venerdì, Marzo 29, 2024
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Le politiche economiche tra costi ambientali e gli obiettivi dell’Agenda 2030

Al giorno d’oggi, si sente molto parlare di disastri ambientali, inquinamento, riciclaggio e di sostenibilità, ma ciò che non è mai trattato apertamente riguarda i costi sociali ed economici che il Governo o un Ente devono sostenere, soprattutto in tempi odierni in cui in tema di ambiente bisogna osservare e rispettare determinati limiti sanciti dalle Nazioni Unite e dai trattati e protocolli formulati, come ad esempio il Protocollo di Kyoto[1] del 16  febbraio del 2005 in cui si definiva il margine – in termini di sostenibilità – che ogni città deve rispettare sui termini di inquinamento e surriscaldamento globale, tutto questo attraverso meccanismi di mercato che hanno l’obiettivo di ridurre le emissioni al costo minimo.

Cosa si intende con il termine sostenibilità[2]?

Il termine è di derivazione agricola, dall’idea di raccolto sostenibile, con cui si definisce la gestione di una risorsa quando conosciamo la sua capacità di riproduzione, stando ad osservare i limiti e la soglia entro la quale sfruttarla. A livello governativo si è introdotto il concetto a partire dalla commissione Brundtland del 1987, in cui si definiva come «uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future» e sintetizzabile in tre punti:

  1. Diritto alle risorse per le generazioni future;
  2. L’ambiente in cui si vuole vivere;
  3. Principio intergenerazionale;

successivamente viene trattato nel maggio 1989, a Basilea, durante l’assemblea ecumenica europea in cui si approvò un documento che metteva in luce l’importanza dell’agire responsabile; e infine nel 1992 a Rio de Janeiro si introduce l’idea che per cambiare il modello economico mondiale bisogna osservare le nuove tecnologie e dei nuovi indicatori per ridurre le spese ambientali; in quanto anche l’ambiente può essere trattato come risorsa economica e utilizzando i principi di microeconomia si riescono ad analizzare il modo in cui utilizzare tali risorse e ad individuare le giuste politiche ambientali, un esempio tangibile – dell’utilizzo di questi principi e della presa in considerazione degli obiettivi sostenibili – è il progetto elaborato e adottato il 25 settembre 2015 dall’Assemblea delle Nazioni Unite, l’Agenda 2030.

Quali sono gli obiettivi e gli elementi di interesse dell’Agenda 2030?

Facciamo un passo indietro, l’agenda nasce per dare rilievo ai risultati degli Obiettivi di Sviluppi del Millennio (Millenium Development Goals) in cui rientravano tutte le questioni comuni, di ogni singolo Paese, più importanti in materia di sviluppo; in generale l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibili è un programma di azione divisibile in 17 obiettivi che hanno lo scopo di raggiungere 169 traguardi/target a nell’arco di un percorso strategico di 15 anni, appunto entro il 2030. L’assemblea ha proposto un insieme di oltre 230 indicatori che hanno lo scopo di monitorare il raggiungimento di ogni finalità da parte di ogni singolo Stato. Gli obiettivi[3] sono:

  1. No poverty;
  2. Zero hunger → sicurezza alimentare;
  3. Good health and well-being → benessere accessibile;
  4. Quality education → educazione di qualità accessibile a tutti;
  5. Gender equality → uguaglianze di genere;
  6. Clear water and sanitation → strutture igienico-sanitarie accessibili a tutti;
  7. Affordable and clean energy → energia sostenibili;
  8. Decent work and economic growth → crescita economica duratura;
  9. Industry innovation and infrastructure → infrastrutture e aziende innovative e sostenibili;
  10. Reduced inequalities → riduzione dell’ineguaglianza fra le Nazioni e al loro interno;
  11. Sustainable cities and communities → città sostenibili;
  12. Responsible consumption and production → consumo sostenibile;
  13. Climate action;
  14. Life below water → utilizzare in modo sostenibili le risorse marine;
  15. Life on land → favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre e fermare la perdita di biodiversità biologica;
  16. Peace, justice and strong institutions → promozione di società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile;
  17. Partnership for the goals → rafforzare i mezzi di attuazione degli obiettivi dell’agenda;

Figura 1. I 17 obiettivi dell’Agenda 2030[4]

La lista di indicatori utilizzati per il monitoraggio degli obiettivi è stata elaborata dall’Inter Agency Expert Group on SDGs (IAEG-SDGs) che li ha classificati in tre livelli:

  1. Racchiude tutti gli indicatori con metodologie e standard consolidati e prodotti in tutti i Paesi, precisamente sono 93, circa il 40%;
  2. Racchiude gli indicatori che nonostante abbiano metodologie e standard consolidati non sono prodotti in tutti i Paesi, precisamente 66, circa il 29%;
  3. Rientrano gli indicatori che non hanno metodologia e standard consolidati e condivisi, precisamente 68, circa il 29%.

