mercoledì, Aprile 24, 2024
Criminal & Compliance

L’evoluzione della concezione del bene giuridico – I parte

Questo è il primo di una serie di articoli volti a ricostruire l’evoluzione della concezione del bene giuridico attraverso l’analisi della dottrina per come sviluppatasi nel corso degli anni, anche con riferimento al contributo fornito da studiosi stranieri, con particolare riferimento alla scuola tedesca.

 

Uno degli aspetti più problematici del diritto penale, che sin dagli albori di questa scienza giuridica ha ispirato accesi dibattiti coinvolgendo e stimolando le menti degli studiosi, riguarda la tematica del bene giuridico.
Il concetto di bene giuridico viene coniato all’inizio del ventesimo secolo, per fare riferimento all’oggetto della tutela penale; si iniziò, in questo periodo, a muovere un’aspra critica alla concezione proto-illuministica del reato inteso come «violazione di un diritto soggettivo», sostenendosi che tale concezione non riuscisse ad esplicare la punizione di fatti lesivi di determinati bene di rango particolarmente elevato (ad es. sentimento religioso, moralità pubblica), sebbene non rientranti nell’alveo del diritto soggettivo[1]. Questa posizione, però, riconosceva un vasto novero di oggetti della tutela penale, sebbene i suoi sostenitori fossero ancorati alla necessità, di matrice illuministica, di collegare gli oggetti tutelati a interessi considerati meritevoli di attenzione da parte della comunità.
Col tempo, soprattutto con il concretizzarsi di una vera e propria dimensione sovranazionale del diritto penale, il campo di indagine relativo a questo concetto si è notevolmente ampliato.
Tuttavia, il bene giuridico non può essere innalzato a «paradigma supremo ed esclusivo di conoscenza del reato»[2], pur riguardando i contenuti essenziali della fattispecie incriminatrice. La lesione perpetrata nei confronti del bene giuridico rappresenta, infatti, soltanto uno dei suoi molteplici aspetti, dal momento che un ruolo di primo rilievo è ricoperto dalla natura del dovere violato, dal tipo e dalla gravità della colpevolezza, dagli elementi idonei a descrivere il fatto materiale, le modalità dell’azione ecc.
Stabilire una ripartizione gerarchica tra i vari aspetti succitati, al fine di stabilire quali di essi ricopra un ruolo preminente, dipende da una decisione avente carattere «ideologico e politico»[3].
Una dogmatica di stampo prettamente liberale, caratterizzata da un sostanziale equilibrio tra momenti oggettivi e soggettivi, dovrebbe enfatizzare il primo dei due: è proprio il bene giuridico a fungere da ago della bilancia nel dare al reato un orientamento di tipo oggettivo piuttosto che soggettivo, dal momento che costituisce un dato oggettivo l’interesse sociale su cui l’azione delittuosa va ad incidere[4].
La scelta orientata verso un diritto penale a base oggettivistica non intacca la sua componente soggettiva, dal momento che il fatto punibile, pur presupponendo la lesione di un bene giuridico, non esclude l’incidenza dell’atteggiamento interiore del soggetto attivo, unitamente al disvalore dell’azione stessa.

Dunque, il ruolo di primaria importanza ricoperto dal bene giuridico ed il ruolo predominante dell’offesa nell’architettura del concetto di reato non deve far sì che gli altri elementi costitutivi dello stesso vengano trascurati. È raro, infatti, che la struttura della fattispecie si esaurisca esclusivamente nella mera indicazione sintetica del proprio contenuto offensivo, tralasciando una descrizione più o meno approfondita del fatto tipico. È opportuno ricordare che quello di bene giuridico non è un concetto prettamente penalistico, bensì appartenente alla teoria generale del diritto; i beni giuridici, infatti, non rappresentano un’esclusiva del diritto penale, essendo presenti anche in discipline giuridiche non penalistiche. Dunque, la prevenzione degli eventi lesivi appartiene anche ad altri settori dell’ordinamento, costituendo il diritto penale l’extrema ratio nella gerarchia degli strumenti giuridici del controllo sociale[5].

La Corte costituzionale ha ribadito[6] che il compito del diritto penale è la difesa di beni e interessi attinenti alla convivenza, avendo attribuito al principio di offensività rango costituzionale per il giudice ma anche per il legislatore. In definitiva, il diritto penale da un lato si occupa di difendere soltanto una parte dei beni giuridici (da qui il carattere sussidiario), dall’altro, tranne i casi in cui, in considerazione del grado di importanza elevata del bene (es. la vita umana), la tutela è da considerarsi totalitaria e onnicomprensiva, ovvero contro ogni forma di aggressione, dal momento che non è concepibile un bilanciamento del bene oggetto di tutela con altri beni con esso connessi e confliggenti, protegge di regola il bene in modo frammentario, ossia limitato a specifiche modalità di aggressione, al di fuori delle quali prevalgono altri interessi in contrasto con il primo[7].

