martedì, Aprile 16, 2024
Di Robusta Costituzione

L’identità della Repubblica, i simboli e la Festa del 2 giugno

1.Introduzione: la nascita della Repubblica. 2. L’identità repubblicana e la non revisionabilità dell’art. 139. 3. La Repubblica e i suoi simboli  4. L’art. 12 ed il Tricolore.

Il 2 giugno è la giornata celebrativa della Festa della Repubblica. Le feste e i simboli di una nazione costituiscono un osservatorio privilegiato per ricostruire l’identità e la memoria di una Nazione. Questo articolo si propone di analizzare brevemente i principi fondanti della forma di Stato Repubblicana e prova a ricostruire come il Tricolore -simbolo costituzionalizzato ex. art. 12- rientri tra questi.

  • Introduzione: la nascita della Repubblica

Il 2 giugno è una giornata celebrativa nazionale italiana, istituita per ricordare la nascita della Repubblica[1]. Nonostante la Cassazione avesse proclamato ufficialmente la nascita della Repubblica italiana il 18 giugno 1946, la Festa fu fissata nel giorno del Referendum istituzionale, quando gli italiani vennero chiamati a pronunciarsi per decidere sulla forma di stato da dare al Paese[2]. Pochi giorni dopo (il 28 giugno), venne eletto il Primo Presidente con il titolo di Capo provvisorio dello Stato ed iniziarono i lavori per l’Assemblea costituente[3], al termine dei quali venne proclamata la Costituzione Repubblicana[4]. L’esito della consultazione popolare “è stato l’atto creativo della nuova forma di Stato repubblicana [5]”:un potere costituente[6] che ha “costituito”, per l’appunto, la nuova forma di Stato. Politicamente fu De Gasperi a proporre il referendum popolare, e giuridicamente fu il decreto luogotenenziale numero 151 del 25 giugno 1944 a stabilire che: “dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano, che a tal fine eleggerà, a suffragio universale, diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello Stato”.

L’esito referendario fu tuttavia accompagnato da molte polemiche: anche se la vittoria fu abbastanza netta[7], questa non fu schiacciante, e non mancarono i dubbi sul fatto che quel margine fosse il risultato di brogli. Queste critiche tuttavia non riuscirono a delegittimare la Repubblica, perché, anche se si fosse provato che quel margine fosse stato frutto di brogli, la Monarchia non si sarebbe comunque salvata: essa si identificava nel Risorgimento e nei suoi plebisciti, non in un referendum che divideva il popolo a metà. Era ormai avvenuto il passaggio irreversibile ad una sovranità popolare, quindi che appartiene al popolo, un popolo libero che oramai si identificava nella nuova forma di stato: la Res- publica. Il referendum infatti fu indetto al termine della Seconda guerra mondiale, qualche anno dopo la caduta del fascismo, sostenuto per più di 20 anni dalla famiglia reale (cosa di cui si resero conto lo stesso Re e la gran parte degli elettori che avevano votato monarchia). Per entrambi i motivi, la Repubblica non fu mai minacciata.

L’Italia nel 2 giugno rinasce libera (dal fascismo) e repubblicana[8], ed oggi, quella del 2 giugno è forse la più popolare tra le feste nazionali.

 

  • L’identità repubblicana e la non revisionabilità dell’art. 139

La Costituzione, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, postula in 139 articoli i principi e la struttura della forma di governo repubblicana. Tra questi principi, alcuni non possono essere revisionati: pena la modifica non solo della forma di Stato, ma dell’identità stessa della Repubblica. L’art. 139[9] è un limite esplicito alla revisione costituzionale, secondo il quale “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Non fu semplice tuttavia postularne la non revisionabilità in Assemblea costituente[10].

Successivamente, anche se la dottrina maggioritaria ne ha sostenuto la non revisionabilità – sia dell’art. 139, sia dei principi fondamentali ad essa riconnessi- una dottrina minoritaria escogitò la possibilità della doppia revisione, una revisione cioè da attuarsi in due tempi:

  • In un primo tempo si abrogherebbe l’art. 139 con le modalità previste con l’art. 138,
  • In un secondo tempo si abrogherebbero gli articoli fondamentali.

