd. nota 1.

[4] Così G. Crocco “Sistema penale e dinamiche interculturali: le implicazioni del movente culturale nella commissione del reato e rilevanza delle cultural defences” in Giurisprudenza Penale.

[5] Sul punto E. OLIVITO, “Giudici e legislatori di fronte alla multiculturalità”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale.

Fonte immagine: pixabay.

Antonio Esposito

Dottore in Giurisprudenza, laureato presso la Federico II di Napoli: si occupa prevalentemente di Diritto Penale e Confessionale. Sviluppa la propria tesi di laurea intorno all'affascinante rapporto tra fattore religioso e legislazione penale (Italiana ed Internazionale), focalizzandosi su argomenti di notevole attualità quali il multiculturalismo, il reato culturalmente motivato e le "cultural defense".

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