giovedì, Marzo 28, 2024
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L’impugnabilità del contratto di divisione ereditaria

  1. Premessa.

A causa dell’affinità del contratto di divisione ereditaria con l’istituto della transazione, disciplinato dagli artt. 1965 e ss. c.c., in giurisprudenza si sono creati non pochi problemi in merito alla possibilità di rescindere un accordo in materia di divisione ereditaria. Lo stesso, infatti, può assumere diverse qualificazioni: transazione divisionale, transazione divisoria ovvero figurare come preliminare di contratto. Tale distinzione assume notevole rilevanza in quanto, a seconda della qualificazione giuridica di un accordo che mira ad attribuire i diversi beni caduti in successione ai singoli coeredi, influisce sulla possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione. Come si vedrà, il problema può essere risolto avendo riguardo alle norme in materia di interpretazione del contratto. 

  1. La comunione ereditaria e la divisione in generale.

Sovente, a seguito della morte di una persona vi è una pluralità di soggetti che subentra al de cuius, venendosi in tal modo a creare, tra gli stessi, una situazione di comunione ereditaria[1]in cui ogni singolo erede è comproprietario del medesimo bene per una quota ideale[2].

Lo scioglimento di questa comunione può avvenire in diversi modi:

  1. a seguito della distruzione del bene;
  2. per usucapione delle quote da parte di un terzo o di uno dei compartecipi;
  3. per morte di un contitolare che istituisce eredi altri soggetti;
  4. mediante divisione;

Il diritto imprescrittibile di chiedere la divisione dei beni ereditari, espressamente riconosciuto dall’art. 713 c.c.,  costituisce una potestà di cui è titolare ciascun successore. Alla divisione, però, devono necessariamente partecipare tutti i coeredi, pena la nullità della stessa. È possibile porre fine alla comunione ereditaria anche solo di alcuni beni mediante divisione: si parla, in questo caso, di “stralcio divisionale”.

La divisione del bene oggetto di comunione può avvenire in due modi:

– in natura, qualora sia agevolmente divisibile, con assegnazione di porzioni del bene ai vari condividenti in proporzione alle rispettive quote di comproprietà;

– qualora il bene non sia comodamente divisibile, tramite la sua alienazione e successiva ripartizione del prezzo ricavato tra i coeredi, sempre secondo le rispettive quote di comproprietà.

La divisione ereditaria permette di sostituire alla quota aritmetica di cui è proprietario ciascun coerede, un bene determinato di valore proporzionale alla quota stessa ovvero di attribuire una somma di denaro derivante dalla vendita del bene comune.

Non sempre è possibile procedere con la divisione dei beni ereditari. In talune circostanze, infatti, si verificano situazioni che precludono la possibilità di esercitare tale facoltà: è il caso del “patto di indivisione” stipulato da tutti i coeredi, dell’ipotesi di rinvio della divisione previsto direttamente dal testatore ovvero, ancora, della sospensione disposta dall’autorità giudiziaria qualora la divisione possa comportare grave pregiudizio al patrimonio ereditario.

La divisione ereditaria può esser fatta direttamente dal testatore, come previsto dall’art. 734 c.c., tramite la specificazione dei singoli beni di cui ogni erede diverrà proprietario oppure in via giudiziale o, ancora, mediante contratto sottoscritto da tutti i coeredi nell’ambito del potere di autonomia contrattuale riconosciuto dall’art. 2222 c.c. Si tratta di una fattispecie contrattuale con effetti reali, in quanto diretta a trasferire la proprietà di beni ed, eventualmente, anche obbligatori come nel caso in cui vengano posti obblighi riguardanti le modalità di divisione.

Di fondamentale importanza è la forma: il contratto divisorio deve essere stipulato in forma scritta ad substantiam se riguarda beni immobili e diritti reali immobiliari così da poter poi procedere con la successiva trascrizione.

  1. Impossibilità di recedere unilateralmente dal contratto divisorio: le alternative dell’annullamento e della rescissione.

Il contratto in parola, una volta perfezionato, può essere revocato o risolto solo col consenso unanime di tutti i partecipanti: non è ammesso il recesso unilaterale e questo perché allo stesso si riconosce natura transattiva. La legge permette ad ogni ex comunista di contestare l’accordo con azione di annullamento per violenza o dolo ex art. 761 c.c.ovvero di esperire azione di rescissione per lesione ai sensi dell’ art. 763 c.c.

