giovedì, Aprile 18, 2024
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Le servitù per atto amministrativo

Il legislatore detta una disciplina specifica sui diritti reali. Ne dà definizioni e applicazioni. Tra i più rilevanti vi è quanto stabilito per le servitù. Esse sono definite come “peso imposto sopra un fondo1 (c.d. Fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (c.d. Fondo dominante) appartenente a diverso proprietario”. Si tratta, come già anticipato, di un diritto reale di godimento e gode dei tradizionali caratteri dell’immediatezza e dell’assolutezza. A fondamento dell’istituto è stato individuato il principio di collaborazione fondiaria, in base al quale il proprietario di un fondo è privato di determinate facoltà a favore del proprietario di altro fondo allo scopo di consentirgli una migliore utilizzazione.
Le servitù possono essere sia pubbliche che private. Le prime rientrano tra i c.dd. “diritti di uso pubblico”, i quali vanno distinti dalle servitù prediali, perché non esiste un fondo dominante. Questi diritti, infatti, hanno natura di diritti reali di godimento su fondi privati, ma sono a favore di tutti i soggetti appartenenti ad una certa comunità, la quale è rappresentata dall’ente pubblico territoriale che ne è titolare. Queste servitù sono contemplate dall’art. 825 c.c.2, il quale prevede la possibilità di conseguire fini di pubblico interesse, anche a carico di fondi privati. Tale tipo di servitù può sorgere, oltre che per usucapione, anche per contratto, per testamento, o per il mero fatto della dicatio ad patrem3; può, inoltre, sorgere anche mediante comportamento omissivo, quando l’originario proprietario si astiene da qualsiasi iniziativa intesa a far cessare l’uso pubblico nel frattempo instauratosi.

Ciò detto, occorre individuare e specificare i modi costitutivi delle servitù. La dottrina tende a distinguerli principalmente in due generi:

  • i modi negoziali (contratto, testamento, riserva di servitù);
  • i modi non negoziali (usucapione, destinazione del padre di famiglia, sentenza e atto amministrativo).

È tipicamente previsto dal codice civile che le servitù possano essere costituite per atto amministrativo4. A tale scopo è necessario che la legge conferisca alla Pubblica Amministrazione uno specifico potere, non essendo sufficiente l’attribuzione di una competenza generale di carattere regolamentare. Ovviamente è prevista un’indennità (come per i normali procedimenti espropriativi), che deve essere stabilita in base alla legge sull’espropriazione per pubblica utilità5.

Un’ipotesi di servitù costituita per atto amministrativo è prevista nello stesso codice civile in materia di riordinamento della proprietà rurale6.

Tale tipo di servitù rientra tra le “servitù coattive”, ossia quel tipo di servitù cui la legge attribuisce al proprietario di un fondo, il diritto (potestativo) di ottenere al costituzione di una servitù sopra il fondo di altro proprietario senza che sia necessario il consenso di costui. Tra le varie, le più ricorrenti sono il “passaggio coattivo”, la “somministrazione coattiva d’acqua” e la “servitù d’acquedotto coattivo”. In particolare, la prima costituisce una grave limitazione del diritto che ha il proprietario di escludere ogni altra persona dal suo fondo. In tutte le ipotesi previste, devono escludersi dalla costituzione della servitù passiva le case, i cortili, i giardini ecc. Inoltre (come già detto supra), è sempre dovuta un’indennità proporzionale al danno subito dal fondo servente.

La Suprema Corte7 ha affermato che l’indennità correlata dall’art. 1053 c.c. al danno secundum ius arrecato al proprietario del fondo servente dell’esercizio del diritto imposto per legge nel caso di fondo intercluso, “deve essere determinata tenendo conto non esclusivamente del valore della superficie asservita, ma considerando ogni ulteriore pregiudizio ciò che sia in concreto derivato al fondo servente per effetto della destinazione al transito di persone o veicoli, mentre non è indennizzabile ciò che sia soltanto astrattamente ipotizzabile, tra l’altro per il deprezzamento del fondo”. È stato, quindi, precisato che l’indennità in questione non è il corrispettivo dell’utilità conseguita dal fondo dominante, ma il corrispettivo del danno patrimoniale che, nell’esercizio di quel diritto, si viene a cagionare al proprietario del fondo servente. Dunque, ai fini della determinazione dell’indennità non si può avere riguardo esclusivamente al valore della porzione di terreno assoggettata a servitù, ma si deve tenere conto di ogni ulteriore pregiudizio subito dal fondo servente. Tuttavia, essendo comunque un danno, esso può essere indennizzato solo quando in concreto esistente e non, invece quando sia solo in astratto ipotizzabile8.

Cfr. art. 1027 c.c.

Art. 825 c.c. “Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico [823], i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l’utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi

3 Essa consiste nel mettere volontariamente a disposizione della collettività la cosa propria, consentendo indistintamente al pubblico di goderne.

Cfr. art. 1032 c.c.

Ora, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 “Testo Unico delle disposizioni in materia di espropriazione per pubblica utilità”.

Cfr. artt. 846 ss. e in particolare art. 851 comma 2 e art. 854 comma 2.

Sent. Corte Cass. 28 gennaio 2004, n. 1545.

Cfr. sentt. Cass. Civ. 2874/96, 3378/95, 4999/94.

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