venerdì, Aprile 19, 2024
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L’interposizione di persona tra mandato e contratto simulato

1. Il dibattito sulla simulazione

È prassi diffusa attribuire al negozio giuridico simulato il connotato dell’apparenza. In questa prospettiva infatti si definisce “simulato” quel negozio giuridico apparente in quanto mancante dell’accordo tra le parti. Il contratto simulato è tale perché appare voluto, mentre in realtà è non voluto. Il contratto simulato diverrebbe, in questa prospettiva, espressione di un accordo che non c’è.

La concezione sin qui esposta ha, sin da subito, rappresentato terreno fertile per diverse teorie critiche. Particolarmente meritevole di apprezzamento è la critica di chi afferma che nel contratto simulato l’accordo è invece presente ed andrebbe individuato proprio sull’apparenza intenzionale del contratto stesso. La stipulazione di qualsivoglia contratto è infatti espressione di due o più volontà, le quali convergendo danno vita ad un accordo. Quanto detto non è privo di effetti in quanto, la presenza dell’accordo delle parti, scongiura la nullità del contratto.

Secondo un’ulteriore e diversa prospettazione, il requisito assente dovrebbe invece piuttosto essere identificato nella causa la quale verrebbe cancellata dal “contro accordo”, celato, sulla difformità tra dichiarato e voluto.

Se si pensa agli effetti della simulazione rispetto ai terzi, appare arduo che le tesi dell’assenza della causa o quella dell’assenza dell’accordo possano trovare accoglimento. La natura indefettibile tanto della causa quanto dell’accordo, entrambi richiesta a pena di nullità dall’art. 1418 comma 2, renderebbe per l’appunto nullo il contratto e per tal guisa inefficace. Ma così non è considerato che il contratto simulato è, come meglio si vedrà, pienamente efficace verso i terzi di buona fede. La legge prevede infatti che la simulazione non può essere opposta ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvi, tuttavia, gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione (1415).

È evidente dunque che la sola concezione dell’apparenza non è bastevole per descrivere un fenomeno così complesso. Sarebbe preferibile definire la simulazione come una fattispecie complessa identificandone l’essenza nella difformità, concordata e voluta, tra ciò che le parti dichiarano e ciò che in realtà vogliono, attribuendo al “voluto” un ruolo di primordine considerato che determinerà gli effetti della simulazione tra le parti. Le parti potrebbero sia volere che le rispettive situazioni giuridiche restino immutate od anche che vengano ad essere modificate seppur difformemente da quanto dichiarato.

2. La consapevole e concordata difformità tra dichiarato e voluto: le fattispecie simulatorie

La difformità tra dichiarato e voluto ben integra la fattispecie simulatoria ma non ne esaurisce l’ambito. Anche la riserva mentale, ad esempio, presuppone la difformità tra dichiarato e voluto. Il nostro ordinamento conosce infatti altre ipotesi di difformità tra voluto e dichiarato che sono però conseguenza di errore, dolo, violenza od incapacità. Ipotesi per le quali il legislatore ha predisposto una specifica e difforme disciplina normativa.

Nella simulazione la difformità tra dichiarato e voluto deve essere consapevole e concordata. Le parti infatti scientemente decidono di manifestare una volontà, al fine di renderla nota ai terzi e pedissequamente, con diverso e celato accordo, di precluderne gli effetti. Se le parti vogliono che la realtà sostanziale resti immutata, la simulazione sarà assoluta[1]. Qualora invece le parti vogliono modificare le proprie situazioni giuridiche soggettive concludendo, però, un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto “diverso e celato” (cd dissimulato), purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma; questa simulazione sarà relativa[2].

Indipendentemente dalla natura assoluta o relativa della fattispecie simulatoria, la circostanza che le parti vogliano altrimenti determinarsi (e non come invece apparentemente dichiarano nel contratto simulato) è dato certo. Ciò in ragione del fatto che il contratto simulato viene ad esistere col solo scopo di dar vita ad una finzione conoscibile ai terzi, per profittare degli effetti che ne derivano. Si pensi, secondo un esempio di scuola, all’alienante Tizio-debitore che vende a Caio-acquirente l’unico immobile di cui è proprietario, al solo scopo di evitare che il terzo Mevio-creditore possa forzosamente soddisfare sull’immobile la propria pretesa.

