venerdì, Marzo 29, 2024
Di Robusta Costituzione

L’Europa nell’ordinamento costituzionale italiano

L’Europa nell’ordinamento costituzionale italiano: sulla via di una Federazione?

 

  • L’interpretazione dell’art. 11 Cost.

 

Il rapporto tra l’Europa e l’ordinamento italiano affonda le sue radici nella nostra Carta costituzionale e nei dibattiti dell’Assemblea Costituente. Basti pensare all’iniziale diffusione, tra i padri della nostra legge fondamentale, del pensiero di Altiero Spinelli, il quale teorizzò la creazione di una federazione europea, sulla scia del crollo – rovinoso – degli stati nazionali dopo la seconda guerra mondiale[1].

Non solo lui si fece promotore di queste idee. Fu Giuseppe Dossetti a presentare, nella prima sottocommissione, una bozza dei primi articoli della futura Costituzione, in cui si affermava: “lo Stato consente, a condizioni di reciprocità, le limitazioni di sovranità necessarie all’organizzazione e alla difesa della pace[2]. Tale definizione riscontrò il plauso di molti altri membri della Costituente[3] e suscitò, altresì, l’interesse del democristiano Tupini, che si mostrò favorevole all’idea degli Stati Uniti d’Europa[4].

Non è un caso che fu, poi, Emilio Lussu a proporre di esplicitare il riferimento all’Europa sostituendo l’espressione “organizzazione internazionale” con quella di “organizzazione europea ed internazionale[5]. Gli stessi toni entusiastici furono utilizzati dal democristiano Bastianetto, che tentò di far introdurre in Costituzione anche il richiamo all’unità dell’Europa. Convinto federalista, disse: “non sappiamo quello che sarà l’avvenire dell’Europa (…) a me basta che (…) sopra lo Stato e prima dell’organizzazione mondiale internazionale, vi sia l’Europa, la nostra grande Patria, perché prima di tutto noi siamo cittadini europei[6].

È, infine, Meuccio Ruini, Presidente della Commissione dei Settantacinque, a ricordare all’Assemblea che “l’aspirazione all’unità europea è un principio italianissimo[7].

Nonostante, però, tutte queste sollecitazioni, l’attuale versione dell’art. 11 della Costituzione repubblicana dispone che “L’Italia (…) consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni” e “(…) promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Non si rinviene, dunque, alcun riferimento esplicito al ruolo svolto dall’Europa o all’importanza della stessa, che non è nemmeno espressamente citata.

Le limitazioni di sovranità cui si riferisce il testo normativo approvato dall’Assemblea sono state, in un primo momento, intese “in senso del tutto generico, nella previsione che dalla adesione ad organizzazioni internazionali mondiali od europee sarebbero potuti derivare oneri o vincoli all’azione internazionale dello Stato più ampi e penetranti di quanto normalmente comportano i trattati[8].

È, però, intervenuta, al mutare delle relazioni di diritto internazionale che hanno coinvolto l’Italia, una vera e propria “dilatazione interpretativa[9] di questa norma. Quest’ultima ha, dunque, assunto una nuova valenza, seguendo la partecipazione dell’Italia alle Comunità europee.

In particolare, sono gli artt. 14 e 15 del trattato istitutivo della C.E.C.A.[10], l’art. 161 del trattato EURATOM[11] e l’art. 189 del trattato CEE[12] a prevedere l’introduzione di “decisioni normative di organismi comunitari (…) direttamente efficaci negli Stati membri[13]. È, poi, l’art. 164 del Trattato CEE[14] ad attribuire alla Corte di Giustizia della Comunità “il compito di assicurare «il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente trattato»[15]. Si tratta, in definitiva, di una “duplice limitazione di sovranità[16]. Da una parte, infatti, si ammettono, nel sistema giuridico italiano, “fonti di produzione normativa appartenenti ad un ordinamento esterno[17] che acquistano “direttamente (…) efficacia giuridica «almeno» equivalente alla legge ordinaria[18]. Dall’altra, si “assegnano ad un organo giudiziario esterno attribuzioni di carattere contenzioso che possono incidere non solo sui rapporti di diritto internazionale di cui sia titolare lo Stato italiano, ma anche sui rapporti giuridici dei privati[19].

 

  • Il processo di integrazione europea: da un’unione dei mercati…

 

L’interpretazione dell’art. 11 della nostra Costituzione è, dunque, legata, inscindibilmente, al processo di integrazione europea.

