venerdì, Marzo 29, 2024
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Legame tra arte e crimine. Artista e serial killer: personalità a confronto

Introduzione.

Cosa accomuna arte ed omicidio, artista e serial killer? Qual è il comune denominatore tra una personalità creativa che fa dell’espressività il proprio lavoro ed un assassino seriale che, con la propria follia distruttiva, invece, pone fine a vite umane?[1] Trattasi di un binomio altamente ardito e forzato oppure si rivela essere un accostamento in fondo nemmeno troppo azzardato né tantomeno al limite dell’inverosimile?

Si cercherà di spiegare quali possano essere le similitudini tra un genio creativo, tra un’artista e un serial killer spietato [2], in grado di dar sfogo alla propria forza distruttiva.

Il ruolo della fantasia nell’artista e nel serial killer.

Ciascuno di noi mette in scena, nella propria mente, un ampio ventaglio di situazioni che restano molto spesso nell’immaginario, nel proprio mondo interiore. Si tratta di ideazioni che vanno dalle più innocenti, le quali possono concretizzarsi in un agito positivo con valore quasi terapeutico, alle più violente ed aberranti. E chi mette in pratica tali fantasie, le più aggressive, lo fa spesso nel modo più brutale che possa esistere. Lo fa uccidendo.

Oppure lo fa dipingendo.

Talvolta lo fa in entrambi i modi.

Quando si parla di serial killer, ad essere maggiormente attenzionato è il ruolo del trauma infantile, composto da vissuti abbandonici o abusi fisici, psicologici, verbali. Trattasi spesso di famiglie disgregate o nuclei monogenitoriali, problematici o altamente conflittuali. La fantasia entra a questo punto come protagonista nella vita del bambino, come mezzo per sfuggire dal mondo dei suoi carnefici. Tramite essa il bambino ha la situazione sotto controllo, proietta ogni violenza di cui è vittima su altri.

I serial killer che uccidono per piacere sessuale, invece, sono accomunati dal sognare ad occhi aperti, dal fantasticare su un’esperienza sadica con la vittima, mettendo in atto ciò che essi hanno “disegnato” nella propria mente. Ecco, dunque, che il comportamento dell’offender sulla scena del crimine prende forma e si evolve percorrendo tali immaginazioni.[3]

Nell’artista l’immaginazione è il fulcro. L’arte è creazione e trasformazione. L’artista, che la traduce in qualcosa di visibile, ha come obiettivo quello di suscitare una scossa nel suo interlocutore, portando in scena un’esperienza di qualcosa di ignoto, che vada oltre l’ovvia e superficiale percezione. La fantasia, nell’artista, può essere quella infantile, fatta di desideri insoddisfatti oppure può essere uno sfogo di tensione. Egli si serve di rappresentazioni altamente cromatiche per dar concretezza alle proprie tensioni, ai ricordi, a quelle commistioni simboliche, archetipiche, fantastiche.[4]

Se, quindi, risulta facile intuire il binomio tra artista e genio creativo, in quanto la parte creativa è un aspetto imprescindibile dalla sua attività ed emerge immediatamente nella sua opera, nel serial killer invece, in cui tale estro può non balzare immediatamente all’occhio. Pur tuttavia, anche in questo caso si tratta di un accostamento per llo stesso imprescindibile. Le azioni hanno, infatti, sempre una logica nella sua testa. Egli, che si considera un’artista del crimine, dà sfogo alle sue perverse fantasie che, inevitabilmente, danno luogo ad una sua creatività distorta, in grado di soddisfare il suo patologico bisogno di realizzare un’opera che resti immortale.

Entrambi, pertanto, utilizzano un pensiero per immagini, le quali prendono via via forma e così, da progetto, diventano atto nel momento in cui si realizzano su tela oppure sul corpo. Così come l’artista attenziona ogni dettaglio progettando elementi peculiari da trasferire all’interno della propria composizione, allo stesso modo il serial killer mutila il corpo, posiziona il cadavere in modo particolare oppure sceglie un preciso luogo del massacro, calcolando “ad arte” le proprie mosse.

Non è un caso che molti assassini, una volta in carcere, si dedichino alla pittura, al disegno, alla scrittura, alle arti in generale, che sono frutto delle loro fantasie. Ecco, quindi, che un particolare legame tra arte e omicidio esiste ed è questo il connubio da esplorare per cercare di comprendere cosa potenzialmente si celi all’interno della mente del serial killer.

Analogie tra artista e serial killer. Lato comportamentale.