Non può certamente dirsi che l’accordo delle parti, nel caso de quo, possa identificarsi nelle rispettive volontà di alienare ed acquistare. Il contratto sinallagmatico che le parti pongono in essere è destinato a non produrre effetto alcuno tra le stesse.

Ulteriore precisazione merita però la fattispecie simulatoria relativa. Se è vero com’è vero che il contratto simulato è inidoneo a disciplinare i rapporti inter partes, stante la sua inefficacia ex art. 1414 comma 1 c.c.., è altrettanto vero chela fonte normativa idonea ad assolvere detto compito, dovrà necessariamente rinvenirsi nelle effettive intenzioni delle parti (rectius nell’accordo simulatorio). Dovrà, in altre parole, rinvenirsi nel “voluto” e non nel dichiarato. Si pensi a Tizio-debitore che stipula un contratto di donazione con Caio-donatario al solo fine di dissimulare una vendita per impedire che Mevio-creditore possa soddisfare le proprie pretese sul ricavato del negozio a titolo oneroso. A fortiori, il contratto dissimulato (compravendita) sarà efficace tra le parti purché rispettoso dei requisiti di forma e di sostanza previsti dalla legge per quella specifica tipologia contrattuale dissimulata.

Nella fattispecie simulatoria relativa, il negozio dissimulato può differire da quello simulato per una pluralità di ragioni. È possibile infatti che i due negozi differiscano per oggetto o causa del contratto ma anche per i soggetti contraenti. Si definisce soggettiva la simulazione (relativa) che riguarda i soggetti e oggettiva quella afferente l’oggetto o la causa del contratto.

S’è detto che queste ulteriori fattispecie (oggettiva e soggettiva) debbano riferirsi alla sola fattispecie simulatoria relativa e non anche a quella assoluta. Ciò in quanto nella simulazione assoluta non v’è, anzi non può esservi, difformità tra contratto simulato e contratto dissimulato. Nella fattispecie simulatoria assoluta le parti non vogliono in alcun modo modificare le proprie situazioni giuridiche soggettive e per tal guisa non v’è infatti alcun contratto dissimulato. Se il contratto dissimulato non esiste è tout court preclusa la possibilità che possa esservi difformità con quello simulato.

Il contratto dissimulato è, dunque, circoscritto alla sola fattispecie simulatoria relativa e non anche a quella assoluta che è caratterizzata dall’esistenza del solo accordo simulatorio, consistente, nel caso di specie, nell’accordo che il negozio simulato non debba produrre effetti. Di contenuto più ampio è invece l’accordo simulatorio nella simulazione relativa. Qui le parti, volendo innovare le proprie situazioni giuridiche soggettive, oltre a concordare la difformità tra quanto dichiarato e quanto voluto, convengono sulla necessità di dover stipulare il contratto dissimulato .Il discrimine tra accordo simulatorio e negozio dissimulato è dunque da rinvenire nel fatto che con l’accordo simulatorio le parti pattuiscono l’inefficacia totale o parziale del contratto senza prevedere la reale disciplina normativa dei loro rapporti che viene invece concordata con un eventuale negozio dissimulato.

Tra accordo simulatorio e negozio dissimulato v’è dunque la stessa differenza che c’è tra un qualsiasi contratto e il relativo accordo tra le parti. Come le parti di un contratto prima raggiungono un accordo e poi lo cristallizzano nel documento contrattuale, così le parti della simulazione devono in precedenza accordarsi su esso. L’accordo simulatorio è cronologicamente antecedente rispetto al negozio dissimulato e vi da origine (al negozio dissimulato), senza però confondersi con esso.

