L’estradizione, art. 13 c.p.: caso Battisti e “El Chapo”
Per poter comprendere a fondo l’istituto dell’estradizione, bisogna partire da lontano e precisamente dal Titolo I “Della legge penale” che all’art. 3 c.p. statuisce: “La legge penale italiana obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salve le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. La legge penale italiana obbliga altresì tutti coloro che, cittadini o stranieri si trovano all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale” sancendo così quello che è il principio di territorialità. Tale principio ripreso dall’articolo successivo definisce territorio dello Stato “il territorio della Repubblica e ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello stato, le navi e gli aeromobili italiani ovunque si trovino” , il quale però risulta passibile di ampie deroghe :
- art. 7 c.p. Reati commessi all’estero – questa deroga si ispira ai principi di difesa e di universalità.
- art. 8 c.p. Delitto politico commesso all’estero – deroga ispirata al principio di difesa
- art. 9 c.p. Delitto comune del cittadino all’estero – per questa deroga la ratio è incerta: per alcuni autori risponderebbe al principio di personalità secondo il quale si applica la legge dello stato cui appartiene il reo; altri invocano il principio di difesa, altri ancora quello di universalità per l’ipotesi in cui sia offeso uno Stato o un cittadino straniero
- art. 10 c.p. Delitto comune commesso dallo straniero all’estero – deroga che rinvia alle stesse questioni dell’art. 9 di cui sopra.
Il legislatore quindi, come regola, ha previsto la disciplina secondo il principio di territorialità il quale obbliga tutti coloro che (cittadini o stranieri) si trovano nel territorio dello stato e per i reati ivi commessi a rispondere secondo la legge del luogo dove il reato è stato commesso ma qualora dovessero presentarsi le fattispecie di cui sopra, si derogherà a tale principio in favore delle leggi dello stato italiano e secondo le leggi italiane anche per i reati commessi all’estero. Problematico è comprendere il legame tra l’art. 8 comma 2 e le disposizioni degli art. 10 e 26 Cost. che escludono l’ammissibilità dell’estradizione dello straniero (art. 10) e del cittadino (art. 26) per “reati politici”. L’estradizione è codificata dall’art. 13 c.p. che recita “L’estradizione è regolata dalla legge penale italiana, dalle convenzioni e dagli usi internazionali. L’estradizione non è ammessa, se il fatto che forma oggetto della domanda di estradizione, non è preveduto come reato dalla legge italiana e dalla legge straniera. L’estradizione può essere concessa od offerta, anche per reati non preveduti nelle convenzioni internazionali, purché queste non ne facciano espresso divieto. Non è ammessa l’estradizione del cittadino, salvo che sia espressamente consentita nelle convenzioni internazionali”. L’istituto mira all’esigenza di garantire una collaborazione tra gli Stati nella lotta contro la criminalità; questa è parte del diritto internazionale e si esplica nella consegna di un individuo, da parte di uno Stato, ad un altro Stato, purché sia da questo giudicato (estradizione processuale) e sottoposto all’esecuzione della pena, se già condannato (estradizione esecutiva). Non bisogna dimenticare che questa può essere catalogata anche come passiva o attiva a seconda che possa essere concessa o richiesta dallo Stato in cui si trova l’individuo da estradare. Per quella passiva,però, requisito essenziale è che il reato commesso costituisca reato sia per la legge penale dello Stato richiedente, sia per quello Italiano non essendo però rilevante il tipo di pena previsto.
