A cura di Alberto Biancardo
- La diffusione dello smart working
Con la complicità delle moderne tecnologie e la necessità di tutele più ampie per le categorie più deboli, i confini fra lavoro autonomo e subordinato stanno diventando sempre più labili poiché molti lavoratori autonomi svolgono le attività in condizioni analoghe ai lavoratori subordinati, e viceversa. La situazione di debolezza e instabilità economica di ampie fasce di lavoratori autonomi e l’orientamento socio-economico di progressiva flessibilizzazione del lavoro dipendente hanno fatto sì che tale convergenza divenisse sempre più marcata. Si evidenzia, altresì, la nascita di una nuova collaborazione personale e continuativa, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche con riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro. Ciò rende sempre meno agevole per l’interprete l’utilizzo di tecniche qualificatorie che possano inequivocabilmente distinguere lavoro subordinato ed autonomo, andando ad ampliare in maniera irreversibile la zona grigia tra autonomia e subordinazione. La flessibilizzazione, che avvicina sempre più il lavoro subordinato a quello autonomo divenendo il pilastro di un nuovo sistema produttivo basato su un mercato del lavoro globalizzato non è, peraltro, da circoscrivere esclusivamente all’ambito dei licenziamenti e delle assunzioni, ma si estende anche alle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa. La modalità che negli ultimi anni ha assunto maggior rilevanza, complice anche la pandemia da Covid-19, è indubitabilmente il c.d. smart working, ossia il lavoro agile, caratterizzato da una delocalizzazione del posto di lavoro, intesa come irrilevanza della presenza fisica del lavoratore nei locali aziendali.
Nonostante fino agli inizi del 2020 lo smart working risultasse limitato a meno del 10 per cento dei lavoratori subordinati, con la pandemia e la conseguente chiusura di scuole, aziende ed uffici pubblici, la maggior parte dei lavoratori dipendenti ha continuato la propria attività avvalendosi di tale modalità. Il D.L. n. 18 del 2020 e il DPCM del 3 novembre 2020 emanati in seguito all’aggravarsi dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 hanno raccomandato il massimo utilizzo della modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte a distanza. In particolare i c.d. lavoratori fragili e disabili ex art. 3 comma 3 legge n. 104/1992, hanno svolto di norma la prestazione lavorativa in modalità agile, anche attraverso l’adibizione a diversa mansione nella medesima categoria di inquadramento. Il decreto 221 del 2021, con il quale è stato prorogato lo stato di emergenza al 31 marzo 2022, ha previsto che i lavoratori fragili e i genitori di figli fino a quattordici anni di età del settore privato potessero continuare a lavorare in smart working fino al 28 febbraio 2022. Successivi emendamenti hanno prorogato il termine fino alla fine dello stato di emergenza, poi fino al 31 dicembre 2022[1], mentre un emendamento alla Legge di Bilancio ha previsto una proroga per tutto il 2023. Anche dopo la fine dello stato di emergenza da COVID-19 disposto con D.L. n. 24 del 24 marzo 2022, e non soltanto per i lavoratori fragili, lo smart working è ormai diventato un punto di riferimento delle imprese italiane, tanto che le previsioni per il 2023 annunciano oltre 3,6 milioni di lavoratori da remoto. La presenza di tale modalità lavorativa è al 91 per cento nelle grandi imprese, mentre è sensibilmente minore nelle piccole-medie imprese, ossia al 48 per cento[2], ma comunque in netto aumento rispetto agli anni precedenti alla pandemia. Oltre ad un risparmio sulle spese di trasporto per i lavoratori e di postazioni lavorative e riduzione dei consumi energetici per le imprese, non trascurabili sono i benefici ambientali, con una riduzione di CO2 stimata in circa 450 chilogrammi annui per lavoratore.
