venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

L’evoluzione del reato di pornografia minorile

Nota a sentenza Corte di Cassazione Penale, Sezioni Unite, 15 novembre 2018 (ud. 31 maggio 2018), n. 51815, Presidente Carcano, Relatore Andronio

A cura di: Sara Scotti, Giovanna Simeone e Alessandro Spina. Il lavoro è interamente frutto della riflessione comune degli autori; la stesura dei paragrafi 1 e 2 è opera di Alessandro Spina, quella dei paragrafi 3 e 4 di Sara Scotti, quelli da 5 a 7 di Giovanna Simeone.

Sommario: 1. Considerazioni introduttive – 2. Il fatto – 3. Ricostruzione della fattispecie normativa – 4. Le innovazioni apportate dalla sentenza n. 51815/18 – 5. Le conseguenze della pronuncia- 6. Il principio di diritto – 7. Conclusioni.

1.Considerazioni introduttive

In tempi recenti, le fattispecie di reato coinvolgenti i minori sono state oggetto di interesse del legislatore, dottrina e giurisprudenza, in particolar modo dopo l’avvento di internet e di tutte le piattaforme informatiche che hanno cambiato il modo di vivere dei soggetti. Secondo un orientamento dottrinale[1] infatti, lo sviluppo del mondo digitale ha influito non solo sui modi di comunicare e lavorare dei cittadini ma ha anche «contribuito a mutare sostanzialmente i vecchi archetipi organizzativi delle strutture criminali». Questi mutamenti si ravvisano anche nell’ambito di quella categoria di reati che tutelano i minori e la loro libertà sessuale. Tra tutti emerge il fenomeno della commercializzazione del materiale pedopornografico che, se originariamente costituiva il risultato della degenerazione di una personale deviazione sessuale, oggi assume dei contorni molto più ampi.

A tal proposito, la Corte di Cassazione si è pronunciata su una delle fattispecie penali di maggiore rilevanza sociale prevista nel nostro ordinamento: la pornografia minorile.

2. Il fatto

La questione è sorta a seguito della condanna del Ministro di culto M. alla pena di anni 9, mesi 8 di reclusione per il reato di pornografia minorile, da parte del tribunale di Sciacca con sentenza del 12 giugno 2015. L’imputato aveva indotto, promettendo la stipula di contratti televisivi, alcuni minori a posare nudi per delle fotografie e video riprese ritrovate, a seguito di accertamenti investigativi, all’interno dei suoi dispositivi informatici.

La Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale di primo grado.

Avverso la sentenza di secondo grado la difesa proponeva ricorso sostenendo che la condotta dell’imputato dovesse essere sussunta nell’ambito dell’art. 600 quater, piuttosto che all’interno dell’art. 600 ter, in ragione dell’assenza del requisito del pericolo concreto di divulgazione del materiale pornografico.

Le Sezioni Unite si sono pronunciate, a seguito della rimessione da parte della Terza sezione della Corte di Cassazione con l’ordinanza 30 novembre 2017, sulla qualificazione giuridica del reato di pornografia minorile con la sentenza n. 51815 del 2018.

La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente: «se, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter, primo comma, n. 1), cod. pen., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, sia necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale».

3. Ricostruzione della fattispecie normativa

In via preliminare la Corte procede ad una ricostruzione storico-sistematica dell’evoluzione normativa, nazionale e internazionale, e dell’interpretazione giurisprudenziale del reato in questione.

Con la legge n. 269 del 1998, ispirata ai principi sanciti dalla «Convenzione sui di diritti del fanciullo»[2], il legislatore ha introdotto  nel nostro ordinamento la fattispecie di pornografia minorile[3] di cui all’art. 600 ter, che così recitava: «chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire cinquanta milioni a lire cinquecento milioni».

In merito a questa fattispecie erano sorte delle problematiche interpretative rispetto alla locuzione «sfruttamento del minore». L’orientamento dottrinale maggioritario riconduceva al termine «sfruttare» un significato lucrativo, con la conseguenza che le condotte finalizzate all’appagamento di fini intimi dell’autore non potessero rientrare all’interno di questa fattispecie. Invece, l’orientamento minoritario prediligeva una diversa interpretazione secondo la quale il termine «sfruttare» prescindeva da ogni condotta finalizzata a scopi lucrativi.

Sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite Bove, con la sentenza n. 13 del 2000, secondo cui: «il legislatore ha adottato il termine «sfruttare» nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata».