Fin qui è stata esaminata l’l’estradizione codicistica ma a tale disciplina si è andata sovrapponendo quella costituzionale prevista dall’art. 26 che sancisce il divieto di estradizione per i reati politici. Il problema sorge nella definizione di reato politico. Tale definizione se inizialmente sembrava essere , con il tempo dottrina e giurisprudenza l’hanno differentemente etichettata. Entrambe hanno trovato come punto di partenza una una comune premessa quella che il divieto di estradizione non coprirebbe quei delitti politici particolarmente disumani o manifestamente contrari ai principi Costituzionali o a quel nucleo di valori comune a tutti gli Stati della comunità internazionale. La Cassazione non tardò ad esprimersi con sent. 128/1982, nella quale negò l’ammissibilità dell’estradizione quando “si abbia fondato motivo di ritenere che il giudizio nello Stato richiedente possa essere influenzato da fattori ideologici o politici” statuendo quindi un limite funzionale che si esplica nella tutela della personalità dell’estradando da un processo discriminatorio o da persecuzioni politiche. Anche il codice di procedura penale all’art. 698 c.p.p. ribadisce il divieto di estradizione per i reati politici, inserendo un ulteriore divieto in relazione ai casi in cui “sussista ragione di ritenere che l’imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque atti che configurano violazione di un diritto fondamentale della persona”. La Cassazione inoltre con sent. 223/96 ha dichiarato l’illegittimità del comma 2 dell’art. 698 in quanto le “sufficienti assicurazioni” date all’autorità giudiziaria e al Ministro di Grazia e Giustizia della non esecuzione della pena di cui il comma parlava, non erano paragonabili alla garanzia assoluta richiesta dall’art. 27 comma 4 Cost.
Il primo caso da esaminare è quello Cesare Battisti, membro sin da giovanissimo dei Proletari Armati per il Comunismo. La giustizia italiana avendolo riconosciuto colpevole in via definitiva di quattro omicidi, compiuti in concorso con altri terroristi dei PAC, lo ha condannato in contumacia all’ergastolo. Nel 1981 Battisti, evase dal carcere di Frosinone e trascorse la prima fase della sua latitanza in Francia, beneficiando della dottrina Mitterand, che concedeva diritto d’asilo a condannati per atti di natura violenta ma d’ispirazione politica diretti contro stati che non fossero la Francia. Battisti, il quale si professa da sempre innocente, venne nuovamente arrestato in Brasile nel 2007 e rimase nel carcere di Brasilia fino al 2011. Nel 2009 gli era stato accordato lo status di rifugiato politico e nel 2010,il presidente brasiliano Lula, da Battisti stesso sollecitato, rifiutò la sua estradizione in Italia e ne decretò la scarcerazione. Secondo i giudici brasiliani Battisti “non agì per motivi politici” nè le sue azioni sono riconducibili ad “una legittima reazione ad un regime oppressivo”. L’affaire Battisti non è però ancora chiuso: l’ex terrorista non ha più il permesso di soggiorno e nei suoi confronti è stata chiesta l’applicazione di un procedimento di espulsione; espulsione, che però è ben diversa dall’estradizione: Battisti, infatti, non verrà consegnato al suo Paese d’origine, ma potrà essere espulso verso un altro Paese disposto ad accoglierlo; nel frattempo però nel 2015 è convolato a Nozze proprio a San Paolo in Brasile.
Il secondo caso, meno vicino a noi, ma di sicuro di enorme clamore è l’estradizione di El Chapo. Joaquin ‘Chapo’ Guzman è da sempre il capo indiscusso del cartello della droga di Sinaloa. La sua estradizione dal Messico verso gli Stati Uniti è stata chiesta e ottenuta dopo numerosi appelli da parte degli avvocati del reo giusto dopo l’elezione a presidente di Trump, proprio alla vigilia del giuramento del neo eletto. Tra Le accuse che pendono su Guzman ci sono cospirazione, corruzione, omicidio, importazione di droga, distribuzione di armi da fuoco e riciclaggio di denaro; reati pesantissimi che prevedono come pena minima l’ergastolo ma che escludono la pena di morte; una garanzia concessa da Washington al governo messicano.
Valeria D’Alessio è nata a Sorrento nel 1993.
Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt’oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento.
Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un’agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta.
È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell’arte.
Con il tempo ha imparato discretamente l’inglese e si dedica tutt’oggi allo studio del francese e dello spagnolo.
Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l’interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell’anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell’escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell’ergastolo ostativo.
Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense – come praticante avvocato abilitato – presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all’esercizio della professione Forense nell’Ottobre del 2020.
Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell’evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.