- Il lavoro agile dopo la legge n. 81 del 2017
Per lavoro agile si intende una modalità lavorativa stabilita mediante accordo individuale scritto, che si svolge in assenza di precisi vincoli di orario e luogo di lavoro, senza una postazione fissa, effettuata anche all’esterno dei locali aziendali e con l’utilizzo di strumenti tecnologici, come pc, tablet, laptop. Esso va a sostituire il preesistente telelavoro ed è disciplinato al Capo II (articoli 18-24) del c.d. jobs act del lavoro autonomo, legge n. 81 del 2017. La legge in parola, intitolata “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”[3], arricchisce la previgente normativa con la nuova disciplina del lavoro agile, la quale ha certamente fatto un passo avanti, in termini di flessibilità organizzativa, nei confronti del preesistente telelavoro[4]. La legge nasce dal DDL Damiano, Fassina ed altri del 30 gennaio 2014, definito “Statuto delle attività professionali”, col chiaro intento di creare un apparato di tutele ai lavoratori autonomi e connotare di maggior flessibilità, rispetto ad orari e luoghi di lavoro, l’attività del lavoratore subordinato[5]. L’obiettivo di creare un’organizzazione strutturale e sistematica del lavoro autonomo e di rendere più flessibili le modalità di lavoro subordinato non è stato, tuttavia, pienamente raggiunto, poiché le innovazioni introdotte dalla legge restano ambigue ed isolate, sollevando numerosi dubbi e difficoltà interpretative[6].
La definizione di lavoro agile quale modalità di lavoro subordinato senza vincoli di orario o luogo di lavoro, fornita dalla legge in esame all’art. 18, potrebbe non apparire convincente, poiché l’autonomia organizzativa del lavoratore sembrerebbe contrastare con la peculiarità dell’eterorganizzazione, propria della subordinazione. Tuttavia non si può non considerare che l’attività svolta in modalità smart working sia comunque eterodiretta, in quanto le direttive sono impartite dal datore di lavoro, e quest’ultimo conserva il potere disciplinare e di controllo, seppur attenuati, sul lavoratore. Non è, pertanto, in discussione la natura subordinata dello smart working, giacché è esplicitamente previsto dalla norma in esame, all’art. 18, che il lavoro agile è una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato”. Peraltro, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, gli elementi del tempo e luogo di lavoro non sono ritenuti decisivi nel qualificare un lavoro come subordinato[7]. In definitiva si può ritenere lo smart working una modalità di lavoro subordinato che si posiziona proprio in quella “zona grigia” a cavallo con il lavoro autonomo, e che necessita di maggiori controlli al fine di evitare qualunque forma di abuso, ma che possiede, comunque, le caratteristiche essenziali del rapporto di lavoro subordinato[8]. Ci si chiede, pertanto, perché inserire tale modalità di lavoro subordinato in una legge dedicata in gran parte alle misure per la tutela del lavoro autonomo, tanto da essere definita “jobs act degli autonomi”. Vieppiù sarebbe necessario tenere ben distinte le due tipologie, onde evitare il più possibile confusioni e fraintendimenti fra autonomia e subordinazione.
La legge introduce una specifica disciplina del lavoro agile, erroneamente valutato da molti come nuova tipologia contrattuale, ma in realtà consistente soltanto in una particolare modalità di esecuzione di lavoro subordinato. L’art. 18 della legge in oggetto, rubricato “Lavoro agile” afferma che viene promossa tale tipologia di lavoro, “quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza l’assegnazione di una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, così come previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. L’art. 18 al comma 1 preannuncia gli scopi della norma, cosa che, invero, risulta infrequente nel panorama normativo del nostro Paese. Lo scopo del lavoro agile è “incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”. Tale espressione sembra evidenziare l’intento primario del legislatore, di voler creare un equilibrio fra i vantaggi che possono pervenire dal lavoro agile al datore di lavoro, ossia la competitività, e quelli di cui si avvantaggiano i lavoratori, ossia la conciliazione dei tempi di vita e lavoro. Con legge n. 145 del 2018 è stato inserito all’art. 18 della legge n. 81 del 2017 il comma 3 bis, secondo cui i datori di lavoro che stipulano accordi per l’esecuzione in modalità agile sono tenuti a dare la priorità alle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del congedo di maternità ed ai lavoratori con figli disabili. Per il settore pubblico l’art. 14 della l. 124/2015 di riforma della pubblica amministrazione, promuove la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, disponendo che le PP.AA. adottino misure organizzative per l’attuazione del telelavoro e nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa. La legge n. 81/2017 prevede, comunque, l’estensione della disciplina del lavoro agile anche ai rapporti alle dipendenze della P.A., non solo privatizzati, ove compatibili “fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti”.