La nascita del metodo comunitario si fa risalire al 9 maggio 1950, data oggi conosciuta come la “giornata dell’Europa”. Tale ricorrenza è legata alla nota Dichiarazione dell’allora Ministro degli esteri francese Schuman, il quale profetizzò che l’Europa “non potrà farsi una sola volta, né sarà costruita tutta insieme”, ma “sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto[20].

Si è, dunque, partiti da un accordo avente mera natura commerciale, sorto allo scopo di creare un mercato comune del carbone e dell’acciaio e di rimuovere quella che era stata la causa dei conflitti del passato[21]. Si è dato origine, dunque, alla C.E.C.A. (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) grazie al Trattato di Parigi del 1951. Essa può essere definita come un ente sovranazionale, dal momento che godeva di un’ampia autonomia nei confronti degli Stati membri e assegnava, altresì, la possibilità alle istituzioni dell’organizzazione di vincolare con i propri atti non solo i singoli Paesi, ma anche soggetti degli ordinamenti interni[22].

È, poi, in occasione della Conferenza di Messina, nel 1955, che si decise di rilanciare tale processo, costituendo un apposito comitato di studio presieduto da Henri Spaak. Tale organo venne deputato ad elaborare un progetto per allargare ed ampliare l’esperienza della C.E.C.A. Si formulò, quindi, una duplice proposta: la prima aveva ad oggetto l’idea di un mercato comune generale; la seconda, la necessità di prevedere un regime speciale per alcuni settori, come quello dell’energia atomica[23].

È, quindi, il 25 marzo del 1957 che, a Roma, si arrivò alla firma del Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (TCE) e del Trattato che istituisce la Comunità Europea dell’Energia Atomica (CEEA), detta anche Euratom[24].

Un’importante innovazione è costituita, in questo momento storico, dal TCE, il quale è definito come “trattato quadro”, limitandosi esso ad enunciare semplicemente dei principi e degli obiettivi, che dovranno, poi, essere attuati tramite l’emanazione di atti normativi[25].

Non si deve, però, dimenticare l’esistenza – in tale congerie temporale – di un vero e proprio deficit democratico. In questa prima fase, infatti, non vi erano organi che rappresentassero – compiutamente – le istanze dei cittadini. Il potere era affidato al Consiglio[26], organo avente il compito di adottare gli atti di natura normativa[27].

È solo con la scadenza del Trattato C.E.C.A., nel 2002, che gli Stati membri hanno deciso di non rinnovarlo, facendo, così, rientrare il settore carbo-siderurgico nel campo di applicazione del mercato comune del TCE[28].

 

  • …ad un’unione di cittadini

 

L’esperienza comunitaria arriva, negli anni successivi, ad un punto di svolta. Dopo, infatti, l’approvazione del Trattato di Maastricht il 7 febbraio del 1992[29] e del Trattato di Amsterdam il 2 ottobre 1997[30], un passo fondamentale è stato segnato dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che ha determinato la fine della Comunità Europea e la nascita dell’Unione europea.

Tale innovazione è prevista dall’art. 1, 3° co., terza frase, TUE che sancisce che “l’Unione sostituisce e succede alla Comunità europea[31]. Di conseguenza, il TCE cambia titolo e diviene noto come Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ai sensi dell’art. 2, 1° co., del Trattato di Lisbona[32]. La CEEA, al contrario, sopravvive come ente autonomo[33].

In definitiva, è proprio il Trattato di Lisbona a cambiare la natura dell’Europa. Firmato nel dicembre del 2007, tale documento entra in vigore solo nel 2009. Ciò a causa dell’opposizione di alcuni Stati membri che non ne hanno, in un primo momento, accettato la ratifica[34].

Proprio in questa prospettiva risulta opportuno segnalare quanto affermato dalla sentenza della Corte costituzionale federale tedesca del 30 giugno 2009, la Lissabon Urteil. In questa sede il giudice delle leggi ha sostenuto che l’Unione europea non avesse ancora assunto “una struttura conforme al  livello di legittimazione di una democrazia costituita in forma statale”, mancando di “un organo di decisione politica formato attraverso elezioni eguali per tutti i cittadini dell’Unione e capace di rappresentare in modo unitario la volontà popolare”. Si è ritenuto, però, che la ratifica del Trattato di Lisbona sia conforme alla Costituzione federale perché l’Unione non è uno Stato e, quindi, “la composizione del Parlamento europeo non deve rendere giustizia all’eguaglianza in modo tale da rinunciare a ogni differenziazione nel peso del voto dei cittadini in funzione del numero della popolazione degli Stati membri[35].

