mercoledì, Gennaio 22, 2025
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L’incapacità relativa a contrarre matrimonio ex can. 1095 n. 3 nella recente giurisprudenza rotale

A cura di Antonio Vitale

 

  1. Il can. 1095 n.3 CIC: l’incapacità assoluta e relativa

Il can. 1095 del Codice di diritto canonico (primo del Codex riguardante il consenso matrimoniale) al n. 3 afferma che sono incapaci di contrarre matrimonio coloro che per cause di natura psichica non possono assumere gli obblighi essenziali del matrimonio. L’esatta interpretazione di tale norma e, quindi, la concreta applicazione in ambito di nullità matrimoniale è vexata quaestio.

Il Codice del 1917 non conteneva alcun canone che disciplinasse tale fattispecie, che viene invece inserita nel Codice di diritto canonico del 1983 evidentemente sulla spinta di una rinnovata visione dell’istituto matrimoniale cominciata dal Concilio Vaticano II. La Costituzione pastorale Gaudium et spes, al n. 49 afferma appunto che il matrimonio è: “[…] atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell’amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell’amicizia coniugale. Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di sé stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio.[1].

Il Codice di diritto canonico quindi, recependo questa attenzione, per così dire, antropologica che il Concilio ha indicato, con il can. 1095 inserisce fra i possibili difetti del consenso matrimoniale, oltre che i casi di carenza di sufficiente uso della ragione e di grave difetto di discrezione di giudizio circa diritti e doveri essenziali derivanti dal matrimonio (di cui ai nn. 1 e 2), comprendendo anche l’incapacità per cause di natura psichica di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.

Analizzando quanto esposto dal n.3 del can. 1095 è doveroso fare chiarezza su alcuni punti essenziali. In primis che quando il legislatore parla di incapacità va a sottolineare che non è ammissibile come causa di nullità una mera difficoltà psicologica, come ricordava Giovanni Paolo II: “Per il canonista deve rimanere chiaro il principio che solo la incapacità e non già la difficoltà a prestare il consenso e a realizzare una vera comunità di vita e di amore, rende nullo il matrimonio.[2]. L’incapacità di cui al n. 3 del citato canone si configura, invece, come l’impossibilità psichica di assumere e adempiere le obbligazioni essenziali che l’istituto matrimoniale comporta. Tale incapacità nulla ha a che vedere con l’insufficiente uso della ragione tout court di cui invece al n. 1 dello stesso can. 1095, ma indica tutta quelle serie di problematiche psicologiche che intaccano la costituzione di una autentica relazione coniugale. Per obblighi essenziali, poi, non sono soltanto da intendersi i bona fidei, prolis e sacramenti. A questi si aggiungono anche la capacità di instaurare una autentica comunione di vita che abbia le caratteristiche dell’esclusività, della perpetuità ed apertura alla vita, il bonum coniugum (la mutua cooperazione che i coniugi attuano necessariamente nel consorzio matrimoniale basata sulla solidarietà e compartecipazione[3]); anche questi vanno a costituire la base della comunione essenziale tipica del matrimonio.

Per quanto riguarda il fattore psicologico “[…] la possibilità di assumere la realtà dinamica della comunione di vita e di amore coniugale, richiede, già al momento costitutivo delle nozze di “ciascuno dei contraenti” […] un chiaro vigore della facoltà volitiva e del dominio su se stesso e sulla conformità dei propri comportamenti e dei propri atti personali e interpersonali, con le esigenze dello stato coniugale, per poter efficacemente impegnarsi nell’attuazione degli obblighi matrimoniali essenziali, insiti nei beni essenziali del matrimonio, e nella sua ordinazione verso i suoi fini oggettivi[4]. Perché possa esserci reale incapacità e non mera difficoltà, il nubendo deve avere un oggettivo impedimento di natura psichica tale che non riesce a controllarlo con la propria facoltà volitiva, uniformando i propri atti all’onere che si sta assumendo. Le principali cause che agiscono sulla validità del consenso matrimoniale in ambito di incapacità psichica sono, ad esempio, l’incapacità di gestire le relazioni interpersonali, l’instabilità emotiva, immaturità psico-affettiva. L’accertamento di tali situazioni tocca al Tribunale ecclesiastico, valutando ogni singolo caso a mezzo di perizie psichiatriche e psicologiche.