Un ulteriore questione su cui si soffermavano le Sezioni Unite riguardava la struttura del reato di cui all’art. 600 ter, il quale veniva qualificato come fattispecie di pericolo concreto. Ne deriva che, affinché la condotta possa rientrare in questa fattispecie, occorre la sussistenza del pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto, il cui accertamento è demandato, di volta in volta, al giudice. Invece, ci troveremmo nella fattispecie di cui al 600 quater[4] qualora le immagini fossero conservate privatamente dall’autore.

Relativamente alla questione assume rilevante importanza la Decisione quadro 2004/68/GAI[5] che enunciava una serie di comportamenti considerati illeciti in quanto reati legati allo sfruttamento sessuale dei bambini. Le disposizioni di tale decisione sono state recepite dalla legge 6 febbraio 2006 n. 38, la quale è intervenuta sull’art. 600 ter apportando le seguenti modifiche: viene sostituito il termine «sfruttare» con il termine «utilizzare» e viene eliminato ogni riferimento alle finalità. Da ciò deriva che per la consumazione del delitto deve farsi riferimento al dolo generico e non più al dolo specifico.

L’art. 600 ter è stato successivamente oggetto di ulteriori modifiche[6], tra le quali la più rilevante è stata apportata dalla legge 1 gennaio 2012 n. 172[7]. Questa legge ha interamente riscritto tale articolo e inserito la definizione di pornografia minorile: «per pornografia minorile si intende ogni rappresentazione, con qualunque mezzo, di un minore degli anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali».

Attualmente l’art. 600 ter, primo comma, recita: «è punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico;
Recluta o induce minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni o spettacoli pornografici ovvero dai suddetti spettacoli trae altrimenti profitto».

Nonostante la riformulazione dell’articolo, la Corte di Cassazione ha continuato a configurare la fattispecie come reato di pericolo concreto, in conformità con l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite del 2000.

4. Le innovazioni apportate dalla sentenza n. 51815/18

A seguito del progresso della normativa sovranazionale finalizzata ad ampliare la tutela dei minori, e dell’influenza delle moderne tecnologie si è avuto il superamento dell’orientamento sancito dalla sentenza n. 13 del 2000.

Il nuovo art. 600 ter configura il reato di pornografia minorile in termini di danno e non più di pericolo, consentendo una rivalutazione dei rapporti tra tale reato e quello previsto dall’art. 600 quater «detenzione di materiale pornografico».

Secondo la giurisprudenza di legittimità, quest’ultima disposizione «richiede la mera consapevolezza della detenzione del materiale pedopornografico, senza che sia necessario il pericolo della sua diffusione ed infatti tale fattispecie ha carattere sussidiario rispetto alla più grave ipotesi delittuosa della produzione di tale materiale a scopo di sfruttamento»[8]. Dunque, entrambe le fattispecie tutelano i minori di diciotto anni, ma l’art. 600 ter incrimina la produzione di materiale pornografico, mentre l’art. 600 quater incrimina la detenzione di detto materiale.

5. Le conseguenze della pronuncia

In ultima analisi, la Suprema Corte ha valutato le conseguenze dovute all’evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Un primo aspetto affrontato verte sul fenomeno della cd. «pornografia domestica», che consiste nella produzione di materiale pornografico ad uso privato previo consenso del minore che abbia raggiunto l’età del consenso sessuale.

Tengono conto di questo aspetto alcune fonti sovranazionali, in particolare la Decisione Quadro del Consiglio n. 2004/68/GAI, la quale dispone che uno stato membro può prevedere che esulino dalla responsabilità penale le condotte connesse con la pornografia infantile quando riguardino la produzione e il possesso di immagini di bambini che abbiano dato il loro consenso e che siano detenute a scopo unicamente privato. Ma il consenso è invalido quando è stato ottenuto dall’autore avvalendosi della sua superiorità.

A tale problema la giurisprudenza aveva fornito una soluzione solo parziale, ritenendo che, vista l’assenza del pericolo della diffusione del materiale, la pornografia domestica dovesse rientrare nella fattispecie residuale prevista dall’art. 600 quater.

In virtù delle recenti innovazioni, per accertare la rilevanza penale della condotta dell’autore si deve aver riguardo alla «strumentalizzazione» del minore, ovvero è necessario che ricorra un rapporto di supremazia tra il soggetto che realizza le immagini e il minore rappresentato.