Analizzando la prima possibilità notiamo come, ai sensi dell’art. 761 c.c., il contratto di divisione possa essere annullato qualora sia frutto di violenza o dolo, mentre nel caso sia viziato da errore come, ad esempio, in caso di omissione di taluni beni dell’eredità, è unicamente possibile ricorrere ad un “supplemento” della divisione, come disposto dal successivo articolo 762 del codice civile. Il diritto di ottenere l’annullamento del contratto di divisione per dolo o violenza è soggetto ad un termine prescrizionale di 5 anni decorrenti da quando la violenza è cessata o il dolo è stato scoperto.

Qualora, invece, taluno dei coeredi provi di esser stato leso oltre il quarto (e ciò anche qualora la divisione fosse stata fatta dal testatore) egli avrà a disposizione l’azione di rescissione per lesione oltre il quarto, che si differenzia dalla fattispecie di applicazione generale prevista dall’art. 1448 c.c. in quanto non richiede l’elemento soggettivo dell’ aprofittamento dello stato di bisogno.

  1. Differenza fra transazione divisionale e divisione transattiva.

Per quanto riguarda la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione ai sensi dell’art. 763 c.c. la giurisprudenza si è trovata a dover far chiarezza sulla natura dell’accordo divisorio a causa della sua analogia con la figura tipica della transazione, disciplinata dagli artt. 1965 e ss. c.c. e qualificatacome il “contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già incominciata o prevengono una lite che può insorgere tra loro”. La ratio dell’istituto transattivo esclude la possibilità di porre nel nulla gli effetti dell’accordo tramite l’azione di rescissione per lesione in quanto presuppone la volontà delle parti di definire in maniera irrevocabile i reciproci rapporti tramite le concessioni che vi si rinvengono. Tale esclusione viene sancita anche nel codice all’art. 764, comma 2, c.c.Qualora nell’accordo divisionale dei coeredi prevalga lo scopo di risolvere una lite, già in corso o prossima a sorgere, prevedendo attribuzioni oggettivamente inique per assicurare la realizzazione di un certo affare, il contratto de quo viene qualificato in dottrina come transazione divisionale e la possibilità di esperire azione di rescissione per lesione ultra quartum viene esclusa. Al contrario, quando tale intento pacificatore delle parti non sia ravvisabile in misura preponderante ed, anzi, l’aspetto saliente sia da rinvenirsi invece nella proporzionale divisione delle quote, l’accordo viene qualificato dalla giurisprudenza come divisione transattiva.

La ratio della transazione, quindi, può rinvenirsi in entrambe le fattispecie, ma l’aspetto peculiare che permette di distinguere fra divisione transattiva, rescindibile, e transazione divisionale, non rescindibile, è dato dalla presenza di proporzionalità nella divisione transattiva, fra le quote e le attribuzioni patrimoniali riconosciute[3]. Da ciò consegue che, dovendo la divisione transattiva prevedere l’attribuzione di quote proporzionali, in caso di sproporzione sia consentito ricorrere all’azione prevista dall’art. 763 c.c.

  1. L’interpretazione del contratto divisorio.

Dalla sproporzione fra le quote ideali di comproprietà e le concrete attribuzioni non deriva in tutti i casi la possibilità di esperire l’azione di rescissione per lesione ultra quartum ex art. 763, comma 2, c.c. Occorre dunque chiarire in quali casi un accordo divisorio possa essere impugnato con l’azione riconosciuta dall’art. 763 c.c.

A tal fine giova richiamare quanto stabilito dalle norme in materia di interpretazione del contratto di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. In particolare, in una recente pronuncia della Suprema Corte è stato affermato che il criterio per qualificare correttamente la natura del contratto di divisione ereditaria è rappresentato da quello dell’interpretazione letterale della convenzione unitamente a quello dell’effettiva volontà delle parti, avendo riguardo a tutte le circostanze ed al comportamento dei condividenti, anche successivo alla conclusione del contratto[4].

Nel caso di specie la sentenza della Corte d’Appello che veniva impugnata qualificava la scrittura di divisione come transazione divisionale sulla base dell’assunto secondo cui il diverso valore degli immobili oggetto di comunione era cito oculi evidente così potendosi escludere un’inconsapevole sproporzione della ripartizione dei cespiti senza la previsione di quote di conguaglio. La mera consapevolezza delle parti circa il diverso valore degli immobili assegnati col patto di divisione potrebbe giustificare, secondo la giurisprudenza minoritaria, la presenza di un intento transattivo che non permetterebbe di ricorrere alla rescissione[5].

Tale decisione veniva impugnata con ricorso in Cassazione per violazione e falsa applicazione delle norme in materia di interpretazione contrattuale e per omessa valutazione di un fatto decisivo.