- Le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa
La modalità di esecuzione di lavoro agile è stabilita mediante accordo scritto fra le parti, richiede l’utilizzo di moderni strumenti tecnologici, e viene eseguita in parte nei locali dell’azienda, in parte al di fuori, senza una postazione fissa. L’accordo fra le parti può essere successivo al contratto di lavoro e può prevedere forme organizzative per obiettivi e senza vincoli di orario. Riguardo agli strumenti tecnologici il datore di lavoro è responsabile di sicurezza e funzionamento della strumentazione. Tale tipologia indebolisce il legame, indissolubile nel passato, fra il rapporto di lavoro subordinato e la sede aziendale, consolidando il rapporto con la strumentazione aziendale, generalmente fornita dal datore di lavoro anche nelle ipotesi di smart working. Se da un lato vengono flessibilizzati i vincoli temporali e spaziali della prestazione lavorativa, vengono giocoforza rafforzate le ragioni del controllo datoriale. L’assenza di vincoli di orario rischia di nuocere alla tutela del lavoratore subordinato in materia di orario di lavoro, che non è più predeterminato, tuttavia deve avvenire entro i limiti di durata massima di orario di lavoro, stabiliti dalla legge o dai contratti collettivi.
Fra le modalità di esecuzione del lavoro agile è previsto anche il controverso “lavoro per obiettivi”, che, pur se subordinato, assume le caratteristiche dell’autonomia e dell’accettazione del rischio da parte del lavoratore. Tale modalità di lavoro si trova, indubbiamente, in un’area di confine fra lavoro subordinato ed autonomo, divenendo, pertanto, di complessa qualificazione. La nuova normativa consente infatti, alla contrattazione individuale, nuove forme di lavoro per obiettivi, le quali, almeno prima facie, poco hanno a che vedere con il lavoro subordinato andando, altresì, a minare la supremazia della contrattazione collettiva. Il legislatore compie, così, una scelta a vantaggio della contrattazione individuale, rinunciando al contratto collettivo, principale presidio di garanzia del lavoratore. È, pertanto, auspicabile una novella del testo legislativo, che affidi il lavoro agile alla contrattazione individuale nei soli casi in cui manchi quella collettiva. Tale vulnus legislativo è particolarmente allarmante in un periodo in cui, a causa della pandemia, il lavoro agile non è più una scelta eccezionale o residuale. Limite alla pattuizione individuale è, invero, rappresentato dalla sua operatività nei limiti della durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti da legge e contrattazione collettiva.
È comunque da tenere distinta la flessibilità del lavoro subordinato per fasi e cicli dal lavoro per obiettivi, in quanto quest’ultimo ha peculiarità assenti nel primo, quali l’assunzione del rischio da parte del lavoratore. La prestazione per obiettivi mette in discussione non solo la natura subordinata della prestazione di lavoro, ma anche la natura della prestazione come obbligazione di mezzi, e la conseguente classificazione nell’ambito della locatio operis ovvero della locatio operarum. Ciò può mettere in crisi l’intero apparato dell’art. 2094 c.c., con l’introduzione di elementi valutativi riguardanti la prestazione lavorativa relativi al conseguimento degli obiettivi, prevedendo anche il licenziamento per scarso rendimento. Ciò evidenzia un’inversione di tendenza nei confronti della giurisprudenza maggioritaria[9], per cui la configurazione del giustificato motivo soggettivo di licenziamento prevede che il datore di lavoro debba provare, oltre al mancato raggiungimento del risultato, anche il negligente inadempimento degli obblighi contrattuali.