Altro requisito fondamentale è quello dell’antecedenza. È da accertarsi che in uno o in entrambi i soggetti, antecedentemente alla celebrazione del matrimonio, sussistessero anomalie della sfera psichica di qualsiasi natura ed addirittura anche in forma latente che rendano, durante la vita coniugale, impossibile l’instaurarsi della relazione matrimoniale e l’assunzione degli obblighi coniugali che da esso naturalmente derivano. Un’incapacità sopravvenuta in momento successivo al matrimonio[5], infatti, non configurerebbe una valida causa di invalidità matrimoniale. Parte della dottrina[6] afferma che l’incapacità non sia un vizio del consenso, ma un requisito soggettivo che si presume all’atto del consenso matrimoniale, sebbene colpisca le obbligazioni derivanti dal matrimonio in facto esse, essendo ovviamente il matrimonio qualcosa che non si esaurisce con la sola celebrazione e consumazione, ma è estensibile alla vita degli sposi che vanno a costituire una famiglia.

A questo punto, resta da analizzare se possa distinguersi dalla capacità assoluta anche una c.d. capacità relativa. Se l’incapacità assoluta, infatti, rende impossibile al soggetto il contrarre matrimonio con chiunque (si pensi ad esempio a quanto previsto dal can. 1095 n. 1-2; o fuori dall’ambito psicologico casi di impotenza antecedente e perpetua o precedente vincolo matrimoniale), parte della dottrina e della giurisprudenza sono propensi ad ammettere l’esistenza di una incapacità relativa, in cui l’incapacità è riferita alla specifica persona del coniuge. Il matrimonio non viene celebrato in maniera, per così dire, astratta ma con una concreta persona. Il nubente sarebbe, quindi, incapace nei confronti dell’altra parte e nel caso specifico, mentre probabilmente non avrebbe la stessa problematica se contraesse matrimonio in circostanze differenti. L’incapacità si concretizza in questo matrimonio, fra questi coniugi. Ci si chiede, quindi, se è lecito negargli la possibilità di contrarre un matrimonio valido con altra persona, con la quale tale circostanza di incapacità non verrebbe a configurarsi? Tale tesi potrebbe essere supportata[7] anche dalla possibilità di applicare all’ incapacità coeundi per causa di natura psichica la fattispecie che si applica ex can. 1084 §1, riguardante l’impotenza relativa che rende ex ipsa eius natura nullo il matrimonio.

La dottrina e la giurisprudenza rotale maggioritaria, come si vedrà, tende a non ammettere la possibilità di annoverare fra le cause di nullità l’incapacità relativa, temendo che ciò possa portare nell’applicazione pratica ad una confusione fra incapacità psichica e incompatibilità di carattere tra i coniugi, spianando di fatto la strada alla possibilità di ammissione del divorzio nella Chiesa Cattolica.

Stankiewicz[8], Decano della Rota Romana dal 2004 al 2012, partendo dall’aspetto sacramentale del matrimonio e citando un’allocuzione alla Rota Romana di Papa Giovanni Paolo II[9] sottolineava come la buona riuscita del matrimonio dipenda dall’effettiva cooperazione dei coniugi alla grazia di Dio e che qualora questa comunione venisse a mancare, è la stessa grazia derivante dal Sacramento a riedificare l’unione tra i coniugi (gratia supponit naturam), che si impegnano ad una dedizione reciproca, rimandando chiaramente ad un processo di responsabilizzazione del singolo nubente e nel donarsi reciprocamente con l’impegno del mutuo perfezionamento, già insito nella vocazione matrimoniale.

Sottolineandosi che la giurisprudenza della Rota era unanime del non ammettere tale capo di nullità, non si manca di precisare[10] come esso venga tuttavia ammesso dai tribunali ecclesiastici locali, forzando l’interpretazione del canone nel senso di una equiparazione del fallimento del matrimonio alla sua nullità. Si ravvisa nel can. 1095 una problematica visione del consenso matrimoniale mutuata dalla materia contrattualistica, sottolineando come, in sede di redazione del canone, si parlò esplicitamente della regola contrattuale ad impossibilia nemo tenetur. Riprendendo la pericope del rito del matrimonio “nella salute e nella malattia, nella gioia e nel dolore”, si sottolinea come il matrimonio non può che identificarsi come una donazione radicale di sé all’altro e, quindi, irrevocabile in quanto non suscettibile di mutamenti della natura della persona, del momento storico della celebrazione del matrimonio come di quelli futuri, in quanto tutto ciò viene superato e trasceso dal matrimonio stesso. Sebbene dimostri di essere d’accordo con la spinta personalistica del Concilio Vaticano II, per tale dottrina i punti cardine dell’istituto matrimoniale restano le dottrine agostiniane e tomistiche.