Tale pronuncia è, dunque, significativa, poiché mette in luce come – nell’attuale Unione europea – sia percepito come persistente il tanto declamato deficit democratico[36].

La nozione di democrazia è, infatti, strettamente connessa a quella di popolo e di cittadinanza[37]. Da qui è sorta inizialmente la critica sull’insussistenza di un organo – all’interno dell’Unione – che rappresentasse le istanze dei singoli e che ne fosse piena espressione, poiché legittimato direttamente dagli elettori degli Stati membri[38].

Oggi si tende, piuttosto, a rinvenire tale deficit nella mancanza di un’identità comune[39], reale ostacolo al raggiungimento di una maggiore integrazione e cooperazione tra Paesi[40].

Nonostante l’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[41] – strumento fondamentale per la tutela dei cittadini degli Stati membri[42] –, non si può dire che l’Europa si sia dotata di una vera e propria Costituzione, avente il valore che la legge fondamentale italiana assume per il nostro Paese.

Da qui, nasce l’idea, in seguito al Consiglio europeo tenutosi a Laeken nel 2001, di dare vita ad una Convenzione con il compito “di esaminare le questioni essenziali che il futuro dell’Unione” per “ricercare le diverse soluzioni possibili[43].

È nel 2003, dunque, che sorge un progetto di Trattato che istituisca una Costituzione per l’Europa, il cui testo è stato, poi, firmato a Roma nel 2004. Esso, però, non è mai entrato in vigore, a causa dell’esito negativo dei referendum popolari – aventi ad oggetto l’approvazione di questa proposta di Carta – in Francia e nei Paesi Bassi[44].

Tale conclusione non deve stupire. Come si è avuto modo di accennare, parlare di legge fondamentale – specialmente a livello federale – presuppone che vi sia un popolo unico e sovrano che condivida le medesime aspirazioni e gli stessi ideali[45]. Il legame, dunque, tra i concetti di volontà popolare, sovranità e Costituzione è indissolubile[46], ma non può esprimersi se, in primo luogo, non esiste una coscienza comune[47].

Per queste ragioni non si può negare che, adottando un approccio di realismo giuridico[48], l’Unione risulta – oggi più che mai – divisa da interessi particolari, lontana dal progetto di federazione di Spinelli[49].

 

  • Un’antica e nuova possibilità: il Federalismo

 

È necessario, dunque, ripensare l’Unione europea. Essa appare – stante il suo attuale assetto organizzativo – fortemente frammentata, in difficoltà nel gestire situazioni di grave crisi, come la pandemia Covid-19[50].

Per ottenere, dunque, una maggiore integrazione, una possibile soluzione potrebbe essere rappresentata da un mutamento di prospettiva. Da una parte, ci si dovrà allontanare da coloro che ritengono l’Europa “come mera associazione di Stati sovrani, frutto di un consenso e di un’autolimitazione del tutto reversibili[51]. Dall’altra, si dovrà, altresì, abbandonare l’opinione di chi definisca l’Unione come “entità autonoma rispetto agli Stati membri (…) in base a visioni ‘monistiche’, nelle quali all’astratto riconoscimento della pluralità corrisponde (…) una sua negazione in concreto in forza di una (…) tendenza accentratrice”[52].

Si potrebbe, dunque, prospettare la visione di un “arcipelago costituzionale[53], che possa ospitare al suo interno una “pluralità di forme costituzionali”[54].

In questo senso proprio l’idea di una federazione potrebbe rispecchiare compiutamente l’obiettivo che la nuova Europa si dovrebbe porre – ed imporre.

Pensare alla creazione di una federazione – basata sul modello statunitense[55] – costituisce una proposta antica e nuova al tempo stesso: da una parte, infatti, si richiamerebbe il pensiero di Altiero Spinelli, espressa nel celebre “Manifesto di Ventotene”; dall’altra, si arriverebbe a delineare un nuovo modo di intendere l’Unione, non più semplice “sommatoria” di popoli diversi, ma espressione di un’identità unica[56]. Necessario risulterà, dunque, superare le autarchie economiche e creare una forza di difesa pan-europea[57].

Non a caso, alla base della nozione di “federalismo” sussiste proprio l’idea che “La federazione è un’associazione permanente (…) [che] fonda uno status nuovo di ogni membro” e che “l’appartenenza [alla stessa] uno Stato viene inserito in un sistema politico complessivo[58]. Esso, dunque, consiste in un “modo radicalmente diverso di pensare la politica, alla cui base sta la consapevolezza delle aporie di una democrazia pensata nell’orizzonte della sovranità e dell’autorizzazione[59].