Il primo a teorizzare un legame tra arte e crimine fu Thomas De Quincey nel suo saggio intitolato “On Murder Considered As One of the Fine Arts” del 1827 che, ironicamente, invita ad analizzare un delitto da un punto di vista estetico. [5]La gente comincia a vedere che nella composizione di un bell’omicidio c’è qualcosa di più di due idioti da uccidere ed essere uccisi – un coltello – una borsa – e un vicolo buio…”. Si tratta di un saggio provocatorio dai tratti noir e, al contempo, divertenti in cui l’autore fornisce una chiave di lettura dell’omicidio che invoca l’arte visiva.

Ebbene, il primo punto di contatto tra i due mondi, quello artistico e quello folle, è da ricercare nell’aspetto comportamentale. Entrambi i protagonisti di questi due mondi vivono una vita non sempre in linea con la quotidianità e compiono un percorso introspettivo che li porta a guardare nel proprio intimo, nell’IO più profondo e nascosto. Sondare la psiche, però, può accrescere il lato narcisistico della persona, può allontanare dalla realtà e condurre progressivamente all’isolamento.

Di notevole importanza, da un punto di vista investigativo, sono gli aspetti comportamentali che emergono sulla scena del crimine: Modus Operandi (MO), Signature (Firma), Staging e Undoing. Trattasi di elementi particolarmente rilevanti e riscontrabili soprattutto laddove il criminale sia di tipo seriale, per il semplice fatto che è con il reiterarsi dei delitti che l’assassino racconta inevitabilmente qualcosa di sé e lo fa in modo sempre più dettagliato. Così come ogni assassino sulla sua scena del crimine lascia qualche segno in più, qualche dettaglio più chiaro, spesso quasi a voler lanciare una sfida a chi indaga, perfezionando la sua tecnica nell’uccidere e la sua abilità nel non essere scoperto, l’artista, dal canto suo, ha consapevolezza dell’unicità della sua creazione ed apporre la firma è fondamentale. Può trattarsi di una firma non solamente autografa ma può tradursi nell’apporre un simbolo o una peculiarità all’interno della propria opera, che funga da caratteristica distintiva dell’artista.

L’unicità e l’immortalità contraddistinguono l’autore e la sua opera, l’assassino e il suo delitto. Entrambe le personalità difficilmente creano qualcosa di innovativo senza aver prima infranto le regole, senza attraversare un percorso di distruzione.

Analizzando il comportamento ciclico del serial killer, che si evolve in sette fasi distinte ed intrecciate, si possono rilevare punti condivisi tra killer ed artista.[6]

  • Fase aurorale: ritiro dalla realtà, distacco dal mondo circostante che permette di elaborare fantasie sempre più precise ed articolate, finché questa prende il predominio sulla realtà.
  • Fase di puntamentoeccitamento: ritorno alla vita reale per la “caccia della vittima” e per studiare il terreno, per dar sfogo quindi alle fantasie elaborate in precedenza.
  • Fase seduttiva: l’assassino approccia la vittima e l’artista inizia ad abbozzare la sua idea creativa.
  • Fase di catturapreparatoria: scelta dell’arma, dei riti simbolici necessari per rendere concreta l’immaginazione e la cattura della vittima paragonati alla scelta del materiale, dei colori e cattura dell’ispirazione, permettono ad entrambi di dar sfogo alla fantasia.
  • Fase omicidiariacreativa: modalità fortemente simboliche che rimandano a situazioni di grande impatto visivo, omicidio e creazione dell’opera.
  • Fase totemica: l’obiettivo è il protrarre il più a lungo possibile il piacere derivato dall’uccidere o dal creare l’opera. Il trofeo, corpo o opera, è osservato e successivamente ricordato per rievocare le sensazioni piacere vissute.
  • Fase depressiva: il ricordo inizia ad affievolirsi, il piacere viene meno e quell’onnipotenza assaporata nel disporre della creazione e della distruzione di qualcosa o di qualcuno lascia spazio al senso di inadeguatezza e difficoltà a colmare la propria solitudine. Il ciclo si è completato.

La soddisfazione derivante dalla contemplazione del proprio quadro o del “proprio” omicidio, prima o poi, però si esaurisce perché si smette di ammirare ciò che si è fatto. Ecco, dunque, scaturire la necessità di ricreare altri quadri simili, oppure la necessità di uccidere. Azioni che, in chiave criminologica, potremmo ricondurre alla coazione a ripetere, mutuando un principio psicoanalitico di matrice freudiana, secondo il quale il termine “coazione a ripetere” sta ad indicare quel “processo incoercibile e di origine inconscia, per cui il soggetto si pone attivamente in situazioni penose, ripetendo così vecchie esperienze senza ricordarsi del prototipo”. Ecco allora la tendenza a mettere in pratica quegli atti psichici per un bisogno interno che si avverte come irresistibile e che né il ragionamento né la volontà possono prevaricare.[7]

Artista e serial killer: le due facce della stessa persona.