Tale teoria fu largamente criticata, a favore della tesi sull’ impossibilità della revisione,[11] il Mortati sostenne che “[L’articolo 139] ha inteso, come risulta dalla sua formula, sottrarre la forma repubblicana non solo al procedimento di revisione previsto dall’articolo 138, ma ad ogni altra specie di revisione che risultasse altrove regolata dalla costituzione, o che dovesse essere disposta in avvenire[12]”. Tale tesi, è stata poi affermata dalla giurisprudenza costituzionale, nella celebre sentenza 1146/ 1988, la quale, indicando la forma repubblicana quale limite assoluto ed esplicito al potere di revisione, postula l’esistenza di alcuni principi supremi dell’ordinamento costituzionale, i quali, pur non essendo stati menzionati espressamente in costituzione, “appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana[13]”.

L’esistenza di determinati principi collocati all’apice dell’ordinamento -quindi “supremi”- è oramai una teoria largamente condivisa tra gli operatori del diritto; meno condivise sono le soluzioni volte a stabilire quali siano questi principi, e se questi prevalgano sempre in assoluto, o se vadano bilanciati caso per caso[14]. In ordine a questi principi, quelli che la stessa Costituzione denomina “fondamentali” è certo che rappresentano l’identità stessa della nostra comunità nazionale, un’identità costituzionale che “nasce” dalla sovranità popolare (ex. art. 1) e si “chiude” con la forma repubblicana (ex. art. 139 cost). Se difatti, ex art. 1 “la forma repubblicana è stata scelta dal popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione[15]”, non può non appartenere all’identità Costituzionale la forma di Stato democratica, e con essa, tutti i corollari e i principi volti a costituirne l’identità. Un’identità nata da una nuova concezione dello Stato: non più solamente lo Stato- Nazione ma lo Stato-Comunità, scaturente dall’esito del processo che ha visto la comunità nazionale (il popolo italiano) ordinarsi in Stato.

 

  • La Repubblica e i suoi simboli

Le feste di una nazione, con il loro corredo simbolico, costituiscono un osservatorio privilegiato per poter ricostruire l’identità e la memoria pubblica di una nazione[16]: “Una nazione racconta se stessa, e plasma i suoi caratteri identitari, anche nella celebrazione di feste ufficiali e ritualizzate[17]”; questo perché durante le feste nazionali -ma anche commemorazioni o altre cerimonie civili- i rituali attivano i simboli di identificazione del popolo (monumenti, bandiere, inni, stemmi), e con essi “la politica recupera la propria matrice “religiosa” nel senso originario e pre-confessionale[18]”. Sono simboli della Repubblica italiana:

  • Il Tricolore[19]: è caratterizzato da tre fasce verticali di uguali dimensioni, e si ispira al modello francese del 1790 ove le tre bande uguali rappresentano i tre cardini delle democrazie moderne (di discendenza francese) [20]: libertà, fraternità, uguaglianza. Sui colori, due dei quali (rosso e bianco) provenienti direttamente dai moti napoleonici (e, infatti, comuni con la Francia), ci sono varie interpretazioni[21]: da una parte i prati, le nevi e il sangue versato, dall’altra la speranza, la purezza del popolo e la passione con cui gli italiani hanno sempre combattuto. Il Tricolore ha una propria festa, istituita il 31 dicembre 1996, che si festeggia ufficialmente il 7 gennaio a Reggio nell’Emilia, città dove venne decretato per prima ufficialmente quale bandiera nazionale da parte della Repubblica Cispadana (7 gennaio 1797); contemporaneamente, a Roma, presso il Palazzo del Quirinale, il cerimoniale prevede invece il cambio della Guardia d’onore in forma solenne con lo schieramento e la sfilata del Reggimento Corazzieri in uniforme di gala e della Fanfara del IV Reggimento Carabinieri a cavallo.
  • L’Inno Nazionale[22]: il “Canto degli Italiani”, su libretto di Goffredo Mameli e musiche di Michele Novaro, scritto nel Risorgimento, fu scelto per l’Italia repubblicana quale inno provvisorio. La questione fu quasi del tutto trascurata in Assemblea costituente[23] e, nonostante numerosi progetti di legge, sino al 2017 [24] lo era soltanto de facto, non de iure. Degno d’essere ricordata è l’impegno del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi volto alla valorizzazione e al rilancio dell’Inno quale simbolo d’identità nazionale[25].
  • L’emblema[26]: fu adottato soltanto il 5 maggio del 1948, dopo l’espletamento di un concorso pubblico. È caratterizzato da quattro elementi: la stella (personificazione dell’Italia), la ruota dentata (simbolo dell’attività lavorativa, traduce in modo figurato l’art. 1 della Costituzione), i rami di ulivo (simbolo di pace) e la quercia (incarna la forza e la dignità del popolo italiano). Questi ultimi sono espressione delle specie floreali più tipiche[27].
  • Lo stendardo[28]: costituisce il segno distintivo della presenza del Capo dello Stato e segue perciò il Presidente della Repubblica in tutti i suoi spostamenti. In realtà, subito dopo la proclamazione della Repubblica, il simbolo provvisoriamente adottato a questo fine fu proprio la bandiera nazionale e lo stendardo arrivò solo nel 1965.