Ed è questo, dunque, il cammino che si potrà percorrere per realizzare pienamente il motto dell’Unione europea: “Unita nella diversità”.

[1] A. Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio la goccia e la roccia, 1987.

[2] L. Gianniti, I costituenti e l’Europa, in Federalismi, agosto 2018, 5.

[3] Lo stesso Togliatti sostenne la necessità di “creare un’organizzazione internazionale nella quale si comincino a vedere affiorare forme di sovranità differenti da quelle vigenti”: così, L. Gianniti, I costituenti e l’Europa, cit., 5.

[4] Ivi, 6.

[5] Lussu voleva dare un’impronta marcatamente federalista alla neonata Europa. Riteneva, in particolare, che il sentimento federalista fosse molto radicato in Italia. Per questo, credeva fosse necessario esplicitare il riferimento all’Europa, come era stato fatto nel preambolo della Costituzione francese promulgata nel 1946. Tale proposta si scontrò, però, con l’opinione, autorevole, di Aldo Moro, che sostenne che nell’espressione di “organizzazioni internazionali” fosse ricompresa anche l’ipotesi prospettata da Lussu. Così testimonia L. Gianniti, I costituenti e l’Europa, cit., 6.

[6] Ivi, 8.

[7] L. Gianniti, I costituenti e l’Europa, cit., 8.

[8] S. Cassese, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, 1975, 579.

[9] V. Crisafulli, L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, 1990, 71.

[10] Per una definizione più completa si rinvia a quanto segue.

[11] Ibidem.

[12] Si rinvia alle spiegazioni successive.

[13] V. Crisafulli, L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, cit., 71.

[14] Per una definizione più completa si rinvia a quanto segue.

[15] V. Crisafulli, Fonti del diritto, in Enciclopedia del diritto, vol. XIII, 1964, 941.

[16] V. Crisafulli, L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, cit., 71.

[17] Ivi.

[18] V. Crisafulli, L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione, cit., 71.

[19] Ivi.

[20] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea. Sistema istituzionale – ordinamento – tutela giurisdizionale – competenze, 2014, 7. Per le citazioni si rinvia al contenuto della famosa Dichiarazione Schuman.

[21] Ivi, 6.

[22] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 10. In particolare, si cercò di vincolare le imprese del settore carbo-siderurgico.

[23] Ivi, 11.

[24] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 11.

[25] Ivi.

[26] Composto da un rappresentante del governo di ogni singolo Stato membro.

[27] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 12.

[28] Ivi, 13.

[29] Noto, altresì, come Trattato sull’Unione europea, TUE.

[30] Questi ultimi hanno apportato importanti cambiamenti nelle procedure legislative e decisorie in Europa.

[31] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 13.

[32] Ivi.

[33] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 13.

[34] Tra questi, basti segnalare l’iniziale opposizione dell’Irlanda, della Repubblica ceca e della Germania. Così, L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 37 ss.

[35] Ivi, 19.

[36] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 19. Si sostiene, inoltre, che “tornerebbe utile, tra i modelli organizzativi in grado di soddisfare le esigenze di una rinnovata e più ampia legittimazione democratica del processo di decisione politica a livello sovranazionale, il riferimento all’esperienza statualistica. Ciò (…) riproporrebbe la questione dell’(in)esistenza di un popolo europeo”: così, V. Baldini, Il rispetto dell’identità costituzionale quale contrappeso al processo di integrazione europea. (La “sentenza-Lisbona” del Bundesverfassungsgericht ed i limiti ad uno sviluppo secundum Constitutionem dell’ordinamento sovranazionale), in Rivista AIC, luglio 2010, 11. “L’Europa (…) oggi sembra scivolare verso un deficit di legittimità più acuto rispetto alle carenze democratiche ampiamente stigmatizzate in precedenza e (…) stenta a mettere radici costituzionali e anzi ne sfronda i rami più fecondi (le garanzie, per quanto non fortissime, iscritte nella Carta dei diritti”: così, P. Marsocci, Comunicazione e trasparenza nell’Unione europea ancora in cerca d’identità, in A. Ciancio (a cura di), Nuove strategie per lo sviluppo democratico e l’integrazione politica in Europa, 2014, 133-134, laddove si riprende il pensiero espresso da S. Rodotà, I diritti per l’Europa politica, in G. Allegri, G. Bronzini (a cura di), Il tempo delle Costituzioni, 2014, 173 ss.

