L’espulsione dello straniero come misura alternativa della detenzione
L’art. 235 c.p. così come modificato dall’intervento normativo del 2008, è rubricato “Espulsione o allontanamento dello straniero dallo stato”.
Il primo comma della norma in esame prevede che il giudice ordinario possa prevedere l’allontanamento o l’espulsione del cittadino straniero quando egli venga condannato alla reclusione per un tempo superiore a due anni e nei casi tassativamente previsti dall’art. 312 c.p.
Prima dell’intervento del legislatore del 2008, con la legge n. 125 del 24 luglio c.d. Pacchetto Sicurezza, la durata della reclusione per poter espellere o allontanare lo straniero dal territorio dallo Stato non poteva essere inferiore ad anni 10; questo s’intende era limitativo per la giurisdizione italiana la quale con una soglia di tempo così elevata aveva dei margini di discrezionalità operativa assai ridotti.
Con la norma in esame il legislatore ha voluto regolamentare una misura di sicurezza obbligatoria ad efficacia immediata, la quale non si dimentichi sarà sempre e comunque subordinata al vaglio della pericolosità sociale dell’individuo, quale è presupposto necessario ed indefettibile per l’applicazione delle misure di sicurezza in generale.
La ratio dell’istituto risiede in quella che è la difesa sociale e la tutela dell’ordine pubblico che lo Stato cerca di garantire ai propri cittadini, emarginando ed allontanando dal territorio coloro i quali possano turbare tale ordine o provare a sovvertirlo.
È noto che vi siano diversi tipi di allontanamento dello straniero: quello amministrativo ministeriale e quello amministrativo prefettizio; la fattispecie prevista dall’art. 235 c.p., quella di cui si discorre appunto, è diversa da entrambi gli allontanamenti menzionati.
L’allontanamento amministrativo ministeriale viene disposto dal Ministro dell’Interno il quale agisce in forza di motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato ex art. 13 co 1 D.lgs 286/1998 o per motivi attinenti alla prevenzione del terrorismo ex art. 3 co 1 della l. 155/2005, entrambe decisioni caratterizzate da estrema discrezionalità ,insindacabile o quasi, in sede giurisdizionale.
Per quel che concerne invece l’espulsione prefettizia sarà il Prefetto a decidere sull’allontanamento valutando caso per caso la sussistenza dei presupposti legali ex art. 13 co 2 lett. a; b; c.
Tornando all’art. 235 c.p. al comma secondo, è stata prevista dal legislatore la sanzione per i casi in cui vi sia trasgressione dell’imposizione da parte dell’espulso; egli, secondo quanto previsto dal dato normativo, sarò passibile di reclusione da 1 a 4 anni e di arresto obbligatorio prescindendo dalla fragranza di reato, subordinatamente sarà sottoposto al giudizio direttissimo ex art. 449 c.p.p.
Secondo la Cassazione, che recentemente si è espressa sul punto, l’espulsione dal territorio dello Stato di uno straniero o l’allontanamento di un cittadino appartenente ad uno Stato membro dell’Unione europea, di cui all’ art. 235, comma 1, c.p. , costituisce una misura di sicurezza personale facoltativa la cui mancata applicazione non richiede una specifica motivazione quando la pericolosità sociale del condannato non risulti da concreti e rilevanti elementi relativi al condannato che siano esplicitati in motivazione[1]”; questo va a confermare quanto detto circa la necessità del requisito di pericolosità sociale dello straniero che non è sempre di facile dimostrazione. L’articolo 203 del c.p. afferma infatti testualmente che “agli effetti della legge penale, è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile [..]quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati. La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’articolo 133”.
La base su cui si fonda la valutazione del giudice deve essere orientata dagli indici indicati nell’articolo 133 del c.p., che distingue criteri utili a verificare la gravità del reato e criteri per individuare la capacità a delinquere del reo[2]la quale sposta l’attenzione e l’analisi su quella che è la condotta di vita di quest’ultimo, facendo diventare tale valutazione del tutto soggettiva.
Si deve anche ricordare che recentemente la riforma del codice di procedura penale ha posto attenzione proprio sulla questione della dichiarazione di pericolosità sociale stabilendo all’art. 220, c.p.p. che “non sono ammesse perizie per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche” sottolineando quindi che il giudice ai fini valutativi, dovrà attenersi esclusivamente a criteri oggettivi e non a perizie esterne alla sua persona e competenza, il che sottolinea una scarsa attendibilità delle perizie psicologiche e psichiatriche.
