giovedì, Marzo 28, 2024
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L’equità come criterio di liquidazione dei danni non patrimoniali

Valeat aequitas quae paribus in causis paria iuria desiderat.”[1]

L’equità è il principio in base al quale cose di natura uguali richiedono parità di diritto.

A livello civilistico, il nostro ordinamento fa riferimento a tale principio in molti ambiti: l’art. 1374 c.c. inserisce l’equità tra le fonti di integrazione del contratto; gli artt. 1450 e 1467 c.c. individuano nella riduzione ad equità delle condizioni contrattuali lo strumento diretto ad evitare, rispettivamente, la rescissione e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta; l’art. 113 c.p.c. consente al giudice di decidere secondo equità quando la legge lo preveda e, ancora, l’art. 114 c.p.c consente alle parti, in relazione a diritti disponibili, di formulare istanza di decisione secondo equità.

Una norma che prevede il ricorso al principio in parola è quella dell’art. 1226 c.c. che statuisce che, nei casi di impossibilità di provare il danno nel suo preciso ammontare, lo stesso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa.

– Il danno non patrimoniale

Il settore di maggiore applicazione è ovviamente quello relativo alla liquidazione del danno non patrimoniale. Senza alcuna velleità di essere in questa sede esaustivi, si osserva che tale categoria di danno, prima individuata solo in base al dettato dell’art. 2059 c.c., è stata successivamente delineata dalla Corte di Cassazione come “ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente la persona[2]. È stato in particolare affermato che “il danno non patrimoniale, alla stregua di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., costituisce una categoria ampia, comprensiva non solo del cosiddetto danno morale, ovverosia della sofferenza contingente e del turbamento dell’animo transuente, determinati da un fatto illecito integrante un reato, ma anche ad ogni ipotesi in cui si verifichi un’ingiusta lesione di un valore inerente alla persona, costituzionalmente garantito, alla quale consegua un pregiudizio non suscettibile di valutazione economica”.[3]

In presenza di tali danni sussiste una difficoltà oggettiva ad individuare un criterio certo e preciso di valutazione del valore da indennizzare.

Il giudice in questi casi, sulla scorta del combinato disposto degli artt. 1226 e 2056, primo comma, c.c.[4] procede ad una liquidazione secondo equità.

Ma in cosa consiste questo strumento?

Occorre osservare che più volte la giurisprudenza di legittimità è intervenuta per la riforma di decisioni, in cui i giudici di merito avevano applicato un criterio equitativo cosiddetto puro, che lasciava intravedere la non condivisibile adozione di parametri arbitrari e non giustificati.

Dalla definizione ciceroniana di apertura, si deduce che l’equità è lo strumento con cui si garantisce la coerenza dell’ordinamento, dovendo il giudice rispondere all’esame di casi simili con soluzioni simili.

Lungi pertanto dal poter formulare l’equazione “equità = arbitrio”, tale principio risponde a tutt’altre esigenze, prima fra tutte la parità di trattamento in ossequio al dettato dell’art. 3 Cost..

È stato statuito che “l’equità si è in giurisprudenza intesa nel significato di “adeguatezza” e di “proporzione”, […], con eliminazione delle “disparità di trattamento” e delle “ingiustizie”. I criteri da adottarsi al riguardo debbono consentire pertanto una valutazione che sia equa, e cioè proporzionata, in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico, al fine di ristorare il pregiudizio effettivamente subito dal danneggiato, in ossequio al principio per il quale il danneggiante e il debitore sono tenuti al ristoro solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento ad essi causalmente ascrivibili”. [5]

-Le tabelle come strumento di attuazione dell’equità nella liquidazione del danno alla salute

Nell’ambito del diritto alla salute è stata fortemente sentita la necessità di individuare dei parametri di riferimento che permettessero ai giudici di merito l’applicazione del principio di equità.