A livello economico le risorse ambientali svolgono diverse funzioni:

  • Insieme delle risorse utilizzate in ambito produttivo;
  • Insieme dei prodotti di scarto assimilati;
  • Fornire un benessere diretto per i consumatori;
  • Definizione delle condizioni necessarie per la vita umana;

sono analizzate attraverso diverse tecniche, quali l’analisi costi e benefici, costo opportunità e la massimizzazione dei costi sociali, con quest’ultima ci riferiamo ai livelli socialmente efficienti nello sfruttamento e nella conservazione delle risorse; questi indicatori sono utili a determinare lo sfruttamento[5] delle risorse che tendono all’utilità del benessere netto sociale; tale massimizzazione è data dalla differenza del beneficio e del costo sociale .

Altri indicatori economici[6] sono: a. Accordi volontari b. Codici di autoregolamentazione c. Educazione e informazione (moral suasion) d. BAT (Miglior tecnologia disponibile) e. LCA (Analisi del ciclo di vita) f. Reporting, audit, benchmarking ambientale g. Contabilità ambientale e delle risorse h. Certificazione ambientale (ISO 14000) i. Eco-labelling l. Agenda 21 Locale m. Eco-budgeting.

Tornando all’Agenda 2030, come funziona in Italia? Ci sono delle differenze?

In Italia l’unica differenza è nella corrispondenza dell’utilizzo degli indicatori presi in esame dall’UN-IAEG-SDGs, in generale la maggior parte sono condivisi o parzialmente condivisi, sono solo le restanti 56 misure a ad essere state cambiate per un ulteriore migliore comprensione e monitoraggio del contesto nazionale, riuscendo anche ad osservare le disgregazioni territoriali. 

 

 

 

 

Figura 2. Indicatori statistici per monitorare gli SDGs: identici, simili o parziali, specifici di contesto[7]

L’Istat, inoltre, ha condotto un’analisi dell’andamento rispetto agli obiettivi in tre fasce di tempo: lungo termine (ultimi 10 anni), medio termine (quinquennio 2006-2011) e ultimo quinquennio 2011-2016. 

 

 

 

 

Figura 3. Andamento tendenziale complessivo dei Goals e disponibilità degli indicatori[8]

Concludiamo l’elaborato con la seguente domanda, sulla base degli elementi fin qui trattati: per un’azienda è più economico inquinare o osservare i canoni della sostenibilità ambientale?

 

[1] ”Prima di Parigi: il Protocollo di Kyoto” di Focus.it https://www.focus.it/scienza/energia/salvare-la-terra-si-puo-il-protocollo-di-kyoto

[2] G. Senatore, Storia della sostenibilità. Dai limiti della crescita alla genesi dello sviluppo, Franco Angela, 2016

[3] Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Rapporto SDGs 2018, pp. 20-21, https://www.istat.it/it/files//2018/07/SDGs.pdf

[4] Agenda 2030 di Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite  https://www.unric.org/it/agenda-2030

[5] Per sfruttamento delle risorse si intende il livello di emissioni inquinanti che vengono scaricate nell’ambiente

[6] ”Analisi economica dell’inquinamento” di Centro Regionale di Informazione delle Nazioni Unite

Disponibile qui: https://www.unirc.it/documentazione/materiale_didattico/598_2009_170_5486.pdf

[7] Istat – Istituto Nazionale di Statistica, Rapporto SDGs 2018, luglio 2018, pp. 9, https://www.istat.it/it/files//2018/07/SDGs.pdf

[8] Istat- Istituto Nazionale Statistica, Rapporto SDGs 2018, luglio 2018, pp. 13, https://www.istat.it/it/files//2018/07/SDGs.pdf

Fonte immagine: https://www.sergioferraris.it/clima-di-crisi/

Roberta Iacobucci

Laureata in Sociologia all'Università di Napoli "Federico II", tesi di laurea in Statistica per la ricerca sociale sulla comparazione degli indicatori economici e sociali che si usano per misurare il grado di povertà di un Paese. Laureata con lode in Comunicazione, Valutazione e Ricerca Sociale presso l'Università di Roma "La Sapienza", tesi di laurea in Sociobiologia e Teoria dei giochi, per l'analisi dell'agire strategico cooperativo in riferimento al suo grado di funzionamento all'interno della società. Area di interesse: Politica Economica

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