[37] Sull’importanza di tale correlazione si veda G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale: contributo alla discussione, in Nomos, 2020, 5 ss.

[38] Ci si riferisce alla nozione contenuta in L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 14 ss.

[39] Come sostiene Schmitt, una federazione è pensabile “solo sul presupposto di una qualche «omogeneità» tra i suoi membri”: così spiega G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale, cit., 12.

[40] V. Baldini, Il rispetto dell’identità costituzionale quale contrappeso al processo di integrazione europea, cit., 15, laddove si sostiene che, solo con la volontà degli Stati, si potrebbe realizzare un “‘salto in avanti’” per creare “un nuovo soggetto europeo”. Sul punto si richiama, altresì, il pensiero di Habermas, che criticava “la pretesa (…) di passare «dai trattati alla costituzione», dotando i primi delle caratteristiche che ancora li distinguevano da una costituzione «in senso concettualmente pregnante»”. Si arrivava, così, alla constatazione che “l’ordinamento dell’Unione europea non poteva essere letto alla luce dei concetti di ‘popolo-rappresentanza-sovranità’, inscindibilmente connessi alla forma-costituzione nel pensiero giuridico moderno”. Così, G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale, cit., 11, che riprende, a sua volta, D. Grimm, Una Costituzione per l’Europa?, in G. Zagrebelsky, P.P. Portinaro, J. Luther (a cura di), Il futuro della costituzione, 1996, 339-367.

[41] C.d. Carta di Nizza, proclamata nel dicembre del 2000.

[42] Sull’importanza della Carta di Nizza si rimanda a S. Rodotà, I diritti per l’Europa politica, cit.

[43] L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, cit., 31.

[44] Ivi, 32-33.

[45]Il concetto di sovranità porta necessariamente con sé l’esigenza di unità (…), la necessità di individuare un punto archimedico, ciò che rispetto all’ordinamento di un’Europa federale implica di dover individuare un punto siffatto o nelle costituzioni dei singoli Stati o nella costituzione federale”: in questo senso si esprime sul punto G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale, cit., 5.

[46]L’unificazione della moltitudine in un unico popolo, che possa esprimere una sola volontà, è frutto di un procedimento in base al quale ciò che conta non è l’espressione della moltitudine, ma l’identificazione della moltitudine nel popolo sovrano”: vi è, quindi, “un meccanismo di identificazione – che nelle democrazie moderne si individua nel momento delle elezioni”. Ivi, 9.

[47] Si deve, dunque, arrivare al “superamento dell’idea di ‘autosufficienza’ e ‘chiusura’ di qualsivoglia ordinamento giuridico”: così, G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale, cit., 5.

[48] Sulla necessità di guardare alla realtà e all’esperienza, si veda P. Grossi, L’invenzione del diritto, 2017, 33: “Valori, interessi, bisogni effettivamente circolanti in quella realtà storicamente concreta che è un popolo vivente in un certo tempo e spazio hanno la loro traduzione in un testo che non è più un catalogo statico di situazione soggettive astratte, bensì una norma giuridica suprema disciplinatrice della umana convivenza”. In questo senso si delinea l’importanza del ruolo assunto dalla Costituzione.

[49] Sul punto si è espresso A. Cantaro, Lo “Stato” europeo. La governance dell’Unione come potere economico-governamentale, in Rivista AIC, maggio 2016, 4. Si badi, inoltre, a quanto autorevolmente sostenuto da S. Mangiameli, Il sistema europeo: dal diritto internazionale al diritto costituzionale e ritorno?, in Diritto e società, 2016: “A seguito della crisi economica e, ora, della crisi umanitaria le istituzioni europee non sono state in grado di realizzare una politica anticiclica, per la mancanza di capacità fiscale, ma anche gli Stati membri non hanno potuto realizzarla a causa dei vincoli europei che gravavano sui bilanci nazionali. (…) l’Unione resta non in grado di agire, per impotenza militare e fiscale, di fronte ad un fenomeno che sta mandando in frantumi la libera circolazione delle persone”.