Entrambi, artista e serial killer, utilizzano un pensiero formato da immagini le quali, passando dal livello progettuale a quello concreto, si perfezionano diventando atto nel momento in cui si trasferiscono su tela o su corpo. Ecco, dunque, che mutilazioni, asportazioni di parti del corpo, staging, luogo specifico dell’uccisione, particolari disposizioni del cadavere frutto di un preciso rituale sono agiti, ricercati e ricreati ad arte, proprio come il pittore presta attenzione ad ogni minimo dettaglio della propria composizione.

Ogni opera d’arte è un crimine non commesso” così si esprimeva il filosofo e sociologo tedesco Theodor Adorno, nel secolo scorso. Quindi, cosa accade quando la follia ispira la creatività? Può nascere un’opera d’arte. Sono diverse le modalità secondo le quali la figura dell’artista e quella del serial killer si intersecano in modo più distruttivo e numerosi sono gli artisti che, nonostante siano rimasti tali, cioè senza mai aver ucciso, hanno un vissuto interiore alimentato da fantasie direttamente riconducibili all’omicidio, a visioni allucinate equiparabili a quelle dei serial killer.

Vincent Van Gogh, pittore maledetto ottocentesco, era affetto da un disturbo schizoaffettivo, tormentato da disturbi dissociativi con deliri di onnipotenza. Morirà suicida. Si ritraeva spesso nei suoi quadri che, nel suo ultimo periodo, erano permeati da simboli presagio di morte.

Paul Gauguin, post-impressionista, era affetto da un disturbo borderline di personalità con episodi depressivi maggiori. Nella sua vita si è dato all’alcool e alle donne. Morirà di sifilide.

Edvard Munch, caratterizzato da angoscia e tormentato da attacchi di panico, il suo quadro più famoso, “L’urlo”, ne è la prova. Emblematica rappresentazione del suo stato psicologico (e dell’epoca storica caratterizzata da guerre mondiali), è presagio di morte e terrore. Sensazioni angoscianti che verranno riprese in altri suoi quadri.

Per André Breton, padre del surrealismo, nonché studioso e sostenitore delle teorie di Freud, l’inconscio diventa la sua ossessione.  L’artista dichiarerà: “Il gesto surrealista più semplice consiste nello scendere in strada con una pistola in mano e sparare a casaccio sulla gente”. Si convince che l’arte sia l’unico modo per portare alla luce la dimensione onirica che dovrebbe invece essere libera di esprimersi e realizzarsi.

Salvador Dalì, surrealista, poliedrico artista, caratterizzato da una personalità istrionica, divenuto iconicamente simbolo della resistenza, è stato tra i primi a porre l’accento sul tema della criminalità come rivendicazione di libertà, accostato all’estetica della trasposizione cinematografica. Ne Lo spettro del sex appeal e La persistenza della memoria (originariamente noto come Gli orologi molli), traspaiono rispettivamente idee di morte e senso del tempo che fugge. Entrambi trasmettono impotenza. Dalì soffriva di disturbo fobico-ossessivo con sadismo sessuale, rivelando lui stesso di essere un deviato sessuale.

I surrealisti volevano creare i presupposti per una società anarchica, ma libera ed autentica. Per loro l’origine di ogni male andrebbe ricercata nella repressione degli istinti, in quelle convenzioni sociali che soffocano la vera natura dell’essere umano. Gli artisti iniziano quindi a cercare ogni mezzo possibile per far emergere l’inconscio.

Analizzando il legame tra arte e crimine ed il connubio tra artista e serial killer, doverosa è l’attenzione nei confronti di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio. In lui le due figure concretamente si sovrappongono: pittore ed assassino. La Decollazione di san Giovanni Battista rappresenta in modo emblematico ed inequivocabile l’accostamento tra arte e scena del crimine. L’autore dipinge il quadro a Malta nel 1608, luogo in cui si trova a seguito della fuga da Roma a causa di accusa di omicidio. Ritrae un episodio dei Vangeli di Matteo e Marco in cui il re Erode fa uccidere Giovanni Battista per compiacere Salomè, che ne ha chiesto in dono la testa, servita su un piatto. Erode, sullo stesso piatto in cui normalmente veniva offerto prelibato cibo agli ospiti, servirà la sua follia assecondando la figlia nel modo più raccapricciante possibile.

Caravaggio, genio impulsivo e conflittuale dell’arte rinascimentale, asseconda parimenti la sua ossessione per le scene raccapriccianti rappresentando la decapitazione in modo sorprendente e non solo per le tecniche di chiaroscuro impiegate o per il suo caratteristico tenebrismo che riesce ad esaltare nei suoi dipinti. Caravaggio ritrae il momento più drammatico, carico di dinamismo e pathos: il momento stesso della decapitazione. La scena è ambientata nel chiaroscuro della notte all’interno di un carcere, alla presenza di un carceriere imperturbabile e di due detenuti che osservano da una grata. Solo un fioco raggio fa trapelare orrore e brutalità di un’esecuzione rappresentata in modo volutamente crudo e drammatico. Sangue che scorre dal collo del decapitato, un altro carceriere che gli afferra i capelli, una vecchia inorridita in netto contrasto con l’annoiato disinteresse della figura maschile accanto a lei e una ragazza con il piatto desiderosa di portare a termine il lavoro.

