mercoledì, Febbraio 19, 2025
Il Poliedro Religioni, Diritti, Laicità

Le nuove norme per la formazione dei sacerdoti in Italia

A cura di Antonio Vitale

  1. Introduzione 

Il 9 gennaio 2025 sono entrate in vigore, ad experimentum per tre anni, le nuove  disposizioni del Documento “La formazione dei presbiteri nelle Chiese in Italia. Orientamenti e norme per i Seminari”.  L’iter di approvazione del documento è stato caratterizzato da diverse ed articolate fasi. Già dal dicembre del 2016 il Dicastero (allora Congregazione) per il Clero approvava la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, fornendo indicazioni unitarie circa la formazione sacerdotale in tutto il mondo. Come ricordato nell’Introduzione al Documento appena approvato dalla Conferenza Episcopale Italiana, la competenza circa la formazione dei presbiteri era stata affidata già dal 2013 da Benedetto XVI, con Lettera Apostolica in forma di motu proprio Ministrorum Istitutio, alla Congregazione per il Clero, competenza fino a quel momento demandata alla Congregazione per l’Educazione Cattolica. Alla Ratio fundamentalis universale ha fatto seguito il documento, che si presenta, redatto ed approvato dall’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, tenutasi ad Assisi dal 13 al 16 novembre del 2023. Il Documento ha, infine, avuto la definita approvazione del Dicastero per il Clero in data 8 dicembre 2024. 

Come affermato da Mons. Stefano Manetti, vescovo di Fiesole e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata della CEI, il documento non è una revisione di quanto già stabilito precedentemente per la formazione dei futuri sacerdoti, ma piuttosto una nuova versione nata dal desiderio di voler riprendere il discorso sull’intera materia per dare nuove e più concrete risposte alle esigenze di un presbitero che si trova a vivere le necessità del mondo contemporaneo. Concetto ampiamente approfondito sempre dello stesso Mons. Manetti nella presentazione, a sua firma, del nuovo documento, ricordando come la sfida maggiore per un formatore che si trovi davanti un candidato al presbiterato, sia il vaglio dell’autenticità della vocazione alla luce de “La straordinaria quantità e varietà di stili di vita proposti dai social media, la debole educazione alla valutazione morale degli atti, la desuetudine a considerare le conseguenze delle azioni sul proprio sé, l’analfabetismo affettivo-emotivo e la povertà di modelli etico-valoriali di cui è segnata la cultura ove essi crescono” . A ciò si aggiunge l’attenzione alla capacità del presbitero, sia nella fase formativa che in quella della post-formazione, di relazionarsi nel mondo attuale, anche alla luce delle istanze emerse dal recente Sinodo sulla sinodalità. Questi, in sintesi, i due punti fondamentali su cui il documento si prefigge di apportare novità, secondo una struttura formativa articolata, e che analizza nei suoi elementi di originalità. 

2. I contenuti del Documento

Il processo di formazione dei candidati al presbiterato, come sottolineato dal Documento dei vescovi italiani, non termina con la conclusione della formazione seminariale. Il sacerdote viene infatti chiamato ad una formazione continua, di cui il Seminario non rappresenta che la prima parte e che perdura per l’intera vita. Si mira, dunque, a sottolineare come sia un’esigenza fondamentale la formazione permanente dei sacerdoti, sotto l’autorità e la responsabilità dei vescovi, presidio di Chiesa locale e attenti lettori della realtà geografica e culturale in cui si trovano ad operare i sacerdoti a loro affidati. 

Seguendo la strutturazione dei capitoli del Documento, nel primo si affronta la questione della formazione dei presbiteri in una Chiesa che viene definita missionaria. Richiamando a quanto espressamente ricordato più volte da Papa Francesco, il documento invita i presbiteri ed i candidati al presbiterato a vivere la vita ecclesiale con vero spirito di missionarietà, sapendosi fare attenti lettori della realtà e del contesto in cui si trovano o in cui andranno ad operare. Non si manca di sottolineare come il sacerdote debba farsi annunciatore del messaggio evangelico anche nella vita fraterna con gli altri confratelli e con la comunità di fedeli affidata, invitando all’ascolto degli uomini e delle donne che si incontreranno, condividendone le esperienze, e favorendo così l’ingresso nelle complesse dinamiche sociali delle comunità parrocchiali. Utilizzando la metafora del cammino da percorrere, al presbitero ed al seminarista viene chiesto di vivere il periodo di formazione come processo continuativo, che non si esaurisce con il conferimento dell’ordine sacro. La formazione permanente del clero, infatti, rappresenta un tutt’uno con quella che il seminarista fa durante gli anni di seminario. Formazione, specie quella presbiteriale, che richiede il coinvolgimento integrale della persona, sia sotto l’aspetto umano e spirituale che intellettuale e pastorale; si parla, infatti, espressamente di “discepolato permanente” del presbitero. La condivisione, poi, delle esperienze con gli altri sacerdoti viene incoraggiata, in un’ottica di crescita comune e condivisa. Nei seminari viene incentivato l’allestimento di spazi formativi, così che quanto accade al singolo seminarista, specialmente durante il periodo di “prova pastorale” definitivo “tirocinio pastorale”, possa essere oggetto di condivisione all’interno della comunità e divenire momento di crescita e formazione comune: “Se questa dinamica formativa viene attivata in modo significativo fin dal Seminario, non sarà difficile per un presbitero riconoscerne l’esigenza e il valore già nei giorni successivi alla sua ordinazione.  