Un secondo aspetto di cui si occupano le Sezioni Unite riguarda la questione dell’overruling interpretativo in malam partem, censurato dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti umani per violazione dell’art. 7 CEDU[9]. La Corte, nel caso in questione, ha rilevato che «il problema dell’overruling in malam partem non viene in rilievo, essendo ormai generalizzato il pericolo di diffusione del materiale realizzato utilizzando minorenni; con la conseguenza che l’esclusione di tale pericolo quale presupposto per la sussistenza del reato non determina in concreto un ampliamento dell’ambito di applicazione della fattispecie penale, essendo completamente mutato il quadro sociale e tecnologico di riferimento».

Nonostante il pericolo di diffusione non sia più richiesto, l’applicazione dell’art. 600 ter risulta circoscritta ad una interpretazione restrittiva del concetto di «utilizzazione», tanto da escludere la rilevanza della «pornografia domestica».

6. Il principio di diritto

Si deve dunque affermare il seguente principio di diritto: «Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600 ter, primo comma, n. 1), cod. pen., con riferimento alla condotta di produzione di materiale pedopornografico, non è più necessario, viste le nuove formulazioni della disposizione introdotte a partire dalla legge 6 febbraio 2006, n. 38, l’accertamento del pericolo di diffusione del suddetto materiale».

7. Conclusioni

Sulla base delle deduzioni sopra svolte, vengono in rilievo molteplici tematiche su cui porre l’attenzione.

Considerato che il bene giuridico è rappresentato dalla tutela della libertà, della dignità e dello sviluppo psico-fisico del minore[10] era auspicabile una riqualificazione giuridica della fattispecie, da reato di pericolo a reato di danno. Ne deriva una maggiore tutela del minore in considerazione del fatto che, non essendo più necessario l’accertamento del pericolo di diffusione di volta in volta da parte del giudice, con l’attuale interpretazione si punisce la mera produzione del materiale pornografico. L’anticipazione della tutela è giustificata anche dallo sviluppo tecnologico che mette a disposizione di qualsiasi soggetto strumenti idonei a favorire la divulgazione di tali immagini e video.

Nonostante ciò permangono alcune ipotesi non riconducibili nell’ambito dell’art. 600 ter, tra cui vi rientrano i fenomeni di sexting[11] e la cd. pornografia domestica.

In merito alla prima ipotesi, dal momento che l’immagine è autoprodotta, sembra opportuno ritenere che manchi il requisito dell’ «utilizzazione» richiesto dalla norma e pertanto risulta giustificabile la sua irrilevanza penale. Tuttavia, la liceità della condotta viene meno quando il minore sia indotto o costretto da altri ad autoprodurre il materiale.

In relazione alla seconda ipotesi, l’esclusione appare condivisibile quando vengano in rilievo i requisiti indicati dalla Corte, quali: consenso del minore e assenza del rapporto di supremazia tra quest’ultimo e l’autore.

Sarebbe, però, opportuno un intervento del legislatore volto a regolamentare concretamente l’età del consenso alla produzione di materiale pornografico anziché rimettere tale determinazione alla discrezionalità del giudice.

[1]STILO L., Pornografia minorile ed internet, in Riv. Giur. Diritto&Diritti – Diritto.it, 2017; STILO L., L’influenza delle nuove tecnologie informatiche sull’originale archetipo “criminalità organizzata”, in Diritto della Gestione Digitale delle Informazioni, “Il Nuovo Diritto”, n. 4, 2003, p. 17.

[2] La Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con la l. 27 maggio 1991 n. 176, impegnava gli Stati aderenti a proteggere “il fanciullo” da ogni forma di violenza e sfruttamento sessuale e dallo sfruttamento ai fini di prostituzione o di produzione di spettacoli o di materiale pornografico.

[3]FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale. Parte Speciale, Vol. II, I Delitti contro la persona,                    2013 – p. 170

[4] Art. 600quater, comma 1: «Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600ter, consapevolmente si procura o detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1549».

[5] Decisione quadro 2004/68/GAI del consiglio del 22 dicembre 2003 relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile. Successivamente sostituita da direttiva 2011/92/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 relativa alla lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile.

[6] D.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38; d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n 119.

[7]Legge 1 ottobre 2012, n. 172: ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio dʹEuropa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e lʹabuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dellʹ ordinamento interno.

[8] Cass. pen. Sez. III, 7 giugno 2006, n. 20303.

[9] Art. 7 CEDU, comma 1: «Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

[10]VIGANO F., Reati contro la persona e contro il patrimonio, Edizione II, 2015 – p. 290

[11]COTELLI M., Pornografia domestica, sexting e revenge porn fra minorenni. Alcune         osservazioni dopo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 51815/18, in Giurisprudenza Penale Web, 2019, 3.

 

 

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