venerdì, Marzo 29, 2024
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Le informazioni segrete nella moda: il caso Ashby Donald

1) La definizione di “segreti commerciali”: il segreto aziendale

Le informazioni segrete e i dati aziendali costituiscono gli assets di maggiore valore dell’economia moderna.

L’utilizzo delle tecniche di “know-how” nello svolgimento dell’attività di impresa, o di particolari processi produttivi, necessitano di una sicura protezione sia verso l’interno, nei rapporti tra il datore di lavoro e i dipendenti, sia verso l’esterno nei rapporti con soggetti terzi (siano essi consumatori finali o differenti realtà concorrenti). Proprio in virtù della cruciale importanza della tutela del segreto, della riservatezza e delle informazioni aziendali, è stata emanata un’apposita disciplina normativa.

La tutela dei segreti commerciali è prevista dal Codice della Proprietà Industriale, così come modificato dal d.lgs. 11 maggio 2018 n. 63, in vigore dal 22 giugno 2018, che ha dato attuazione alla Direttiva (UE) 2016/943 dell’8 giugno 2016. La normativa in commento ha innanzitutto sostituito all’interno del Codice della Proprietà Industriale la definizione di “informazioni aziendali riservate” con “i segreti commerciali” definizione ripresa dalla terminologia internazionale “trade secret“. Con la suddetta sostituzione, il legislatore Europeo ha ampliato la platea dei soggetti legittimati a tutelare le proprie informazioni riservate, in quanto, la migliore dottrina nel commentare l’espressione “informazioni aziendali riservate”, sosteneva che la tutela era accordata esclusivamente a “figure imprenditoriali e non a soggetti estranei a questo ambito[1].

A tal riguardo, l’art. 98 c.p.i.  prevede che per segreti commerciali si intendono le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, qualora tali informazioni siano segrete, abbiano valore economico in quanto segrete e siano sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.

Dunque, affinché siano passibili di protezione, i segreti commerciali devono:

  1. essere segreti: le informazioni devono essere difficilmente conoscibili e non generalmente note o facilmente accessibili agli esperti e operatori del settore;
  2. avere valore economico: le informazioni devono avere un valore economico in quanto soggette a vincoli di segretezza in modo tale che l’impresa che le detiene sia in una posizione privilegiata rispetto alle imprese concorrenti che non possiedono la stessa informazione;
  3. essere sottoposti a misure ragionevolmente adeguate a mantenerli segreti.

In riferimento al primo requisito, per “segreti” devono intendersi non in senso assoluto. Infatti “non occorre che siano assolutamente inaccessibili, ma è necessario che la loro acquisizione, quando sia possibile, sia soggetta a sforzi non indifferenti, superiori rispetto a quelli che occorrono per effettuare una accurata ricerca; essi devono altresì essere stati accumulati con un lavoro intellettuale di progettazione individuale”[2].

Il requisito della segretezza dell’informazione è conditio sine qua non per aver accesso alla tutela giudiziale. Infatti, non sussiste sottrazione di informazioni riservate in assenza di prova che le informazioni sottratte siano segrete.

Per quanto riguarda il valore commerciale, è necessario che l’utilizzo di segreti comporti, da parte di chi li attua, un vantaggio concorrenziale che consenta di mantenere o aumentare la quota di mercato.

Infine, in riferimento al terzo ed ultimo requisito, affinché’ il titolare di segreti commerciali possa ottenere la tutela degli stessi è necessario che egli si doti non solo di adeguati sistemi di sicurezza fisica, informatica, ma occorre che lo stesso implementi un adeguato sistema di sicurezza giuridico. Questo, dovrà essere costituito da patti di riservatezza, clausole contrattuali che i dipendenti, partners commerciali e clienti dovranno sottoscrivere.

I segreti commerciali, se rispecchiano i requisiti previsti dalla legge, potranno essere tutelati giudizialmente in caso di violazione. Per questa ragione, il detentore del segreto commerciale ha poi il diritto, ai sensi dell’art. 99 c.p.i., di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di acquisire, rivelare a terzi od utilizzare, in modo abusivo, tali segreti.