I simboli di una Nazione non possono che rifletterne l’identità, tuttavia, tra questi simboli, l’unico ad esser stato costituzionalizzato è quello della bandiera, a chiusura dei principi fondamentali. Che funzione ha avuto e continua ad avere la sua costituzionalizzazione? Prima di procedere all’analisi della funzione dell’art. 12, si vuole qui brevemente sottolineare come, nelle democrazie occidentali, il simbolo costituzionalizzato per eccellenza sia proprio la bandiera (Germania, Francia, Austria, Portogallo), tuttavia non manca in talune costituzioni (Francia e Portogallo) la costituzionalizzazione anche dell’inno. Peculiare il caso della Spagna che costituzionalizza sia la bandiera Nazionale che quelle delle Comunità autonome, riflettendo la sua peculiare attenzione alle esigenze autonomistiche[29].

 

  • L’art. 12 ed il Tricolore

La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali e di uguali dimensioni”. L’art 12, collocato in Costituzione quale ultimo principio fondamentale sembra essere un intruso, quasi un “falso” principio fondamentale[30] tant’è che né la dottrina, né la giurisprudenza si sono soffermati molto su tale articolo. Gli stessi Costituenti dubitarono del suo inserimento in costituzione: il presidente Umberto Tupini domandò espressamente se fosse proprio necessario un articolo sulla bandiera, e, Mario Cevalotto rispose proprio che “tutte le costituzioni hanno un articolo sulla bandiera[31]”. Non solo, ma la stessa attuazione dell’art. 12 della Costituzione è relativamente recente, in ordine alla legge n. 22 del 1998 (Disposizioni generali sull’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea), che si dichiara adottata in attuazione proprio della suddetta norma costituzionale. Prima di questo intervento legislativo la materia continuava ad essere regolamentata dalla previgente normativa (r.d.l. n. 2072/1923), salvo un intervento di normazione secondaria, il d.p.c.m 3 giugno 1986. Un’altra disposizione da menzionare a suggello dell’importanza della simbologia è la tutela penale, ove viene previsto il “vilipendio alla bandiera[32]”.

La tutela del Tricolore è una tutela ad ampio raggio nel nostro ordinamento: dalle norme vigenti prima dell’ordinamento costituzionale per poi trasformarsi ed erigersi a vessillo della conquista repubblicana. La Corte costituzionale ha spiegato con una specifica sentenza questa transazione di significato:  la n. 189 del 1987[33],ove esprime  il superamento della bandiera nazionale quale mero “simbolo di sovranità nazionale” (la mera sovranità dello Stato-Nazione, identificato con lo stato fascista) [34]. Nell’ordinamento democratico pluralista difatti, la bandiera nazionale non è più soltanto il simbolo dell’unità statale, ma anche e soprattutto dell’identità democratica, in quanto tale aperta al “confronto con le idealità perseguite da popoli di altri Stati e da Nazioni diverse”.

La bandiera difatti è sia simbolo della sovranità esterna dello Stato (volta a distinguersi dagli altri stati), ma anche di sovranità interna (volta a simboleggiare ed evocare il popolo, quale soggetto giuridico titolare della sovranità). Non solo, essa è simbolo di identità storica, evocando “il sentimento di un vincolo comunitario [..] essa mette in contatto i vivi con i morti”. Ed è proprio quale evocazione dell’identità storica che si erge a simbolo di unità.