Il problema, però, che ha richiamato l’attenzione degli Ermellini risiede nei casi in cui non è possibile prevedere un allontanamento dello straniero. Diverse sono state le pronunce in merito, infatti proprio di recente dai togati è stato statuito che “in tema di espulsione dello straniero, quale misura alternativa alla detenzione, la convivenza “more uxorio” con un cittadino italiano, laddove accertata come sussistente al momento in cui deve porsi in esecuzione il provvedimento, è ostativa all’espulsione, trattandosi, ai fini in questione, di una condizione del tutto omogenea rispetto a quella del coniuge, specificamente menzionata dall’ art. 19, comma 2, lett. c), d.lg. 25 luglio 1998, n. 286, tenuto conto, altresì, della parificazione del convivente di fatto al coniuge, ai fini delle facoltà previste dall’ ordinamento penitenziario, effettuata dall’ art. 1, comma 38 l. 20 maggio 2016, n. 76“[3].
Di contro però nel 2018 i giudici di legittimità avevano sostenuto che “l’espulsione prevista dagli artt. 235 cod. pen. e 15, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 , può essere disposta, ricorrendone le condizioni, anche nei confronti dello straniero munito di permesso di soggiorno e convivente con prossimi congiunti di nazionalità italiana, fatto salvo il divieto di cui all’ art. 19 del medesimo decreto, riguardante lo straniero convivente con parenti di secondo grado o con il coniuge di nazionalità italiana, applicabile a tutte le espulsioni giudiziali”[4]; questo alla luce del fatto che, in base ad una lettura costituzionalmente orientata, anche nel caso in cui i familiari conviventi non siano cittadini italiani, nel giudizio di pericolosità sociale si deve tener conto dell’efficacia risocializzante del nucleo familiare, sicché l’espulsione può essere disposta solo quando il grado di pericolosità sia talmente elevato da non poter essere contrastato dall’esistenza del legame familiare.
In una pronuncia poco precedente alla summenzionata, gli Ermellini trovandosi dinnanzi al caso di un condannato affetto da HIV, avevano avuto modo di confermare che “il provvedimento di espulsione pronunciato nei confronti di persona irregolarmente soggiornante nello Stato non può essere eseguito qualora dall’esecuzione derivi un irreparabile pregiudizio per la salute dell’individuo; ne consegue che, anche in caso di seria patologia cronica del condannato, il giudice è tenuto a verificare in concreto, esercitando i poteri istruttori di cui dispone, se e con quali effetti l’espulsione possa privare il predetto di cure irrinunciabili, pur diverse da quelle di pronto soccorso e di medicina di urgenza”[5]; questo in virtù del fatto che tra i diritti fondamentali dell’uomo nell’ordinamento giuridico italiano è previsto il diritto alla salute ex art. 32 Cost.
In conformità a tale dictum una recente pronuncia della Corte di Giustizia Europea ha statuito che “gli Stati membri non possono procedere all’espulsione di uno straniero, condannato per un reato di particolare gravità o pericoloso per la sicurezza dello Stato, se esistono seri e comprovati motivi di ritenere che nel Paese di destinazione costui corra il rischio di tortura o di trattamenti disumani o degradanti”[6].
Il problema immigrazione ormai è un dato di fatto ed è dilagante nel nostro Paese; il dato normativo dell’art. 235 c.p. cerca a suo modo di contenere il numero di “ospiti” stranieri dello Stato Italiano prevedendo la loro espulsione verso gli stati di provenienza affinché sia per loro possibile scontare la pena, piuttosto che condannarli alla misura detentiva nelle carceri italiane ove vi è sovraffollamento, erga omnes conosciuto. Questo procedimento, come si è avuto modo di osservare, però è ostacolato o comunque reso particolarmente complesso, nonostante l’ampliamento concessogli dal legislatore del 2008, dalle numerose pronunce degli Ermellini che mirano a salvaguardare in primis quella che è la condizione di salute ed in secondo luogo la condizione familiare del reo.
Fonte immagine: Pixabay
[1]Cassazione Penale, Sez. I, 21/03/2019, n. 18901
[2]L’art. 133 c.p., co 2 prevede quali indici di capacità a delinquere del reto: i motivi a delinquere e il carattere del reo; i precedenti penali e giudiziari ed in genere la condotta e la vita del reo antecedenti al reato; la condotta contemporanea e susseguente al reato; le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
[3]Cassazione Penale, Sez. I, 15/03/2019, n. 16385
[4]Cassazione Penale, Sez. V, 29/11/2018, n. 1953
[5]Cassazione Penale, sez. I, 15/03/2019, n. 16383
[6]Corte giustizia UE, grande sezione, 14/05/2019, n. 391
Valeria D’Alessio è nata a Sorrento nel 1993.
Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt’oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento.
Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un’agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta.
È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell’arte.
Con il tempo ha imparato discretamente l’inglese e si dedica tutt’oggi allo studio del francese e dello spagnolo.
Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l’interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell’anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell’escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell’ergastolo ostativo.
Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense – come praticante avvocato abilitato – presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all’esercizio della professione Forense nell’Ottobre del 2020.
Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell’evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.