2. Le informazioni aziendali segrete nella moda

Il settore della moda, a dispetto di quanto si potrebbe credere, presenta molti ‘segreti’, i quali non sempre sono ben protetti. Si pensi a tutte quelle conoscenze tecniche che attengono, per esempio, all’organizzazione e alle strategie dell’azienda, alle sue politiche di marketing, ai rapporti con la clientela e con i fornitori. Ancora, alla nuova composizione di un tessuto o di un meccanismo particolare di chiusura o di cucitura.

Ogni giorno, ininterrottamente, designer e direttori creativi danno vita ad abiti, loghi, modelli di borse e accessori, tali da far sorgere in capo a questi rilevanti diritti di proprietà intellettuale – come marchi e design – che necessitano indubbiamente di riservatezza in tutta la fase del processo creativo, e per parte anche in quello esecutivo.

La segretezza fa capolino in una molteplicità di situazioni diverse e coinvolge sia i soggetti interni all’azienda, ad esempio i collaboratori dell’ufficio stile, sia gli esterni, come i partner commerciali. Basti pensare ai fornitori, che ricevono dall’azienda bozzetti, layout, prototipi, scelte dei materiali, specifiche tecniche, e che a loro volta sviluppano campioni e utilizzano il loro know-how per soddisfare le richieste del cliente; agli agenti e ai distributori, che vedono le collezioni in anteprima e che si occuperanno dei rapporti con la clientela, acquisendo un importante patrimonio di dati personali e commerciali. Divulgare informazioni segrete è una perdita per l’azienda e, ovviamente, un vantaggio per la concorrenza. Per questa ragione, il nostro ordinamento tutela e protegge i segreti commerciali come veri e propri diritti di proprietà intellettuale – al pari di marchi, modelli e design – anche le conoscenze e le informazioni dell’azienda.

3. Il caso Ashby Donald

L’evoluzione e la diffusione dell’utilizzo dei social network ha incrementato il rischio di divulgazione di informazioni sensibili da parte dei dipendenti e dei partner. Lo stesso vale con riguardo ai rapporti con i testimonial, le agenzie pubblicitarie, i consulenti esterni, i fotografi e le sfilate.

In Francia, ha suscitato notevole interesse il caso di alcuni fotografi accusati di aver divulgato via internet foto di sfilate senza alcun tipo di autorizzazione, in violazione degli accordi sottoscritti dalla locale Federazione della Moda con gli organi di stampa. Caso, questo, di cui si è occupato anche la Corte Europea dei diritti dell’Uomo nel gennaio del 2013[3].

Per la prima volta la Corte di Strasburgo si è occupata della pubblicazione di fotografie on-line, con riguardo al profilo delle limitazioni che la manifestazione della libertà di espressione incontra quando ad essere fotografati siano oggetti protetti dal diritto d’autore.

Tre fotografi di moda, accreditati alle sfilate di Parigi del prêt-à-porter del marzo 2003 per differenti testate, dopo poco la realizzazione dei servizi fotografici divulgarono le fotografie – in parte gratuitamente, in parte a pagamento – su un sito web riconducibile ad una società di cui due di loro erano amministratori.

Nel procedimento penale intentato dalla Fédération Française de la Couture, la stessa e dodici maisons si costituirono parte civile. Il reato ipotizzato era quello di contraffazione mediante riproduzione e diffusione di opere dell’ingegno[4].

Assolti nel giudizio di primo grado, perché la realizzazione delle fotografie era stata consentita senza porre alcun limite ai media in cui le stesse potevano essere diffuse, i fotografi furono invece condannati in appello a sanzioni pecuniarie e risarcimenti alle parti civili ammontanti in totale a circa 270.000 euro.
La Corte d’Appello ritenne, nello specifico, che la circostanza che determinati organi di stampa avessero richiesto l’accredito per i tre fotografi implicasse che l’autorizzazione ad effettuare e diffondere le riprese fotografiche fosse da intendersi come limitata ai medesimi media richiedenti.
Dinanzi alla Corte di Cassazione la difesa dei fotografi sostenne che, anche se non autorizzato, l’uso delle immagini rientrava nella libera utilizzazione a fini di informazione prevista da una specifica norma del Code de la Propriété Intellectuelle. La Suprema Corte però, respinse tale argomento, sulla base dell’interpretazione letterale della disposizione normativa, che ne limita l’operatività alla riproduzione e diffusione soltanto di alcune categorie di opere (grafiche, plastiche e architettoniche).  La suprema Corte, dunque, confermò la condanna.