In ambito giurisprudenziale del Tribunale Apostolico della Rota, favorevole all’ammissione dell’incapacità relativa fra le cause di ammissione della nullità è stato il Giudice Serrano, uditore del Tribunale della Rota dal 1970 al 2006, il quale partendo dal presupposto che il matrimonio è prima di tutto una relazione interpersonale e non un contratto, sostiene che è fondamentale analizzare la personalità dei coniugi nel reciproco rapporto.

  1. La sentenza rotale n. A. 22/2021 coram Arokiaraj

Nel caso concreto presentato al Tribunale della Rota Romana[11], D. (attore in causa) e M (convenuta), appartenenti alla Diocesi di Opole in Polonia, dopo essersi conosciuti ad una festa nel 1999 iniziano una frequentazione che culmina nel contrarre matrimonio nel 2004, da cui però non nascono figli. Su istanza del marito, però, dopo quattro anni di matrimonio, nel 2008 i coniugi si separano di fatto e nel 2009 ottengono il divorzio civile consensuale. Nello stesso 2009 l’uomo attenta nuovo matrimonio civile dal quale nasce un figlio, mentre la donna inizia una convivenza more uxorio.

Sempre su istanza del marito, nel 2014 viene presentato al Tribunale Ecclesiastico di Opole libello con il quale D. chiede la dichiarazione di nullità. M. si oppone a tali dichiarazioni, con lettera del 1° aprile 2014. Il Tribunale, con decreto del 21 agosto formula il dubbio di causa per il capo di incapacità di assumersi gli obblighi matrimoniali, imputabile ad entrambe le parti ex can. 1095 n.3. Udite le parti e i testimoni, acquisita perizia psicologica d’ufficio su ambo le parti, la sentenza del 3 ottobre 2014 dichiara la non accertata nullità matrimoniale.

L’attore, impugnando la sentenza di primo grado, il 7 ottobre presenta appello diretto al Tribunale della Rota Romana, chiedendo di riformare la sentenza di primo grado. Costituito il Turno rotale in data 4 ottobre 2018, il 14 novembre viene emesso decreto che stabilisce che la questione venga risolta in questo grado di giudizio sotto la formula generica: “An constet de matrimonii nullitate, in casu”. L’avvocato d’ufficio della parte attrice chiede una perizia suppletiva sulle parti, che però non può venire espletata per inerzia dell’attore; il Ponente, quindi, avendo avuto il votum del difensore del vincolo in data 20 Luglio 2020, stabilisce che la perizia di primo grado sia sufficiente ad esprimere giudizio e, pubblicati gli atti e celebrata la fase discussoria, i Giudici del Turno possono procedere al giudizio avendo sufficienti elementi.

Con sentenza definitiva del 17 febbraio 2021, i Giudici rispondono al quesito affermativamente, dichiarando che consta effettivamente della nullità del matrimonio. Ritengono, infatti, i Giudici che il motivo del fallimento del matrimonio sia ravvisabile non tanto nell’infedeltà del marito (su cui insisteva la sentenza di primo grado, da cui il giudizio negativo), quanto nell’incapacità di entrambe le parti.

 La perizia psicologia compiuta sulle parti evidenzia, infatti, una immaturità dei coniugi che li ha portati a non essere in grado di costituire una vita coniugale, non riuscendo ad aprirsi totalmente all’altro sul piano emotivo. Tutto ciò ha portato ad un circolo vizioso che ha allontanato reciprocamente sempre di più i coniugi.  In particolare, riguardo alla donna, la perizia evidenzia un carattere scarsamente introspettivo ed empatico verso l’altro, oltre che la totale incapacità di prendere decisioni autonome, incapacità di gestire lo stress derivante da situazioni di responsabilità: ciò viene ritenuto dai Giudici caratteristica essenziale per instaurare e coltivare una sana relazione coniugale. Difatti la donna, sempre stando alla perizia, presenta una tendenza a non sostenere il coniuge, oltre che a sminuirlo, situazione che le deriva dall’esperienza di vita familiare antecedente al matrimonio, essendo cresciuta in una famiglia composta da un padre dall’atteggiamento dispotico che si imponeva alla moglie e le altre figlie. Tutto ciò evidenzia da parte della donna l’incapacità di creare un sistema di comunicazione reciproco con il marito, impedendo in concreto di instaurare un vero e proprio consorzio matrimoniale.