Ciò in considerazione del fatto che non poteva consentirsi una liquidazione diversa di lesioni fisiche uguali, solo in virtù di una diversa collocazione territoriale dell’ufficio giudiziario adito.

Se relativamente ai danni provocati dai sinistri stradali, il legislatore con l’art. 139 del codice delle assicurazioni (D.Lgs. 209/2005) ha introdotto un sistema di liquidazione delle lesioni cd “micropermanenti”, i danni dall’1 al 9%, d’altro canto ha, per le lesioni superiori, lasciato un vuoto, rimettendo ad un futuro intervento la determinazione dei parametri di calcolo.

Tale sistema ha indotto altresì a ritenere applicabili i criteri del sopracitato art. 139 anche ai danni non causati dalla circolazione dei veicoli, con una dubbia applicazione analogica, salvo i casi di espressa volontà legislativa, come avvenuto per la liquidazione dei danni biologici causati dall’esercizio della professione medica.[6]

Con sentenza n. 12408 del 07.06.2011, la terza sezione della Cassazione Civile è intervenuta al fine di dirimere le predette questioni, fissando un ben preciso principio di diritto.

Partendo dalla considerazione proprio del principio di equità, gli Ermellini hanno individuato nelle Tabelle elaborate ed adottate dal Tribunale di Milano lo strumento da utilizzare per la liquidazione delle macropermanenti causate da incidenti stradali e per tutti i danni alla salute derivanti da altri eventi, considerando il predetto “il valore equo, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad aumentarne o ridurne l’entità”.

Dal 2011 la predetta impostazione è stata ripetutamente confermata dalla Suprema Corte, ritenendo altresì che “la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, si è ravvisato integrare violazione di norma di diritto censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”[7], ed ancora che “nella liquidazione del danno non patrimoniale non è consentito, in mancanza di criteri stabiliti dalla legge, il ricorso ad una liquidazione equitativa pura, non fondata su criteri obiettivi, i soli idonei a valorizzare le singole variabili del caso concreto e a consentire la verifica ex post del ragionamento seguito dal giudice in ordine all’apprezzamento della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e turbamento del suo stato d’animo, dovendosi ritenere preferibile, per garantire l’adeguata valutazione del caso concreto e l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, l’adozione del criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, al quale la Suprema Corte riconosce la valenza, in linea generale e nel rispetto dell’art. 3 Cost., di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli art. 1226 e 2056 c.c., salva l’emersione di concrete circostanze che ne giustifichino l’abbandono.”[8]

Tale corrente giurisprudenziale è stata di recente altresì recepita dal legislatore con la legge sulla concorrenza, l. n. 124/2017. Il comma 17 dell’art. 1 della predetta legge, modificando l’art. 138 del codice delle assicurazioni, ha introdotto la tabella unica nazionale per la liquidazione delle lesioni alla integrità psico-fisica di grave entità (superiori al 9%) da predisporsi entro 120 giorni dalla promulgazione della legge.

Si rileva che la norma in parola indica quali criteri da seguire nella redazione della suddetta tabella nazionale, i “criteri di valutazione del danno non patrimoniale ritenuti congrui dalla consolidata giurisprudenza di legittimità” riferendosi, pertanto, seppur implicitamente, proprio alle Tabelle Milanesi.

 

 

[1] Cicerone – Topica, c. 4, 23.

[2] Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 8827/2003 e sentenza 8828/2003

[3] Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 18641/2011

[4] Art. 2056 c.c. – Valutazione dei danni.- Il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227.

Il lucro cessante è valutato dal giudice con equo apprezzamento delle circostanze del caso

[5] Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 10263/2015

[6] Dapprima con il decreto Balduzzi, DL 158/2012 convertito con l. 189/2012, e dopo con la Legge Gelli Bianco, art. 7 L.24/2017

[7] Cfr. nota 5

[8] Cassazione Civile, Sez. III, sentenza 12470/2017

Avv. Paola Minopoli

Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell'ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense. Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani. Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali. Email: paola.minopoli@iusinitinere.it

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