- Forma e contenuto dell’accordo
In quanto a forma e contenuto dell’accordo individuale relativo allo smart working, l’art. 19 della legge n. 81 del 2017 specifica che può essere contestuale o successivo alla stipulazione del contratto di lavoro, ma resta comunque distinto da quest’ultimo. La forma dell’accordo riguardo la modalità di lavoro agile deve essere scritta. Stabilisce, difatti, l’art. 19 della legge n. 81 del 2017: “L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova”. Tale accordo “disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”. Il contenuto dell’accordo riguarda, pertanto, l’esecuzione della prestazione svolta all’esterno dei locali dell’azienda, delle relative forme del potere direttivo del datore di lavoro e della strumentazione fornita al lavoratore. Tale articolo è di primaria importanza con riguardo alle tutele del lavoratore che svolga attività con il lavoro agile, poiché fissa i limiti al potere direttivo e di controllo e i tempi di riposo del lavoratore. In caso di mancanza di forma scritta, tuttavia, il rapporto sembra doversi ricondurre al rapporto subordinato previsto dal contratto collettivo. Il diritto alla disconnessione[10] può essere ricavato dal richiamo ai limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale. L’accordo sul lavoro agile può essere a tempo determinato o indeterminato. Nell’accordo a tempo indeterminato il recesso dalla modalità smart working e ritorno alla modalità ordinaria di lavoro, può avvenire senza giustificazione con un preavviso non inferiore a trenta giorni. Il termine di preavviso è elevato a novanta giorni nel caso in cui il recesso da parte del datore di lavoro riguardi un rapporto in modalità lavoro agile con un lavoratore disabile. In presenza di un giustificato motivo, ciascuno dei contraenti può recedere prima della scadenza del termine nel caso di accordo a tempo determinato, o senza preavviso nel caso di accordo a tempo indeterminato. Ove l’art. 19 parla di recesso dal lavoro agile, il riferimento è all’interruzione della sola modalità stabilita nell’accordo e non all’interruzione dell’intero rapporto di lavoro subordinato, per il quale si applicano le vigenti norme a tutela del lavoratore in caso di licenziamento[11]. Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha, inoltre, ex art. 20 della l. n. 81 del 2017, il diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato agli altri lavoratori che svolgono le medesime mansioni nell’azienda. Al lavoratore può essere riconosciuto in seno all’accordo di lavoro agile il diritto all’apprendimento permanente e alla periodica certificazione delle competenze[12].
L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile disciplina l’esercizio e i limiti del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dallo Statuto dei lavoratori. Secondo quanto previsto dall’art. 21 della legge n. 81 il lavoro agile deve, difatti, rispettare quanto previsto dall’art. 4 della l. n. 300 del 1970 e successive modificazioni[13]. In sintesi vi è il divieto dei controlli a distanza da parte del datore di lavoro, fatti salvi i c.d. controlli difensivi, volti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori e lesivi del patrimonio aziendale, ivi compresi gli strumenti attraverso cui il lavoratore rende la prestazione del lavoro agile. Non è chiarito, tuttavia, come il datore possa assolvere all’obbligo di informazione circa le modalità di effettuazione dei controlli, e di pubblicizzazione delle regole di condotta che possono integrare le infrazioni disciplinari. In generale, nel silenzio della norma, si favorisce l’ipotesi di una tipizzazione della fattispecie operata il più possibile in sede di contrattazione collettiva, e non di regolamentazione unilaterale da parte dell’azienda. L’accordo relativo al lavoro agile, ex art. 19 della legge 81 del 2017, individua le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali, che danno luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari. Non è chiaro se il lavoratore possa essere sottoposto a sanzione disciplinare esclusivamente se la sua condotta è prevista nell’accordo, ovvero se l’indicazione delle condotte sanzionabili sia non tassativa.