Anche dalla perizia sull’uomo risultano problematiche legate alla sfera psichica: D. si presenta psichicamente ed affettivamente immaturo, egocentrico, dipendente dal sostegno ed approvazione altrui, tendente a creare relazioni interpersonali superficiali, anche nel campo di interazione uomo-donna. Il dissidio con la moglie, e soprattutto con la di lei famiglia emergono quando l’attore, che per un periodo aveva prestato lavoro di bracciante nei terreni di famiglia della donna, lascia questo lavoro per accettarne uno da autista, e si incrinano ulteriormente quando l’uomo decide di intraprendere gli studi di infermieristica, scelta che la famiglia della moglie non condivide. Essendo di indole immatura, l’attore ha subìto passivamente la volontà della famiglia della convenuta, cosa che ha generato, a detta del perito, un profondo stato di frustrazione sfociato nel comportamento freddo e distaccato dell’uomo nei confronti della donna e della sua famiglia, ancor prima della celebrazione del matrimonio. Tutto questo è stato confermato dai testimoni, a detta dei quali l’uomo era immaturo per il matrimonio. Anche sotto l’aspetto fisico, è da rilevarsi che l’uomo risulta affetto da una forma di criptorchidismo che lo rendeva insicuro nel rapporto col sesso opposto, tanto che per stessa ammissione della moglie tra loro sono intercorsi rapporti intimi solo per iniziativa di questa. L’uomo addirittura dichiara che la sua situazione lo portava ad uno stato di insuccesso tale con le donne da non credere di avere altra possibilità se non con la convenuta.

Alla luce di tutto questo, risulta evidente che la incapacità psichica rilevata da entrambe le parti, a detta dei Giudici, rende assolutamente impossibile la costituzione della comunione di vita alla base del matrimonio, e per questo è accoglibile la domanda di nullità ex can. 1095 n. 3: “Eo vel magis si consideretur, uti ratiocinati sumus, ex mutua indolum mendarum in unum coalitione  veram exsurrexisse in utraque parte incapacitatem instituendi ac ducendi vel minimum veri nominis iugale consortium. [12]

La causa psichica sottesa alla ratio del can. 1095 n.3 è da intendersi una forma di anomalia di gravità tale da rendere il soggetto inidoneo ad assumersi in forma concreta le obbligazioni derivanti dal vincolo matrimoniale. Secondo i Giudici, tale anomalia non è necessariamente da ricondurre ad una forma inscritta nella scienza medica, purché comunque sia diversa dalla mera difficoltà, ma che comunque fosse presente già da prima della manifestazione del consenso matrimoniale. Va inoltre dimostrato il nesso tra turba psichica e incapacità in ambito coniugale, rilevata per mezzo degli opportuni mezzi peritali.

Interessanti spunti di riflessione vengono dalla parte in iure della sentenza. Prima di tutto non è da confondere, come già ribadito, la mera incompatibilità di carattere con l’incapacità vera e propria. I Giudici tengono a sottolineare che l’incapacità non è una forma di difficoltà, ma qualcosa di qualitativamente differente. Mentre per la difficoltà è possibile avere una visione quantitativa, l’incapacità c’è o non c’è, tertium non datur. Tuttavia il Giudice non deve avere una visione per così dire atomistica dell’incapacità, ma nel rilevare la nullità deve tener conto di tutto un insieme di concause che possono aver prodotto tale stato alterato della psiche del soggetto. Sempre fermo il concetto della valutazione del singolo caso e dei soggetti coinvolti, non va trascurata la concorrenza di più cause interne, e non solo esterne, in capo al singolo o ad entrambi che vengono a creare una situazione matrimoniale viziata ancor prima della celebrazione del matrimonio.

Inoltre, una visione troppo ristretta e rigida dell’incapacità assoluta e relativa risulta, in un certo senso, poco aderente alla realtà del matrimonio. La capacità ad assumere gli oneri matrimoniali non può essere valutata in astratto, ma sempre tenendo presente la natura delle due persone che vanno a costituire la comunione matrimoniale, tanto più in sede processuale, essendo le parti in causa soggetti reali e non astratti elementi di un istituto giuridico. Riferendosi alla Gaudium et spes, i Giudici ribadiscono, inoltre, come il matrimonio sia una intima unione tra i coniugi basata sulla comunione di vita e d’amore; ma qualora uno o entrambi non riescano ad essere effettivamente capaci di creare una relazione reciproca paritaria e duale, tale presupposto al matrimonio viene inficiata, e di conseguenza la stessa validità matrimoniale risulta venir meno. Se questo è valido per i casi di impotenza relativa, di cui al can. 1084 §1, riferendosi alla relazione meramente fisica fra i coniugi, ai Giudici sembra ancor più pertinente applicare il concetto di relatività all’incapacità in ambito psicologico.