Un’unità che non può essere divisa, ed è proprio una recente sentenza della Corte costituzionale[35] che erge l’art. 12 a tutela dell’identità nazionale, dell’unità[36]. La sentenza 183 del 2018[37] ha difatti avuto ad oggetto la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni di una legge regionale del Veneto (n. 28 del 2017), la quale, nell’ottica della rivendicazione della propria autonomia[38], aveva predisposto l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici adibiti a sede di amministrazioni statali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi. Al fine di dichiarare che non era meritevole di tutela la pretesa della Regione di imporre l’uso di segni ad organi ed enti che pur operando in maniera decentrata “sono espressivi di una collettività distinta e più vasta”, opera una ricostruzione del simbolo del Tricolore, richiamando la sua stessa sentenza (189 del 1987), nell’ottica di una ricostruzione dell’identità democratica nazionale[39].

La sua peculiare collocazione (a chiusura del catalogo dei diritti fondamentali) ha indotto parte della dottrina a considerarlo non revisionabile in quanto componente essenziale del patto repubblicano[40]. La ragione risiederebbe nel sottrarre tale disposizione (e i valori che racchiude) alle possibili modifiche o strumentalizzazione da parte delle maggioranze politiche, garantendo la neutralità ideologica dell’inno: “simbolo ed epitome di valori condivisi[41]”.

La peculiare collocazione all’interno della costituzione ne evidenzierebbe il rapporto endiadico[42] tra il simbolo e i principi fondamentali dell’ordinamento, perché essa è, al tempo stesso “simbolo della Repubblica, quale simbolo di significazione politica, e simbolo dello Stato, di significazione giuridica[43]”. Tale connubio si è avuto con l’istituzione di un’apposita giornata celebrativa nazionale: la “Giornata nazionale del Tricolore”, istituita a sigillo giuridico di un’ identità politica unitaria.

In questa visione,  cui la bandiera «è una vera e propria decisione costituente, non solo nel senso (ovvio) che è stata presa dall’Assemblea costituente, ma anche in quello, più proprio, che è una decisione fondamentale sulla forma e sulla sostanza del patto repubblicano[44]», ci appare qui concludere che sia da considerarsi quale principio supremo dell’ordinamento e come tale, non revisionabile, pena l’emersione di un nuovo assetto costituente, di una nuova forma di Stato, ove la bandiera continuerebbe ad assurgere a simbolo storico, non più a simbolo democratico[45].

La sua peculiare collocazione è volta a riflettere tutto questo, e, se è vero che il diritto pubblico è considerato come “il diritto di uno stato qualsiasi anche non libero, mentre diritto costituzionale è il diritto dello stato libero[46]”, non è un caso che il Tricolore sia stato inserito proprio nella Costituzione: una bandiera “libera”, di un popolo- finalmente- libero.

 

 

 

 

[1] La Festa della Repubblica venne celebrata ufficialmente per la prima volta nel 1948, e continuò ad essere celebrata il 2 giugno fino al 1976, quando fu annullata la tradizionale parata militare a causa del terremoto in Friuli Venezia Giulia del 6 maggio. Fu quindi stabilito che venisse ricordata ogni anno la prima domenica di giugno. La data originaria fu poi ristabilita nel novembre del 2000 dal governo Amato II.

[2] Coincise inoltre con la prima votazione a suffragio diretto in Italia, dopo il riconoscimento del voto alle donne previsto dal decreto luogotenenziale nº 23 del 2 febbraio 1945, emanato dal governo Bonomi.

[3] Il 22 dicembre 1947 segnò l’inizio della nuova Costituzione repubblicana, con 453 sì e 62 no, firmata cinque giorni più tardi dal capo provvisorio dello Stato Enrico de Nicola.

[4]Festa della Repubblica” in difesa.it (sito istituzionale del Ministero della Difesa italiano), disponibile qui: (ultimo accesso: 30/5/2020).

[5] G. CONTINI, La revisione costituzionale in Italia, Milano, 1971, p. 48.

[6] Il popolo aveva la natura e le competenze di un potere pre e super-costituente (cfr. A. REPOSO, La forma repubblicana secondo l’art. 139 della Costituzione, Padova, 1972, p. 24). L’Assemblea costituente invece, aveva competenze numerate, perché i Costituenti erano stati eletti con un mandato derivante dall’esito della consultazione popolare.

[7] I risultati del Referendum furono annunciati il 18 giugno 1946: a favore della Repubblica 12718641, 1071802 a favore della Monarchia e 1498136 schede bianche o nulle.