Il ricorrente qualificava la scrittura divisionale come preliminare di divisione, destinato a perfezionarsi solo in seguito alla successiva stima dei beni ed alla definizione dei conguagli in denaro. Il suo intento non sarebbe stato rappresentato dalla rinuncia ai conguagli in denaro che gli sarebbero spettati in seguito all’assegnazione di una porzione immobiliare notevolmente ridotta rispetto alla propria quota di comproprietà bensì, piuttosto della volontà di facilitare la continuazione dell’attività commerciale da parte degli altri coeredi, riconoscendo loro l’attribuzione degli immobili necessari a tale scopo. Il pareggio sarebbe, poi, stato realizzato in un momento successivo, con un ulteriore atto da stipularsi dinanzi al notaio e subordinato al rilascio della licenza per la continuazione della suddetta attività commerciale.

Inoltre è da considerare come in sede di sottoscrizione del progetto divisionale non fosse stata effettuata alcuna stima dei cespiti.

La Cassazione ha così accertato la mancanza di una volontà transattiva, desunta non solo dalle circostanze ut supra richiamate ma anche dall’assenza di qualsiasi liberalità a favore del ricorrente, sia prima che dopo la sottoscrizione del contratto di divisione[6].

Non è, quindi, possibile ravvisare un intento transattivo senza una corretta e completa applicazione delle norme sull’interpretazione del contratto che impone, appunto, di non soffermarsi unicamente sul dato letterale ma di indagare a fondo il reale intento dei contraenti attraverso l’analisi delle finalità che il contratto intende perseguire.

Facendo applicazione di queste norme interpretative, i Giudici di legittimità hanno appurato che nel caso di specie non si era in presenza né di una transazione divisionale né di una divisione transattiva bensì, piuttosto, di un preliminare di divisione,  rectius accordo paradivisorio, il quale, dovendosi ancora perfezionare data la mancanza di elementi costitutivi come la previsione delle quote di conguaglio e non includendo una finalità di tipo transattivo, non avrebbe potuto essere escluso dal regime della rescissione[7].

Dunque, il discrimen tra contratti divisori soggetti alla rescissione per lesione (divisioni transattive e preliminari di divisioni) e contratti esclusi (transazioni divisorie) si rinviene nella natura squisitamente transattiva degli ultimi.

Pur potendo avere natura transattiva anche il progetto di divisione e la divisione transattiva, ciò che esclude la possibilità di ricorrere all’azione di rescissione nel caso di transazione divisoria è l’intenzione delle parti di prevedere un’attribuzione sproporzionata delle quote esclusivamente per assicurare la risoluzione di una controversia. In quest’ultimo caso le parti, disponendo attribuzioni in modo sproporzionato alle relative quote dei contitolari, non intendono perseguire altro fine se non quello di evitare o risolvere una lite. Dall’interpretazione letterale e dal comportamento delle parti, quindi, per poter affermare di essere in presenza di una transazione divisionale, deve emergere chiaramente la rinuncia dei contraenti a qualsiasi futura pretesa relativa ai conguagli. In caso contrario, il negozio è passibile di essere inquadrato in diverse figure giuridiche quali, appunto, quelle appena illustrate di preliminare di divisione e divisione transattiva.

[1]  La comunione ereditaria si distingue dalla comunione ordinaria propria dei rapporti inter vivos ma  mantiene sostanzialmente la stessa disciplina di quest’ultima in relazione alle norme civilistiche applicabili.

[2]  Concezione della comunione di tipo romano, la quale si riferisce a quote ideali sul bene senza individuare precisamente le parti di appartenenza di ciascun comunista.

[3]  Cass. Civ., sez. III, sentenza n. 13942, 3 agosto 2012.

[4]   Cass. Civ., sez.II, sentenza n. 8240, 22 marzo 2019.

[5]    Corte d’Appello di Roma, sent. n. 6377 del 2013.

[6]   La Corte osservava che non avendo il ricorrente ricevuto alcuna donazione o altra liberalità in occasione della divisione, egli non poteva avere alcuna valida ragione per accettare un’attribuzione a sé sfavorevole se non quella dell’affetto nei confronti dei fratelli e il voler agevolare la loro attività commerciale nell’immediato, riservandosi poi i dovuti conguagli.

[7]  K. MASCIA, nota a Cass. Civ. n.8240/2019, in Diritto & Giustizia, fasc.56, 2019, pag.4.

Sara Foschi

Laureata in giurisprudenza presso l’Università di Bologna con una tesi in diritto industriale dal titolo “la brevettabilità delle invenzioni aventi ad oggetto cellule staminali embrionali”. Attualmente mi occupo di consulenza legale in materia di diritto civile ed amministrativo presso uno studio legale di Cesena

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