I fotografi, ricorsero alla Corte di Strasburgo, sulla scorta della presunta violazione, da parte della Francia, dell’art. 10 della CEDU che riconosce e garantisce la libertà di espressione e di informazione. Essi sostennero che il pubblico aveva il diritto di essere informato e aggiornato sull’attualità della moda, essendo una tematica di interesse generale. Inoltre, incoerente e contraddittorio risultava l’invito della stampa ad un evento, al fine di trarne pubblicità, e pretendere, poi, di limitare i canali di diffusione delle informazioni relative all’evento stesso.

La Corte ha disatteso gli argomenti dei fotografi. Infatti, i giudici di Strasburgo hanno dapprima ripreso la loro precedente giurisprudenza in materia: che il diritto alla libertà di espressione, tutelato dall’art. 10 CEDU, comprende la pubblicazione di fotografie e la loro diffusione mediante internet, indipendentemente dalla circostanza che ciò avvenga a fini di lucro; che ingerenze in tale libertà devono essere previste dalla legge. Hanno ritenuto, nel caso di specie, che l’operatività del diritto d’autore costituisse una interferenza rispetto alla libertà di espressione. A questa conclusione sono giunti applicando il triplice test (legalità – legittimità dei motivi – necessità in una società democratica).

Il primo test è stato superato facilmente dallo Stato francese, in quanto i suoi organi giudiziari avevano infatti applicato le norme nazionali vigenti; allo stesso modo il secondo test: tra i “motivi legittimi” previsti dall’art. 10 CEDU c’è la tutela dei diritti altrui, e quindi anche del diritto d’autore. Il superamento del terzo test è stato oggetto di una argomentazione più articolata. A tal riguardo, la libertà di espressione è uno dei pilastri di una società democratica, e le sue limitazioni si giustificano solo in presenza di un bisogno sociale impellente. Ciò premesso, la Corte ha evidenziato che gli Stati contraenti mantengono nell’individuazione di tali bisogni sociali non sempre il medesimo margine di discrezionalità. Questo margine di discrezionalità, allora, si comprimerà o si espanderà a seconda che, ad esempio, venga in rilievo la libertà di espressione in materia politica, oppure, al contrario, il discorso abbia natura commerciale.

Dato per assodato che le fotografie delle sfilate erano state divulgate su internet per fini commerciali, i giudici di Strasburgo hanno sentenziato che in questo caso il diritto nazionale avesse ampio margine per bilanciare gli interessi in gioco e stabilire a quale dare la prevalenza.

In buona sostanza, non sta alla Corte Europea sindacare la previa decisione dei giudici francesi di far prevalere il diritto d’autore delle case di moda sulla libertà di espressione commerciale dei fotografi.

È evidente, dunque, che la Corte abbia scelto di abbracciare una corrente “minimalista”, volgendo tendenzialmente lo sguardo ad una risoluzione “procedurale”, piuttosto che “sostanziale”, ossia, tenendo conto del rapporto tra norma internazionale e norma nazionale. L’unica eccezione, in cui essa entra nel merito “sostanziale” della controversia, è in riferimento all’inconfutabile interesse del pubblico per la moda: non si può affermare che la pubblicazione delle fotografie delle sfilate sia un apporto ad un dibattito di interesse generale.

[1] VANZETTI, La tutela “corretta” delle informazioni segrete, in Riv. dir. ind., 2011, I, p.104.

[2] Trib. Bologna Sez. spec., 09/02/2010.

[3] https://www.echr.coe.int/Pages/home.aspx?p=home

[4]Nell’ordinamento francese le creazioni della moda sono infatti protette dal diritto d’autore, e la riproduzione e la comunicazione al pubblico delle loro immagini senza autorizzazione è illegittima come ad esempio avverrebbe, in Italia, per le immagini di opere d’arte contemporanea.

E’ possibile leggere la pronuncia della CEDU direttamente qui Ashby Donald and Others v. France

Per ulteriori approfondimenti si legga:

Avellino, Tutela di uno scatto: il copyright nella moda, Ius in itinere, disponibile su https://www.iusinitinere.it/tutela-di-uno-scatto-il-copyright-nella-moda-27940

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