[8] È interessante qui ricordare la scheda del referendum: i sostenitori della Repubblica scelsero il simbolo di un’Italia con l’aspetto di una giovane donna dal capo cinto da una corona muraria completata da torri( ( l’Italia turrita), in contrapposizione allo stemma sabaudo.

[9]A. APOSTOLI, L’art. 139 e il nucleo essenziale dei principi supremi e dei diritti inviolabili, in Rivista del Gruppo di Pisa, disponibile qui https://www.gruppodipisa.it/images/rivista/pdf/Adriana_Apostoli_L_art_139_e_il_nucleo_essenziale_dei_principi_supremi_e_dei_diritti_inviolabili.pdf (ultimo accesso 30/05/2020)

[10] Atti dell’Assemblea costituente, seduta del 25 giugno 1946, 2. Il Presidente Orlando osservava che” la piena libertà di scelta della Costituente ha però un limite che fu fissato direttamente dalla stessa volontà popolare, con un atto che può qualificarsi di democrazia diretta. E questo limite consiste in ciò: la forma di governo, per quanto riguarda la qualità del capo dello Stato, è la Repubblica. L’istituto che vi corrisponde è dunque diventato il simbolo dello Stato; è attraverso di esso che la Nazione d’Italia si personifica come organica unità indissolubile”. Sul punto si veda C. PINELLI, La scelta per la Repubblica, in Il politico, n 2/ 2019, pp. 25-37, Pavia.

[11] Si vedano, in dottrina, favorevoli alla possibilità di revisione: P. BISCARETTI DI RUFFIA, S. CICCONETTI, C.A. CABRERA, non favorevoli V. CRISAFULLI, C. MORTATI, F. MODUGNO. Per una ricostruzione di queste teorie, si veda: S. COLLOCA, Due domande sui limiti alla revisione costituzionale, in RIFD. Rivista internazionale di filosofia del diritto, 2012 fasc. 3, pp. 383 – 411.

[12] C. MORTATI, Scritti sulle fonti del diritto e sull’interpretazione, in Id., Raccolta di scritti, Giuffrè, Milano, 1972, Volume ii, p. 711.

[13] Sentenza 1146/ 1988: “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono tanto i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139 Cost.), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana «nucleo assolutamente immodificabile composto dai principi supremi o fondamentali”.

[14] Per un’approfondita ricostruzione dei principi supremi, si veda: P. FARAGUNA, Ai confini della costituzione. Principi supremi e identità costituzionale, Franco Angeli, 2015.

[15] Art. 1 Cost. definisce la titolarità della sovranità, la formulazione originaria in Assemblea costituente era “lo Stato Italiano è una repubblica democratica”: tale raffigurazione della repubblica identificata con lo stato fu abbandonata proprio per far prevalere l’identificazione della democrazia con il popolo. A tal proposito si discusse molto sul termine da utilizzare tra “promanare”, “emanare” o “appartenere”, ed i primi due verbi furono esclusi perché non assicuravano che la sovranità non venisse trasferita ad organi del potere costituito; la formula scelta è difatti perfettamente coerente con il diretto collegamento popolare. N. URBINATI, Art. 1 Costituzione italiana, Carocci, Roma, 2018. pag. 93.

[16] E. GENTILE, Il culto della bandiera,  in “il culto del littorio”, Editori Fratelli Laterza, 2007.

[17] G. NEVOLA, L’Italia e le sue ragioni, spec. La Festa della Repubblica: memoria, fratture, e patriottismo costituzionale, in Enciclopedia Treccani, 2015, disponibile qui: http://www.treccani.it/enciclopedia/le-feste-della-repubblica-memoria-fratture-e-patriottismo-costituzionale_%28L%27Italia-e-le-sue-Regioni%29/

[18] Per approfondimenti si veda G. NEVOLA, Non solo <<oppio dei popoli>>. Riti della nazione e democrazia italiana, tra religione civile e patriottismo costituzionale, in Rituali civili, a cura di M. RIDOLFI, 1006, pp. 249- 60.

[19] Per un approfondimento storico sul Tricolore si veda: https://www.quirinale.it/page/tricolore, nonché P. BONINI “ Il tricolore una storia antica, 2015, disponibile qui http://www.cislscuola.it/uploads/media/Articolo12.pdf., e M. RIDOLFI, Almanacco della Repubblica: storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Bruno Mondadori, 2003.

[20] L. ROSSI, Origini della bandiera tricolore italiana, su elearning.unite.it.

