giovedì, Aprile 18, 2024
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L’informativa ambientale

La Convenzione di Aarhus, con il fine di creare quella che oggi si può definire come “democrazia ambientale”, all’art. 1 sancisce i tre pilastri sui quali questa si fonda.
Essi sono:
1) Il diritto di accesso alle informazioni ambientali;
2) La partecipazione del pubblico ai processi decisionali;
3) L’accesso alla giustizia in materia ambientale.
Ciò su cui conviene porre l’attenzione è proprio il primo punto. Si tratta di un istituto che consente un trasferimento di conoscenza dalla P.A. ai cittadini, ossia quella che nella prassi prende il nome di “informativa ambientale”.
Essa consiste nella conoscibilità di tutte le informazioni circa lo stato dell’ambiente in tutte le sue accezioni, materie ed elementi.
Il legislatore, europeo e non, è spesso intervenuto: a partire dal 1990, quando, con la Direttiva 90/313 CE ha iniziato a disciplinare la trasparenza in materia ambientale. Poco dopo, con la Direttiva 2003/4 si è fatta chiarezza sulla disponibilità, sulla diffusione al pubblico, nonché  sul diritto ad ottenere informazioni ambientali riconosciuto a chiunque.
Il legislatore nazionale aveva colto l’importanza dell’istituto già dal 1986 con la legge n. 349 (ossia quella istitutiva del Ministero dell’Ambiente) che prevedeva l’obbligo di pubblicazione dei dati in possesso del Ministero affinché i privati potessero esserne informati.
Nel ’97, con il Decreto Legislativo n. 39 recepì la Direttiva n. 313, avallando l’idea che ci fosse una corretta e libera informazione del cittadino, ma limitatamente ai soggetti che possono tutelare situazioni giuridiche rilevanti.
Nel 2005, con il Decreto Legislativo n. 195 recepì, invece, la Direttiva n. 4 del 2003, indicando le modalità di accesso. In particolar modo, c’è da porre in rilievo l’espressione “qualunque informazione”, la quale sembra rappresentare il crocevia dello sviluppo dell’informativa ambientale; notando, infatti, un netto cambio di rotta rispetto a quanto era previsto con la legge n. 241 del 1990, con cui si faceva riferimento ai “soli documenti amministrativi”.
Con il Decreto Legislativo n. 152 del 2006 (meglio noto come codice dell’ambiente) è stato riconosciuto tale diritto a chiunque e la possibilità di diffusione da parte dell’ANCI.
In sostanza, è possibile affermare che il diritto di informazione ambientale ha svolto un ruolo di “apripista” rispetto al più generale diritto di accesso.
Con la Riforma Brunetta (D. Lgs. n. 150/2009), la trasparenza diventa un indicatore per la “performance”.
All’art. 1 comma 15 della legge n. 190 del 2012 (Legge Anticorruzione)  recita esattamente “Ai fini della presente legge, la trasparenza dell’attività amministrativa, che costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, secondo quanto previsto all’articolo 11 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, è assicurata mediante la pubblicazione, nei siti web istituzionali delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione, nel rispetto delle disposizioni in materia di segreto di Stato, di segreto d’ufficio e di protezione dei dati personali. Nei siti web istituzionali delle amministrazioni pubbliche sono pubblicati anche i relativi bilanci e conti consuntivi, nonché i costi unitari di realizzazione delle opere pubbliche e di produzione dei servizi erogati ai cittadini. Le informazioni sui costi sono pubblicate sulla base di uno schema tipo redatto dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, che ne cura altresì la raccolta e la pubblicazione nel proprio sito web istituzionale al fine di consentirne una agevole comparazione”. In pratica, la trasparenza costituisce il livello essenziale della prestazione.

L’evoluzione normativa porta all’emanazione del Decreto Legislativo n. 33 del 2013 (Decreto trasparenza) con il quale è stata prevista “l’accessibilità totale delle informazioni”, costituendo un vero e proprio diritto di accesso civico. Tra le varie finalità risalta quella di garanzia dei diritti soggettivi.
Solo recentemente, con la c. d. Legge Madia (legge n. 124 del 2015), si è riusciti a sancire il passaggio da un regime di “need to know” ad uno di “right to know”, nel senso che non vi è più un mero “bisogno” di conoscere, ma ormai esso si configura come “diritto” e viene riconosciuto come tale.
Ciò ha portato rapidamente (Decreto Legislativo n. 97 del 2016) alla “creazione” dell’istituto della FOIA (Freedom Of Information Act), il quale consente di accedere a dati (certezze matematiche) e documenti, cosa non certamente facile per l’amministrazione.

Insomma, l’informativa ambientale, o più generalmente il diritto di accesso, sono istituti cui il legislatore sta sempre più diffusamente ponendo in essere un’attività normativa. Ciò dimostra la sua particolare sensibilità alla materia: una sensibilità che sembra essere mossa da esigenze pratiche di non poco conto.

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