- Obblighi del datore di lavoro
Gli obblighi del datore di lavoro in materia di salute e sicurezza discendono dal principio civilistico di cui all’art. 2087 c.c. e dal Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, d.lgs. n. 81 del 9 aprile 2008. In materia di lavoro agile l’art. 22 della legge n. 81 del 2017 ribadisce tali obblighi, sia datoriali che del lavoratore, prevedendo la consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, di un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro. Il lavoratore, d’altro canto, deve collaborare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare qualsivoglia rischio connesso alla prestazione con le modalità smart working. La disposizione dell’art. 22 è coerente con il d.lgs. 81 del 2008, articoli 36 e 37, includendo anche i lavoratori a domicilio fra i destinatari degli obblighi del datore di lavoro di informazione e formazione[14]. Bisogna dire, poi, che ogni disciplina derogatoria di tale materia è sottratta al potere della contrattazione collettiva e individuale, in quanto competenza solo della legge. Le modalità del lavoro agile, che indeboliscono il differente legame con la sede e con gli strumenti di lavoro, finisce con l’enfatizzare la portata responsabilizzante del dovere di collaborazione del lavoratore, il quale avrà l’obbligo, a causa di un potere di controllo meno stringente, di contribuire attivamente ad evitare i rischi connessi alla prestazione svolta fuori dai locali dell’azienda. Anche quest’ultimo elemento di indeterminatezza della norma, crea un’incertezza che conferisce alla discrezionalità del giudice maggiori poteri, ed alla giurisprudenza il compito di interpretare ed orientare le decisioni in materia. La legge n. 81 disciplina all’art. 23 la tutela del lavoratore agile per i rischi connessi alla prestazione svolta all’esterno dei locali aziendali, ed in particolare l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali. L’accordo per il lavoro agile deve essere comunicato obbligatoriamente ai centri per l’impiego territorialmente competenti. Il lavoratore viene tutelato contro infortuni e malattie professionali dipendenti sia dai rischi connessi alla prestazione lavorativa, sia avvenuti nel percorso per il raggiungimento del luogo esterno ai locali aziendali differente dall’abitazione[15]. Tale tutela del lavoratore prevede una verifica a posteriori da parte dell’INAIL non già sui soli presupposti di fatto, ma anche su quelli di diritto.
- Conclusioni
La genericità della normativa e il ruolo accessorio che assume la contrattazione collettiva in materia di lavoro agile, potrebbero cagionare una pericolosa deriva verso una eccessiva flessibilità nella stipulazione del contratto individuale, inidoneo a difendere la parte debole del contratto di lavoro. Ci si chiede, pertanto, se tale modalità di lavoro risponda alle sue originarie finalità, ossia al compromesso fra esigenze di lavoro e di vita del lavoratore ed al rispetto del principio del favor lavoratoris.
Nonostante gli indubbi vantaggi della modalità lavorativa dello smart working, le incertezze normative riguardano la maggior difficoltà nella qualificazione e distinzione del lavoro subordinato nei confronti di quello autonomo e l’estensione del concetto di adempimento della prestazione, con rischio di invasione nella sfera privata e familiare del lavoratore.
Rappresenta, invece, un indubbio passo avanti in un’ottica di maggior certezza e di semplificazione in materia di lavoro, la possibilità di invio tramite piattaforma informatica degli accordi individuali di smart working, nei quali dovranno essere indicati i dati del datore e del lavoratore, tipologia di lavoro agile e durata. L’invio telematico segue un proficuo orientamento già intrapreso dal jobs act, in materia di dimissioni del lavoratore.
[1] Emendamento Decreto Aiuti bis al Senato. L’opzione per i lavoratori che siano genitori di figli minori di 14 anni è sottoposta condizione che anche l’altro genitore lavori o non sia beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa, sempre che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.
[2] Dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nell’ambito della ricerca 2022 sullo smart working.
[3] Legge n. 81 del 22 maggio 2017, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 135 del 13 giugno 2017.
[4] Cfr., Servizio studi Dipartimento lavoro – Documentazione per l’esame di progetti di legge – Camera dei deputati XVII legislatura -Tutele per il lavoro autonomo e disciplina del “lavoro agile” – Legge n. 81/2017, Schede di lettura – n. 516/2.