[21] E. PAGANO, Delle origini della bandiera tricolore italiana. Ricordi storici, Roma, Tipografia agostiniana, 1895

[22] Per un approfondimento sull’Inno Nazionale si veda: https://www.quirinale.it/page/inno

[23] M. LUCIANI Art. 12, Carocci, Roma, 2018, pag. 39. L’Autore riporta un unico sporadico caso in cui fu fatto riferimento all’inno in Costituente, l’intervento di Francesco Severio Nitti, il quale spingeva alla stesura di un nuovo inno, in quanto “l’Inno di Mameli sarebbe un bellissimo inno, se non fosse per quel ritornello che mi urta quando dice che <<i figli d’Italia son tutti balilla>>.

[24] È la legge nº 181 del 4 dicembre 2017 a conferirgli lo status di inno nazionale de iure.

[25] Curiosità sull’inno: nella quinta strofa, unico caso al mondo, c’è un riferimento -in verità, crociato- alla Polonia.

[26] Per un approfondimento sull’Emblema si veda: https://www.quirinale.it/page/emblema.

[27] Peculiare fu la vicenda della Provincia di Bolzano, che deliberò l’eliminazione della denominazione e dell’emblema della Repubblica italiana dai modelli degli attestati, dei diplomi e delle certificazioni per le scuole della Provincia, la Corte cost. con sent. 328/ 2010 dichiarò che non spettava alla Provincia tale deliberazione, annullandola. La sentenza è consultabile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2010&numero=328.

[28] Per un approfondimento sullo stendardo si veda: https://www.quirinale.it/page/stendardo.

[29] M. LUCIANI, op. cit. pag. 51 e ss.

[30] M. LUCIANI, op. cit. pag. 5.

[31] Atti dell’Assemblea costituente, 3 dicembre 1946, per una trattazione più completa si veda anche M. LUCIANI, op. cit. pag. 27 ss.

[32] Art. 292 c.p. “Chiunque vilipende con espressioni ingiuriose la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la multa da euro 1000 a euro 5000. La pena è aumentata da euro 5.000 a euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale.

Chiunque pubblicamente e intenzionalmente distrugge, disperde, deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale o un altro emblema dello Stato è punito con la reclusione fino a due anni.

Agli effetti della legge penale per bandiera nazionale si intende la bandiera ufficiale dello Stato e ogni altra bandiera portante i colori nazionali [Cost.12]”:

[33] Consultabile qui http://www.giurcost.org/decisioni/1987/0189s-87.html.

[34] “Il divieto d’esposizione di bandiere estere poteva avere, nel 1929, una motivazione: ma, con la Costituzione, con l’avvento della democrazia, mutato il significato delle bandiere, anche quella motivazione è venuta meno. Di tal che è oggi, manifestamente irrazionale discriminare fra coloro che intendano esprimere la propria identità attraverso segni e bandiere corrispondenti a quelle di Stati esteri e coloro che caratterizzano la propria identità diversamente. Lo Stato democratico non può temere il confronto con le idealità perseguite da popoli di altri Stati e da Nazioni diversa da quella espressa dalla maggioranza dei propri cittadini: anzi, lo Stato democratico s’instaura e vive nel predetto confronto e, pertanto, non può che avere interesse al medesimo. Tanto più che, come ritiene il giudice a quo, affermata la generale liceità dell’esposizione in pubblico di bandiere estere, rimarrebbe sempre possibile un eventuale divieto che, di volta in volta, come in ogni altra situazione, l’autorità istituzionale competente (e non l’autorità politica) ponesse, a causa di davvero eccezionali ragioni di ordine pubblico o di carattere internazionale”. Sentenza Corte Cost. n. 189 del 1987, punto 3 del “Ritenuto in fatto”.

[35] DICKMANN R. Tricolore italiano e bandiere locali nella Costituzione e nella giurisprudenza costituzionale in forumcostituzionale.it , 2018 http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/11/nota_183_2018_dickmann.pdf..

[36] Per un commento G. GAMBILLA, La bandiera italiana tra unità e differenziazione, in Consulta Online fasc.1 / 2019

[37] Sentenza consultabile qui:: http://www.giurcost.org/decisioni/2018/0183s-18.html per un commento si veda P.I. D’ANDREA, L’uso delle bandiere regionali e i simboli dell’unità: alcune precisazioni dalla Corte costituzionale ( nota a Corte cost., sent. n. 183 del 2018) disponibile qui: https://www.diritticomparati.it/luso-delle-bandiere-regionali-e-simboli-dellunita-alcune-precisazioni-dalla-corte-costituzionale-nota-corte-cost-sent-n-183-del-2018/.