3. La simulazione soggettiva per interposizione fittizia di persona e l’interposizione reale. La sentenza n° 25587/2018 della Suprema Corte di Cassazione

La simulazione per interposizione fittizia di persona integra un’ipotesi di simulazione relativa soggettiva. Detta fattispecie simulatoria ricorre quando l’accordo simulatorio verte sull’attribuzione della qualità di parte negoziale ad un soggetto che non sarà destinatario degli effetti dello stesso, limitandosi semplicemente a prestare il proprio nome. Sinteticamente, i protagonisti di questa fattispecie simulatoria vogliono dar luogo ad una falsa rappresentazione dei soggetti del contratto. Così ad esempio se Tizio intende nascondere ai suoi creditori l’acquisto di un immobile, si accorderà con l’alienante Caio che nell’atto di acquisto risulti come acquirente il prestanome Sempronio. Nonostante la falsa rappresentazione dei soggetti del contratto, è Tizio che acquista effettivamente e si impegna a pagare il prezzo pattuito. Nella realtà tutti gli effetti del contratto ricadranno su di lui, unico e vero

Ci si chiede a questo punto che differenza intercorre tra la fattispecie simulatoria appena descritta ed il fenomeno della interposizione reale. Si pensi a Tizio che conferisce mandato senza rappresentanza a Caio per la stipula di un contratto di compravendita con l’alienante Sempronio. Analogamente alla fattispecie simulatoria, anche qui, il reale destinatario degli effetti del contratto sarà Tizio (mandante) seppur il contratto sia stato stipulato da Caio (mandatario senza potere di spendita del nome di Tizio). Detto altrimenti ciò che si verifica è niente di più che un contratto stipulato per conto altrui ma in nome proprio, senza cioè manifestare l’altruità dell’affare.

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte di Cassazione. I fatti di causa vedono un ex marito convenire in giudizio nel 2004 l’ex consorte chiedendo l’accertamento dell’interposizione fittizia della stessa, per mere ragioni di carattere fiscale, nella vendita relativa ad un bene immobile con le conseguenti dichiarazioni in ordine alla titolarità del diritto di proprietà. La signora, nel 2005, con autonoma domanda chiedeva allo stesso tribunale di accertare il suo diritto di proprietà e condannare l’ex marito alla restituzione della res immobile in suo favore. L’adito Tribunale di Torino, previa riunione delle cause connesse, dichiarava l’interposizione fittizia dell’ex moglie. Avverso la pronuncia del giudice delle prime cure veniva proposto appello. La Corte d’appello, confermando la decisione del giudice di primo grado, rigettava il gravame. Il giudice di appello rilevava che era rimasto provato in causa che anche la venditrice era consapevole dell’accordo tra gli ex coniugi in relazione all’intestazione fittizia del bene con riferimento alla scrittura privata sottoscritta da entrambi gli ex coniugi e ratificata dalla venditrice, inerente, per l’appunto, la (ritenuta) consapevolezza del venditore dell’interposizione fittizia. Nei confronti della sentenza di appello è stato proposto ricorso per Cassazione articolato in ben tredici motivi. La ricorrente, con la seconda censura (quella che a noi maggiormente interessa) ha lamentato che il giudice del gravame, nell’impugnata sentenza, non avrebbe dovuto dichiarare la simulazione sulla sola scorta dell’adesione della venditrice  all’accordo simulatorio ma avrebbe dovuto ritenere essenziale ed indispensabile la sussistenza di un’idonea prova scritta dell’adesione da parte della società venditrice e, quindi, ravvisare l’indispensabilità del raggiungimento di un accordo simulatorio trilaterale per farne discendere le conseguenze giuridiche proprie in ordine all’accertamento della titolarità dell’immobile in capo all’ex marito.

La Suprema Corte, cassando la sentenza, ha precisato in maniera adamantina che tale forma di interposizione (in cui, appunto, la parte sostanziale del negozio differisce dalla parte apparente) implica sempre un accordo simulatorio tra contraente apparente (o interposto), contraente reale (o interponente) e controparte (o terzo). Detto altrimenti tale fattispecie simulatoria rinviene il suo indefettibile presupposto nella trilateralità dell’accordo simulatorio. La partecipazione all’accordo simulatorio, infatti, non può essere limitata solo all’interponente e all’interposto ma deve necessariamente coinvolgere anche il terzo contraente, nel senso che questi deve dare – contestualmente od anche successivamente alla formazione di quell’intesa, purché antecedentemente o contestualmente al negozio simulato – la propria espressa adesione all’intesa raggiunta dai primi due soggetti. Questi deve essere consapevole della funzione meramente figurativa del contraente apparente e deve manifestare la volontà di assumere, nella realtà, gli obblighi ed i diritti contrattuali nei confronti non dell’interposto bensì dell’interponente.