Il secondo capitolo del Documento affronta l’altro punto nodale individuato come caratterizzante del documento: la pastorale vocazionale e le diverse forme di accompagnamento della vocazione stessa. L’azione di riconoscimento ed accompagnamento della vocazione è affidata all’intera comunità in cui il candidato vive: l’intera comunità ecclesiale dovrà muoversi in questa direzione, attraverso la testimonianza che può venire tanto dagli stessi presbiteri, quanto dai genitori, dai consacrati, dai catechisti, dagli animatori, dagli educatori. Si rileva, quindi, l’importanza di soggetti formati al riconoscimento ed all’accompagnamento dei giovani e dei ragazzi nel cammino di discernimento vocazionale; tali figure posso essere individuate anche nel mondo laicale, che andranno ad affiancare il ruolo dell’equipe educativa presente nei seminari. Il maggiore coinvolgimento dei laici è frutto di quanto emerso dalla fase di ascolto del recente cammino sinodale. Attenzione, poi, è riservata alla questione della vocazione di persone adulte. Nel caso in cui soggetti adulti manifestino una volontà di accesso al presbiterato, ma non appartengano attivamente al tessuto ecclesiale, il documento consiglia di affidare tali persone in via preventiva ad una comunità cristiana, che possa fargli vivere in maniera matura il senso di appartenenza alla Chiesa.

Focus del terzo capitolo sono le novità introdotte per il nuovo ordinamento circa l’itinerario formativo. L’iter formativo del presbitero è distinto in due tempi: quello iniziatico e quello propriamente formativo, ai quali si accede dopo il superamento di un anno propedeutico. La Ratio fondamentalis del 2016 scandiva il percorso formativo in quattro tappe, riprese anche dal nuovo Documento: tappa propedeutica, discepolare, configuratrice ed in ultimo quella di sintesi vocazionale. Tali tappe non rappresentano uno schema rigido, ma vanno modellate e configurate a seconda del percorso di ogni singolo soggetto. Al termine della tappa propedeutica, che rappresenta il momento di vero discernimento e di verifica, il candidato può essere ammesso al seminario maggiore, dove svilupperà le tappe discepolare (della durata di due anni), quella configuratrice (della durata di quattro anni), e quella di sintesi (di non meno di un anno). Il seminarista può essere ammesso all’Ordine fra la tappa discepolare e quella configuratrice; durante quest’ultima avrà inizio anche il graduale inserimento in una realtà pastorale. Terminata la tappa configuratrice il seminarista potrà accedere all’ordinazione diaconale, affrontando così la sintesi vocazionale che lo porterà all’ordinazione presbiteriale che, sebbene non concluda la formazione in seminario, inaugura il periodo di quella permanente che accompagnerà il sacerdote durante tutta la sua vita. Ruolo importante nell’itinerario formativo lo ricopre il vescovo, che agisce sinergicamente con il Rettore del seminario, chiamato ad essere moralmente certo dell’idoneità dei candidati all’ordine; per questo è necessario conoscere personalmente ogni seminarista e qualora lo si ritenga opportuna farsi coadiuvare da specialisti o persone competenti, nel caso le circostanze lo richiedano. 

Nel quarto capitolo si sottolinea la particolare importanza della formazione soprattutto umana, oltre che culturale, del seminarista. Obiettivo del seminario, infatti, non è formare giovani (o adulti) che scelgono di vivere al di fuori del mondo, ma saper cogliere nel mondo il germe vocazionale e accompagnarlo ad una consapevole coscienza di sé. Formazione umana, dunque, integrale e che abbracci tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Viene qui affrontato anche il delicato tema dell’educazione al celibato ed alla verginità. Il testo parla di “serena offerta di sé espressa nella scelta del celibato per il Regno”. Nella scelta di vita celibataria, il seminarista deve essere correttamente educato anche ad una sana vita affettiva e relazionale, accogliendo il celibato liberamente e custodendolo responsabilmente. Chiude questo capitolo il riferimento alla tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, tema che dal magistero di Giovanni Paolo II in poi ha trovato sempre più ampia trattazione sia nei documenti pastorali quanto in quelli propriamente giuridici della Chiesa. Si ribadisce, in questo contesto, che il tema della tutela dei minori non possa essere affrontato solo dal punto di vista strettamente giuridico, sebbene sia imprescindibile, ma come più volte richiamato da Papa Francesco, anche attraverso una consapevole azione pastorale volta a formare, sia inizialmente, i candidati che gli stessi presbiteri (sempre nell’ambito della formazione permanente) ad una particolare sensibilizzazione su questi delicati temi, affinché possa essere prevenuto, combattuto ed eliminato dall’interno della Chiesa stessa ogni forma di abuso