[38] La legge fu emanata pochi mesi prima del Referendum consultivo per l’Autonomia. Tale pronuncia va difatti letta in parallelo con la sentenza n. 81/2018 Consultabile qui: http://www.giurcost.org/decisioni/2018/0081s-18.html. Per commenti alla sentenza si vedano: M. MANCINI “Brevi considerazioni intorno alla reiterate rivendicazioni “indipendentistiche” della Regione Veneto e alle loro conseguenze in ordine alla possibile applicazione dell’art. 126 cost. Due indizi non fanno (ancora) una prova, in Forum Quaderni Costituzionali, 2019; P. CARETTI “I veneti prima!”, lo slogan d’oltre oceano suggestiona anche le regioni? In Forum dei Quaderni Costituzionali, 2018; R. DICKMANN, La Corte costituzionale estende il paradigma dell’art. 6 Cost a tutte le minoranze e contesta la competenza della legge regionale a identificare la popolazione locale come minoranza nazionale in Federalismi.it, disponibile qui: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=36524&dpath=document&dfile=23062018132236.pdf&content=La+Corte+costituzionale+estende+il+paradigma+dell%2527art.+6+Cost.+a+tutte+le+minoranze+e+contesta+la+competenza+della+legge+regionale+a+identificare+la+popolazione+locale+come+minoranza+nazionale+-+stato+-+dottrina+-+.

 

[39] C.P. GUARINI, Sul ponte sventola bandiera…veneta. Notazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 183 del 2018 sull’utilizzo di bandiera e simboli ufficiali delle regioni” in diritti fondamentali.it, fascicolo 2/ 2018, disponibile qui: . L’Autore sottolinea come la Corte richiami espressamente l’ordine formale delle competenze legislative per il ripristino sostanziale dell’ordine simbolico.

[40] A. CASSESE, Art 12, Commentario alla Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna, 1975, 589, ammettono invece tale possibilità.

[41] Sentenza Corte costituzionale 189 del 1987.

[42] G. DELLEDONNE, Obblighi di esposizione di bandiere regionali nella Repubblica una e indivisibile: a proposito della sentenza n. 183/2018 della Corte costituzionale, in Osservatorio costituzionale AIC, fasc. 3/2018, 394.

[43] M. LUCIANI, op.cit., 2018.

[44] M. LUCIANI, op. cit., 2018, pag. 12.

[45] M. LUCIANI, op. cit. pag. 10: “Un’altra bandiera non sarebbe più “italiana” in questo specifico significato storico-politico”.

[46] P. POLIMENI, La questione costituzionale in Italia, il Mulino, Bologna, 2016., pag. l’Autore per “libertà” specifica il riferimento all’esistenza di un sistema rappresentativo a fondamento dell’esercizio del potere politico, ricollegandolo ad un ampliamento implicito del famoso art. art. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789: “Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione.”

 

Fonte immagine: https://pickline.it/2019/06/02/la-storia-della-festa-della-repubblica/

 

Flaviana Cerquozzi

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università La Sapienza di Roma nel 2023, con una tesi in diritto costituzionale, dal titolo   "La teoria dei controlimiti: la tutela della democrazia sostanziale ad extra", relatore Prof. Gaetano Azzariti, correlatore Prof. Alessandro Somma. E' specializzata in giustizia costituzionale presso l'Università di Pisa, autrice di numerosi articoli divulgativi e scientifici di Diritto Costituzionale. Attualmente svolge la pratica forense presso il Foro di Roma ed è Responsabile diritto costituzionale presso questa rivista. Da luglio 2023 cura la rubrica "DI ROBUSTA COSTITUZIONE" presso Ius in Itinere, che di seguito viene illustrata:

"La nuova rubrica di Ius in Itinere nasce dall’esigenza di riservarsi un momento di critica riflessione sui principi fondativi della nostra convivenza.
Lungi dall'essere "carta morta", gli insegnamenti costituzionali sono sempre vivi: la loro continua divulgazione ed attualizzazione -che questo spazio promuove- ne "irrobustirà" la necessaria conoscenza".
flaviana.cerquozzi@iusinitinere.it

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