[5] U. Carabelli, L. Fassina, Il lavoro autonomo e il lavoro agile alla luce della legge n. 81/2017, in Consulta giuridica – Atti del Seminario del 15 dicembre 2017, Roma 2018.
[6] Cfr., M. Neri (a cura di), Smart working: una prospettiva critica, Bologna, ottobre 2017, pp. 4 e ss.
[7] Tali indicatori vengono annoverati fra gli indici presuntivi della subordinazione, Cass. civ., sez. Lav. ordinanza n. 1555, 23 gennaio 2020 e Cass. Lav. ordinanza n. 17384, 27 giugno 2019.
[8] Cfr. E. Ghera, D. Garofalo, A. Garilli, Diritto del lavoro, 2020, che definisce una “zona grigia tra autonomia e subordinazione che ha indotto la giurisprudenza a valorizzare i cd. indici sussidiari di subordinazione ed anche il nomen iuris utilizzato dalle parti”.
[9] Secondo la Cass. civ., sentenza n. 8973, 20 agosto 1991 “nel contratto di lavoro subordinato, infatti, il lavoratore non si obbliga al raggiungimento di un risultato, ma alla messa a disposizione del datore delle proprie energie, nei modi e nei tempi stabiliti, con la conseguenza che il mancato raggiungimento del risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento”. Per la Cass. civ., Sez. lavoro, n. 18317, 19 settembre 2016, “nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datare di lavoro, a cui spetta l’onere della prova, non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione”. In tal senso anche Cass. civ. sentenza n. 26676, 10 novembre 2017.
[10] Il diritto alla disconnessione non può essere inteso sic et simpliciter come il diritto del lavoratore di disattivare le strumentazioni tecnologiche e le piattaforme informatiche di lavoro, ma deve essere inteso, in senso più ampio, come il diritto del lavoratore subordinato di non rendersi immediatamente reperibile alle esigenze aziendali e del datore di lavoro. Nel maggio 2020 il Garante della privacy ha ribadito che è necessario assicurare in modo più netto il diritto alla discussione per tutelare la distanza tra spazi di vita privata e attività lavorativa, pertanto “Il ricorso alle tecnologie non può rappresentare l’occasione per il monitoraggio sistematico del lavoratore. Deve avvenire nel rispetto delle garanzie sancite dallo Statuto a tutela dell’autodeterminazione del lavoratore che presuppone, anzitutto formazione e informazione del lavoratore sul trattamento a cui i suoi dati saranno soggetti”. In particolare il Garante ha affermato “Non sarebbe legittimo fornire per lo smart working un computer dotato di funzionalità che consentono al datore di lavoro di esercitare un monitoraggio sistematico e pervasivo dell’attività compiuta dal dipendente tramite questo dispositivo”.
[11] Ossia il jobs act per i rapporti di lavoro con assunzioni avvenute a partire dal 7 marzo 2015, la Riforma Fornero per quelli precedenti al 7 marzo 2015.
[12] Il D.Lgs. n. 13/2013 ha definito le norme generali e i livelli essenziali delle prestazioni per l’individuazione e la validazione degli apprendimenti, nonché degli standard minimi di servizio del Sistema nazionale di certificazione delle competenze.
[13] Art. 4 legge n. 300 del 1970, rubricato “Impianti audiovisivi”, così novellato dal D.Lgs. n. 151/2015 e dal D.Lgs. n. 185/2016: “Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione della sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
[14] Per l’art. 36 d.lgs. n. 81 del 2008 le informazioni devono essere comprensibili per i lavoratori e per l’art. 37 la formazione erogata al lavoratore deve essere sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche.
[15] In applicazione degli articoli 2 e 210 del D.P.R. 1124/1965 l’assicurazione copre anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato, ad esempio dalla mancanza di mezzi pubblici ove, comunque, la distanza dal luogo di lavoro non renda percorribile il percorso a piedi.