L’ultimo capitolo riguarda gli agenti della formazione ed il progetto formativo. Accogliendo l’istanza sinodale di allargare la condivisione della responsabilità formativa dei candidati ai ministeri ordinati, vengono a delinearsi con maggiore chiarezza i compiti del vescovo, del presbiterio, della stessa comunità seminariale, dei formatori all’interno del seminario, quali il Rettore, gli animatori ed il direttore spirituale, dei docenti esterni, degli psicologi, dei parroci e dei responsabili pastorali. Tutte queste figure concorrono alla formazione del progetto formativo, che deve essere approvato dal vescovo diocesano. In esso andranno specificate sia la dinamica educativa, oltre che i ruoli dei soggetti coinvolti nella formazione, gli obiettivi da raggiungere ed i mezzi impiegati per il raggiungimento degli stessi. 

Il sacerdote del XXI secolo è, poi pienamente immerso nel mondo digitale, in cui virtuale e reale sono strettamente intrecciati. Questo richiede che anche nella formazione al sacerdozio si venga accompagnati a maturare la capacità di “abitare” l’ambiente digitale con consapevolezza e sapienza, riconoscendone le opportunità e i rischi. L’approccio del Documento al mondo digitale, in linea con l’insegnamento magisteriale, è certamente meno preoccupato circa queste nuove modalità comunicative, ma pur sempre si sottolinea la necessaria prudenza, senza negare che l’utilizzo dei media e l’approccio al mondo digitale sono una parte integrante dello sviluppo della personalità del seminarista ed uno spazio importante di evangelizzazione ed azione pastorale. 

In conclusione, sono rilevabili alcuni temi che le recenti norme, alla luce anche del dibattito sinodale, hanno introdotto in una materia delicata quale quella trattata. Sicuramente è ravvisabile una maggiore attenzione circa la questione del discernimento vocazionale, anche in tema di vocazioni in età adulta, frutto di una antropologia teologica che pone al centro l’uomo e la propria relazione con il divino. Il percorso di formazione, sebbene ancora suddiviso in tappe distinte, appare più chiaramente come un cammino unico e unitario, che ha come naturale continuazione la formazione permanente del presbitero anche dopo l’ordinazione; specifica è l’attenzione all’ordinato nel momento in cui questo viene ad entrare nella comunità presbiterale, luogo privilegiato di formazione e condivisione delle esperienze che si vivono nella comunità. Fondamentale è  per il sacerdote di domani vivere calato nella reale contingenza comunitaria, in cui essere capace di intessere autentiche e sane relazioni interpersonali con chi gli viene affidato. In questo svolgono un’azione pastorale, formativa e di ausilio, anche i laici, specie durante la fase di discernimento vocazionale e nel supporto alla pastorale parrocchiale.  Non ultimo, il tema della lotta agli abusi sui minori e sugli adulti vulnerabili, da attuarsi con specifici programmi di formazione, auspicando così di riuscire a debellare dalla radice una delle piaghe più dolorose che affliggono la Chiesa contemporanea. 

  1. Il celibato e l’omosessualità nel clero 

La pubblicazione del documento ha avuto grande risalto sui media. Un’errata lettura giornalistica del n. 44 del Documento è stata presentata come apertura assoluta alla possibilità di giungere all’ordinazione di persone omosessuali. Richiamando quanto espresso nel documento Il dono della vocazione presbiteriale, emanato dalla Congregazione per il Clero nel 2016, l’attuale Ratio nationalis ricorda che la Chiesa “[…] non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne., aggiungendo, però, che tale situazione non deve essere considerato un impedimento assoluto, riducendo il discernimento a tale tematica. È opportuno, infatti, che il soggetto che presenti tale inclinazione affettiva, accedendo al discernimento vocazionale, venga indirizzato ad una formazione globale, anche affettivo-sessuale, che lo aiuti a vivere in maniera piena e libera la castità presbiteriale. Questo ha portato ad un’interpretazione superficiale del passaggio specifico del documento, interpretandolo come un’apertura della Chiesa alla possibilità di ammettere nei Seminari persone apertamente omosessuali, purché pratichino la castità. Ciò ha reso necessario, all’indomani della pubblicazione del documento da parte della CEI, di un intervento su Avvenire di Mons. Manetti, che ha fornito la precisa interpretazione del passaggio controverso. La novità delle nuove norme riguarda la questione del discernimento di chi si avvia al percorso formativo in Seminario. Ai formatori spetta il compito di aiutare il candidato, qualunque sia il proprio orientamento sessuale, ad averne una conoscenza globale ed armoniosa, ponendo al centro la persona stessa, in un’ottica di maggiore conoscenza di sé stesso in primis del candidato stesso, senza tuttavia derogare quanto espressamente indicato dal Magistero della Chiesa.

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