Uno stesso bene può avere una tutela penale contro modi o tipi diversi di aggressione. In questo caso non si ha la concretizzazione di un bene giuridico all’interno di singoli beni, in cui ciascuno è relativo a una singola norma, a meno che non si includa nel bene tutelato uno o più elementi della fattispecie. Il punto di vista secondo cui a ogni fattispecie legale corrisponde un bene diverso va ad assumere un concetto onnicomprensivo di bene, che va ad identificarsi con la norma oppure con alcuni elementi essenziali della fattispecie. Se, invece, si propende per un concetto autonomo di bene, distinto dagli altri elementi della fattispecie, è facile affermare che una pluralità di norme sono in grado di riferirsi allo stesso bene giuridico, differenziandosi per uno o più elementi specializzanti (es. elemento soggettivo, modalità del fatto ecc.). Considerato che anche gli illeciti di tipo civile e amministrativo rappresentano fatti offensivi di beni giuridici, ne deriva che il principio di offensività non può essere l’unico criterio a cui fare ricorso per stabilire l’opportunità o meno dell’intervento penale.

Per operare una selezione tra i fatti da sanzionare penalmente, il legislatore dovrebbe avvalersi di criteri che appartengono al patrimonio della dottrina contemporanea quali quelli di proporzione, di extrema ratio e di effettività: principi costituzionali che, per quanto basilari, sono espressione più di una direttrice politico-criminale che di un obbligo vincolante per il legislatore[8].

Se è vero che l’essenza del reato non è incentrata solo sulla dannosità sociale, dal momento che l’illecito penale si caratterizza non solo per il risultato, ossia il disvalore di evento, bensì anche per le modalità di lesione, ossia il disvalore di azione, poiché il diritto penale si legittima come strumento di tutela di interessi, il nucleo essenziale del reato, nonché sua ragione giustificatrice,  è rappresentato dal momento dell’offesa, che ricopre il ruolo di cardine della responsabilità[9].

Il bene giuridico, dunque, riveste un ruolo preponderante nella configurazione della fattispecie incriminatrice e nell’intero sistema penale, ferma restando l’importanza di altri elementi del reato, come ad esempio le caratteristiche dell’elemento soggettivo o i motivi che hanno portato a delinquere.

 

 

[1] Birnbaum, Archiv des Criminalrechts, Neue Folge, 1984, p. 149 ss.

[2] Merli A., Introduzione alla teoria generale del bene giuridico, Napoli, 2006, p. 12.

[3] Op. cit., p.13.

[4] Op. cit., p.13.

[5] Beccaria C., Dei delitti e delle pene, ed. Einaudi, 1070, p. 12.

[6] Corte Cost. 7 luglio 2005 n. 265.

[7] Merli A., introduzione alla teoria generale del bene giuridico, Napoli, 2006, p.16.

[8] Roxin, Derecho Penal, parte generale, tomo I. Fundamentos. La estructura de la Teoria del Delito, p. 68 ss., 2003.

[9] In senso contrario, cfr. Antolisei, Il problema del bene giuridico, in Riv. it. 1939, p. 3., il quale tende a ridimensionare il ruolo del bene giuridico all’interno della teoria del reato, sottolineando che la sua importanza è stata non poco ingigantita, sia sul piano dommatico, sia sul piano interpretativo dove, considerato che le norme penali spesso tutelano lo stesso bene, l’oggetto della tutela non offre alcun contributo per l’esegesi della norma, per cui una parte della dottrina tende a sostituirlo con lo scopo o la ratio della incriminazione.

Dott. Giovanni Sorrentino

Giovanni Sorrentino è nato a Napoli nel 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica con il massimo dei voti presso il Liceo Classico Jacopo Sannazaro, intraprende lo studio del diritto presso il dipartimento di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Nel dicembre del 2017 si è laureato discutendo una tesi in diritto penale dal titolo "Il riciclaggio", relatore Sergio Moccia. Attualmente sta svolgendo la pratica forense presso lo Studio Legale Chianese. Nel 2012 ha ottenuto il First Certificate in English (FCE). Ha collaborato dal 2010 al 2014 con la testata sportiva online "Il Corriere del Napoli". È socio di ELSA (European Law Students' Association) dal 2015. Nel 2016 un suo articolo dal titolo "Terrore a Parigi: analisi e possibili risvolti" è stato pubblicato su ElSianer, testata online ufficiale di ELSA Italia. Nel 2017 è stato selezionato per prendere parte al Legal Research Group promosso da ELSA Napoli in Diritto Amministrativo (Academic Advisors i proff. Fiorenzo Liguori e Silvia Tuccillo) dal titolo "L'attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato", con un contributo dal titolo "Il contratto di avvalimento". Grande appassionato di sport (ha giocato a tennis per dieci anni a livello agonistico) e di cinema, ama viaggiare ed entrare in contatto con nuove realtà. Email: giovanni.sorrentino@iusinitinere.it

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