Qualora il terzo sia all’oscuro degli accordi intercorsi tra interponente ed interposto o, pur conoscendoli, non v’abbia aderito, il negozio posto in essere tra terzo ed interposto non è inficiato da alcun contrasto tra volontà e dichiarazione e gli effetti si verificano soltanto tra i soggetti che ad esso hanno formalmente preso parte configurandosi l’ipotesi della rappresentanza indiretta. Sulla base di queste premesse ne consegue che, ai fini dell’accertamento della simulazione relativa soggettiva di un contratto, la prova dell’accordo simulatorio deve avere necessariamente ad oggetto anche la partecipazione ad esso del terzo e, poiché nei contratti relativi a trasferimenti immobiliari la prova del contratto diverso da quello apparentemente voluto deve essere data mediante atto scritto[3], dal documento contenente la “controdichiarazione” deve chiaramente evincersi la partecipazione all’accordo simulatorio non solo dall’interponente e dell’interposto, ma anche del terzo contraente. Stante l’essenzialità della partecipazione del terzo all’accordo – configurandosi diversamente la distinta ipotesi dell’interposizione reale – tale prova deve essere fornita, dunque, tanto nelle controversie insorte tra l’interponente e/o l’interposto ed il terzo, quanto nelle controversie che vedano i primi tra loro stessi contrapposti (ipotesi, quest’ultima, venutasi a verificare nel caso di specie).

In modo errato il giudice di appello ha ritenuto che, per accertare se il compratore è persona diversa da quella indicata in contratto, e’ indispensabile che l’accordo simulatorio risulti da atto scritto, cioè da controdichiarazione delle parti, mentre la controdichiarazione proveniente dall’alienante è irrilevante. In particolare, va osservato che, “ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1414 c.c. e sull’incontestabile presupposto che l’accordo simulatorio con la relativa controdichiarazione deve essere per l’appunto trilaterale, nel caso di specie ad entrambi i momenti negoziali avrebbero dovuto partecipare non solo le parti del contratto simulato ma anche il terzo alienante, il che avrebbe dovuto comportare che non poteva considerarsi sufficiente che quest’ultimo avesse espresso la consapevolezza di tanto posteriormente e che avesse manifestato la sua adesione – anche se in separata forma scritta – solo alla parte interposta.[4]

In definitiva la posizione della Suprema Corte, come di seguito fedelmente si riporta, è stata così massimata: Nella interposizione fittizia di persona la simulazione ha come indispensabile presupposto la partecipazione all’accordo simulatorio non solo dell’interposto e dell’interponente, ma anche del terzo contraente che deve dare la propria consapevole adesione all’intesa raggiunta tra i primi due soggetti assumendo i diritti e gli obblighi contrattuali nei confronti dell’interponente […]mentre resta del tutto inidonea ai fini suddetti – ove sia stata già raggiunta la prova della controdichiarazione conclusa tra il solo interponente e l’interposto l’acquisizione dell’ulteriore controdichiarazione integrativa scritta intercorsa, però, tra il solo interposto ed il terzo, al quale non abbia quindi partecipato anche l’interponente, da considerarsi terzo rispetto a tale scrittura, al quale non è, perciò, opponibile ai sensi dell’articolo 2704 c.c., in difetto di idonea prova contraria”.

La differenza con l’interposizione reale deve, dunque, essere identificata nella partecipazione all’accordo simulatorio di tutti i soggetti coinvolti (nel caso de quo alienante, interposto ed interponente). Nella interposizione reale, invece, il dominus (rectius interponente) non volendosi palesarsi come tale, conferisce all’interposto un vero e proprio mandato senza rappresentanza incaricandolo di stipulare per suo conto ma non in suo nome un determinato contratto. È evidente che il terzo contraente non partecipa all’accordo tra l’interposto e l’interponente, cosa che invece accade, anzi deve accadere, nell’accordo simulatorio. La fattispecie dell’interposizione reale si inquadra, infatti, nella rappresentanza indiretta: l’alienazione tra il terzo contraente e l’interposto è realmente voluta e v’è poi un altro negozio (mandato senza rappresentanza) tra l’interponente e l’interposto stipulante, in forza del quale l’interposto si impegna ad acquistare per conto dell’interponente e a trasferire a questi il bene acquistato per suo conto (ma non in suo nome).