Sebbene l’intera rappresentazione infranga le regole della morale e della rispettabilità umana, l’elemento più scioccante e che rende unica l’opera è anche quello più nascosto: Caravaggio imprime la sua firma usando il sangue che zampilla dal collo di Giovanni Battista. È bene, tuttavia, specificare che in merito alla firma sussistono pareri contrastanti. C’è chi ritiene che l’opera sia firmata f. Michelang.o (laddove f indicherebbe la sua appartenenza alla confraternita dell’ordine dei Cavalieri di Malta) e chi, invece, sostiene che Caravaggio abbia firmato “Io, Caravaggio, ho fatto questo” in confessione di un crimine, probabilmente connesso alla morte nel 1606 di Ranuccio Tomassoni, per mano di Caravaggio stesso, che aveva fatto fuggire il pittore da Roma.[8]

Ecco che quella che dovrebbe essere una rappresentazione di religiosa sacralità appare piuttosto come un cruento omicidio, una sorta di regolamento di conti, un assassinio a cui probabilmente lo stesso artista ha assistito nella sua vita dissoluta.

Caravaggio rende protagonisti, ritraendoli all’interno di opere sacre, donne e uomini di strada, barboni, prostitute, mendicanti, categorie sociali più indigenti, come sorta di riscatto in chiave pittorica per coloro che hanno condotto una vita di stenti e la tela potrebbe ricostruire una reale scena del crimine di cui lo stesso artista è stato testimone oculare, se non addirittura artefice.

Conclusioni.

Studiare una scena del crimine, così come cercare di comprendere la personalità ed il vissuto che si celano dietro ad un autore di reato non possono prescindere dall’attenzionare i minimi dettagli. Non è possibile nemmeno prescindere dall’avere competenze trasversali, aggiunte ad esperienza ed abilità intuitive. Perché per scoprire cosa si nasconda dietro ad ogni incognita è fondamentale un occhio attento, vigile e una capacità di elaborazione, da parte di chi indaga, di captare il messaggio che l’assassino vuole trasmettere: attenzionando i dettagli, proprio come in un quadro.

 

Fonte immagine: https://unsplash.com

[1] Approfondimenti su folli, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/follia-non-e-malvagita-e-malvagita-non-e-follia-linsussistenza-del-raptus-omicida-39396.

[2] Approfondimento su serial killer, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/la-figura-del-serial-killer-tipologie-approcci-6216.

[3] Lucarelli C. e Picozzi M., Serial Killer, Arnoldo Mondadori Editore spa, Milano, 2003, p. 62.

[4] Turco M., febbraio 2017, disponibile qui:  https://www.mircoturco.it/tra-psicologia-e-arte/.

[5] De Quincey T., On Murder Considered As One of the Fine Arts, Penguin Classic, Regno Unito, 2001.

[6] Norris J., Serial killers, Senato, 1997.

[7] Freud S., Al di là del principio del piacere (1920), Trad. it., Boringhieri, Torino, 1992, vol. 9, p. 208.

[8] Peachment C., Caravaggio, St. Martin’s Press, 2003 p. 168.

Elisa Teggi

Laureata all'Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza nel 2006 con tesi intitolata "Il licenziamento del dirigente", ha in seguito indirizzato la propria carriera lavorativa in diversi ambiti che le hanno fornito esperienza, soprattutto grazie al contatto costante con persone e ragazzi, mantenendo un forte interesse per l'ambito criminologico. Questo l'ha portata a voler conseguire ulteriore laurea in Criminologia con tesi dal titolo "Staging ed occultamento di cadaveri", nel 2021, per poter indirizzare completamente il proprio lavoro in questa direzione. Attualmente lavora nel territorio piacentino in ambito criminologico - sociale, di prevenzione delle condotte devianti, in contatto con il servizio sociale, occupandosi specificatamente dei minori. Esperta di Scienze Forensi, si mantiene in costante aggiornamento e continua formazione su aspetti forensi e criminologici, prestando attenzione, in chiave critica, ai processi mediatici, cercando di interpretare le motivazioni sottese al fenomeno. La frase che funge da sfondo ad ogni suo lavoro è: "Non si tratta di fascinazione del male, si tratta di dare centralità alla persona, alla vittima e alle cause devianti, studiando il criminale prima del crimine, il folle prima che la follia, con l'obiettivo di rieducare e reintrodurre in società. Dalla parte della giustizia sempre e per sempre".

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