In merito alla questione delle prove, secondo i Giudici di fondamentale importanza per la valutazione è il criterio biografico che riguarda il contesto familiare e sociale nel quale le parti sono cresciute, l’educazione ed eventi particolari che possono aver avuto un peso sulla psiche del presunto incapace. Anche la relazione interpersonale intercorsa tra i futuri coniugi e in generale del singolo con altri soggetti deve essere oggetto di analisi. In base al can. 1678 §3 i Giudici per questo aspetto devono avvalersi della valutazione di esperti psicologi o psichiatri, tranne per i casi di assoluta evidenza della problematica, magari perché già patologicamente accertata o provata con altri mezzi. Tuttavia la perizia non è vincolante per il Giudice che, allorquando ravvisi discrepanze fra quanto rilevato dal perito e le vicende biografiche del soggetto, o qualora la perizia sia stata condotta superficialmente o male interpretando le prove, deve decidere in piena libertà, alla luce di una più ampia visione di tutti gli elementi della causa (ex can. 1579 §1).

In conclusione, la questione dell’esatta interpretazione ed ambito di applicazione del can. 1095 n. 3 CIC è argomento meritorio di approfondimento. Sebbene infatti l’apertura verso l’ammissibilità dell’incapacità relativa resti terreno di confronto sia in ambito dottrinale che giurisprudenziale, è innegabile che le tesi addotte a supporto dell’effettiva possibilità di ammetterla come causa di nullità del matrimonio siano pienamente fondate tanto nel diritto sostanziale quanto in una visione maggiormente antropologica dell’istituto matrimoniale.

 

[1] Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes del 7.12.1965.

[2] Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 5 febbraio 1987.

[3] Cfr. C. Izzi, Il bonum coniugum nel matrimonio canonico tra incapacità consensuale e riserva invalidante, prolusione per l’inaugurazione del CXXV anno giudiziario del Tribunale Ecclesiastico regionale Piemontese, Torino, 1.3.2014.

[4] A. Stankiewicz, Il senso della capacità di assumere di cui al can. 1095, 3°, in Discrezione di giudizio e capacità di assumere, XVI Convegno di studi, Pontificia Università della Santa Croce – Facoltà di Diritto Canonico, Roma, 26-27 Aprile 2012.

[5] M. F. Pompedda, Annotazioi circa la “incapacitas adsumendi onera coniugalia”, in Ius Canonicum, vol. 22-n.43, 1982.

[6] P. Pellegrino, L’incapacità di assumere le obbligazioni essenziali del matrimonio “ob causa naturae psychicae”, in Diritto e Religioni, Anno I, n. 1/2, 2006.

[7] P. Pellegrino, Ibidem.

[8] A. Stankiewicz, Il senso della capacità di assumere di cui al can. 1095, 3°, in Discrezione di giudizio e capacità di assumere, XVI Convegno di studi, Pontificia Università della Santa Croce – Facoltà di Diritto Canonico, Roma, 26-27 Aprile 2012.

[9] Giovanni Paolo II, Allocuzione alla Rota Romana, 4 febbraio 1980, in AAS 72 (1980).

[10] H. Franceschi, La struttura del canone 1095 e l’incapacità relativa, in Discrezione di giudizio e capacità di assumere, XVI Convegno di studi, Pontificia Università della Santa Croce – Facoltà di Diritto Canonico, Roma, 26-27 Aprile 2012.

[11] Coram Arokiaraj, sent. del 17.2.2021, Opolien., A. 22/2021. (Si ringrazia Mons. M. X. L. Arokiaraj, Ponente della causa, per aver concesso la sentenza).

[12] Trad.: “Tanto più se si considera, come abbiamo riflettuto, che dalla reciproca confluenza dei difetti di carattere di entrambe le parti sia derivata in ciascuna di esse una vera e propria incapacità di instaurare e condurre anche solo una minima comunione coniugale.”

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