4. Gli effetti della simulazione rispetto ai terzi ed i rapporti con i creditori

L’essenza della simulazione è certamente da identificare nella disciplina relativa agli effetti rispetto ai terzi (1415) e ai rapporti con i creditori (1416). L’intendo dei soggetti che prendono parte alla fattispecie simulatoria è evidentemente quello di manifestare ai terzi qualcosa che non è al fine di profittare degli effetti che ne derivano. L’animus simulandi persegue proprio questo fine.

 Seppur il concetto di “opponibilità” è tipico del lessico processuale, le norme de quo hanno certamente natura sostanziale. Afferiscono infatti alla regolamentazione dei rapporti sostanziali con i terzi. La posizione del terzo è quella dell’acquirente a non domino. A titolo di esempio, volendo far riferimento alla simulazione soggettiva, si pensi al sig. Rossi (terzo) che acquista l’immobile sito alla via Verdi dalla signora Bianchi (interposta per conto dell’interponente Tizio, vero dominus). Il sig. Rossi acquista da chi effettivamente proprietario non è essendosi la signora Bianchi limitata semplicemente a prestare il proprio nome. Ciononostante la simulazione non può essergli opposta. Infatti la simulazione, si legge, non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente. Si è già detto che l’essenza della fattispecie simulatoria è sintetizzabile nella massima “la realtà prevale sulla finzione” ma è doveroso circoscriverne l’ambito di operatività aggiungendo “tra le parti”. Al terzo acquirente non potrà infatti dirsi che il suo acquisto non è fatto salvo perché a non domino. Questi infatti non sapeva (rectius era in buona fede) che l’alienante fosse simulato. Non si vede come gli si possa muovere un rimprovero compromettendo la stabilità del suo affare. La tutela dei terzi incontra però un limite. Lo stesso art. 1415 prevede infatti che sono fatti “salvi gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione”. A norma dell’art. 2652 n.4 si devono trascrivere, agli effetti per ciascuna di essere previsti, le domande dirette all’accertamento della simulazione di atti soggetti a trascrizione. Detto adempimento tuttavia non “pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda”.Cruciale dunque è la cronologia delle rispettive trascrizioni. I diritti dei terzi, seppur in buona fede, sarebbero infatti pregiudicati dall’antecedente trascrizione della domanda giudiziale.

Un’ulteriore situazione da esaminare è quella dei terzi interessati a dedurre la simulazione (art. 1415 co.2). Questi infatti possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti. Si pensi a Tizio, creditore del simulato alienante Caio. Questi è evidentemente pregiudicato dalla vendita soggettivamente simulata considerato che il suo debitore ha apparentemente ridotto la garanzia patrimoniale rendendo così più complesso, magari non più possibile, il soddisfacimento della pretesa creditoria. È evidente l’interesse ad accertare che il predetto immobile è di fatto riconducibile alla titolarità del suo debitore. Costui è interessato a far valere la “realtà sulla finzione” ed è a tal fine legittimato ad agire in giudizio.

Analoghe a quelle considerate sono le situazioni che si riscontrano rispetto ai creditori del simulato acquirente. La simulazione infatti non può essere neppure opposta dai contraenti ai creditori del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che furono oggetto del contratto simulato (1416). Detto altrimenti le azioni esecutive, a tutela della pretesa creditoria, intraprese dai creditori del titolare apparente sono fatte salve a condizione che siano state intraprese in buona fede nonostante il bene oggetto della procedura esecutiva non sia di fatto di titolarità del debitore esecutato (in quanto simulato acquirente). Specularmente però i creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione in ragione del fatto che arreca loro un nocumento. Si è già precedentemente detto. Ciò evidentemente genera un “conflitto” tra creditori del simulato acquirente e del simulato alienante. Taluni hanno interesse a far permanere il bene nella sfera giuridica del simulato acquirente, talaltri no.