[50] Sulla difficoltà dell’Unione di fronteggiare unitariamente le più importanti crisi del nostro tempo si è già detto in precedenza, ma ciò è risultato ancora più evidente in relazione alla situazione emergenziale scatenata dal Coronavirus. Così testimonia già G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale, cit., 15. “Gli sforzi interpretativi di dottrina e giurisprudenza sono testimonianza qualificata della volontà, quasi dell’urgenza, di interpretare il sistema normativo UE in senso maggiormente solidaristico, facendone discendere in specie oggi, in ragione della crisi pandemica, precisi obblighi di condivisione degli oneri a vantaggio degli Stati in difficoltà. Pur essendo tali sforzi lodevoli e il risultato auspicabile, mi pare però che il dato testuale delle norme ricordate renda quanto meno difficile enucleare specifici doveri di comportamento solidale in capo Istituzioni e/o Stati a vantaggio di altri Stati o individui in difficoltà oltre quanto espressamente previsto nei Trattati e negli atti derivati”: così, G. Morgese, Solidarietà di fatto…e di diritto? L’Unione europea allo specchio della crisi pandemica, in Centro di Eccellenza Jean Monnet (a cura di), L’emergenza sanitaria Covid-19 e il diritto dell’Unione europea. La crisi, la cura, le prospettive, 2020, 87-88, che rinvia a A. Grimmel, S.M. Giang, Solidarity in the European Union. A Fundamental Value in Crisis, 2017, 162 e V. Capuano, Covid-19 e libera circolazione dei servizi sanitari: un esempio di solidarietà europea?, in I Post di AISDUE, II, 2020, 25.

[51] Ivi, 14.

[52] G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale, cit., 14.

[53] Ci si riferisce alle riflessioni sul tema svolte da M. Cacciari, L’Arcipelago, 1997. Qui si argomenta che la difficoltà dell’Arcipelago sta proprio nell’armonizzare le differenze delle singole isole, salvando l’individualità del proprio carattere, ma tutte tese ad un’unica finalità, quella di trovare una “Patria”. Non è un caso che Albert Camus,. Nel 1955, scrivesse che “La civiltà europea è in primo luogo una civiltà pluralista”: così testimonia A. Andronico, L’uno e il molteplice, in A. Ciancio (a cura di), Nuove strategie per lo sviluppo democratico e l’integrazione politica in Europa, cit., 64.

[54] G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale: contributo alla discussione, cit., 14.

[55] Sull’importanza degli Stati Uniti d’America come modello di federazione per l’Europa si veda D. Fisichella, Il modello USA per l’unità d’Europa?, 2016, 202, laddove si rinvia alla “consapevolezza che questi ultimi [gli Stati Uniti], in veste di Unione, sono in realtà uno Stato nazionale”.

[56] Sulla necessità della creazione di una “cittadinanza europea” si veda P. Marsocci, Comunicazione e trasparenza nell’Unione europea ancora in cerca d’identità, cit., 137. In particolare, sull’importanza di “individuare un essenziale fattore di integrazione di natura culturale, determinante per il consolidamento di quel senso di identità collettiva, che, senza smarrire il proprium delle singole identità nazionali, costituisce (…) la premessa per la formazione di un ‘popolo europeo’” si rinvia a A. Ciancio, Nuove strategie per lo sviluppo democratico e l’integrazione politica in Europa. Relazione introduttiva, in A. Ciancio (a cura di), Nuove strategie per lo sviluppo democratico e l’integrazione politica in Europa, cit., 19.

[57] Questi erano, non a caso, gli obiettivi e gli strumenti delineati da Spinelli nella sua opera: così testimonia D. Fisichella, Il modello USA per l’unità d’Europa?, cit., 200.

[58] G. Comazzetto, Pensare l’Europa federale: contributo alla discussione, cit., 11.

[59] Così, M. Bozzon, G. Comazzetto, Crisi della rappresentanza, federalismo ed Europa. Intervista a Giuseppe Duso, Pandora Rivista, 11 febbraio 2021.

Giulia Sulpizi

Nata a Monselice (PD) il 24.12.1996, Giulia Sulpizi si è diplomata con lode al Liceo Classico Tiziano di Belluno e si è laureata, con Lode e menzione per speciale distinzione negli studi, in Giurisprudenza presso l'Università di Padova nel luglio 2020. Già autrice di un romanzo storico, edito da Diabasis nel 2014, e di articoli in tema di geo-politica per EuroVicenza ed Eurobull, attualmente svolge la pratica forense presso lo Studio legale Bertolissi di Padova, in cui si occupa, specialmente, di diritto amministrativo e civile. Cultrice della materia per ELP-Global English for Legal Studies presso l'Università di Padova (Scuola di Giurisprudenza) da settembre 2020, è, altresì, autrice di pubblicazioni scientifiche in tema di diritto costituzionale.

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