Nel conflitto con i creditori chirografari del simulato acquirente i creditori del simulato alienante sono preferiti se il loro credito è anteriore all’atto simulato. Se, invece, il credito è sorto successivamente all’atto simulato, nessuna tutela è accordata ai creditori del simulato alienante considerato che nel momento in cui l’obbligazione nacque non poterono fare affidamento sul bene oggetto del contratto simulato.

Qualora invece il conflitto sorga con i creditori non chirografari ma garantiti, si risolve in base alle regole che governano i rapporti tra le garanzie stesse.

 5. L’azione di simulazione: profili probatori

Con l’azione di simulazione si mira all’accertamento giudiziale dell’inefficacia del contratto simulato. Sono legittimati all’esercizio dell’azione tanto le parti quanto i terzi pregiudicati dalla fattispecie simulatoria. Le parti vi ricorrono per far emergere la reale disciplina dei loro rapporti giuridici, i terzi invece per porre rimedio ai pregiudizi derivanti dalla simulazione. Nel caso di una simulazione assoluta di una vendita posta in essere da un debitore al solo scopo di sottrarre la garanzia patrimoniale al suo creditore, questi avrà interesse ad accertare (a mezzo sentenza dichiarativa) preliminarmente che la res è nella titolarità del debitore per poi aggredirla forzosamente. Qualora si tratti di una simulazione relativa, con l’azione di simulazione non sarà possibile perseguire l’effetto di cui sopra. Un atto di disposizione v’è stato e per tal guisa non è possibile eliminarlo. Si pensi a Tizio che apparentemente dona a Caio un appezzamento di terreno al fine di simulare l’onerosità della vendita. L’interesse di Mevio creditore è comunque sussistente ma ha natura diversa. Questi non vuole eliminare l’atto di disposizione, neppure potrebbe, ma vuole riportare nuovamente la res immobile nella sfera giuridica del suo debitore al fine di soddisfare la propria pretesa creditoria sul ricavato della vendita. È evidente che debba farsi ricorso, sussistendone i requisiti previsti per legge, all’azione revocatoria (2901) in ragione del fatto che il suo interesse è la declaratoria di inefficacia dell’atto di disposizione del patrimonio col quale il debitore ha arrecato un pregiudizio alle sue ragioni.

L’azione di simulazione impone a colui che la esercita di dar prova della difformità tra dichiarato e voluto. Dedurre in giudizio la simulazione di un atto significa provare l’esistenza di un accordo simulatorio di contenuto contrario. La disciplina probatoria è variegata e quel che più rileva è che vi sia difformità di trattamento tra le parti ed i terzi.

Se la domanda di simulazione è proposta dai terzi o dai creditori, della simulazione può darsi prova per testimoni senza limiti. Questi hanno piena libertà probatoria potendo finanche far ricorso alle presunzioni. Si pensi al terzo creditore che sottopone al giudice la circostanza che tra coniugi abbia avuto luogo una donazione nell’imminenza della notificazione di un atto di precetto. Non deve destare perplessità la disciplina preclusiva dettata dall’art. 2722 c.c. in materia di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento. È pur vero che non può darsi prova per testimoni della circostanza che contemporaneamente alla formazione di un documento è stato stipulato un patto contrario ad esso ma è altrettanto vero che la prova per testi della simulazione ne costituisce una deroga. I motivi della deroga debbono identificarsi nella ratio dell’istituto (1417). Non avendo di norma accesso alla controdichiarazione, questi, in presenza di preclusioni in ordine alla prova per testi, mai riuscirebbero a dar prova della simulazione. Risulterebbero irreversibilmente compromessi i loro diritti. Né, per le stesse ragioni, potrebbe trovare applicazione la disciplina preclusiva dettata per gli atti la cui forma scritta sia richiesta ad probationem (2725).

Ben più preclusiva è invece la disciplina probatoria prevista per le parti. Esse infatti possono ricorrere alla prova per testi nell’ipotesi in cui sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato (1417). È da segnalare dottrina che rinviene la ragione della totale assenza di limiti nel caso in cui debba provarsi l’illiceità del contratto simulato nella particolare riprovazione del contratto illecito (contrario a norme imperative, ordine pubblico e/o buon costume). Di un simile contratto dannoso deve, al fine di favorirne l’eliminazione, potersi dar prova in ogni modo. Concetto di illiceità che non deve essere interpretato in maniera non restrittiva. La suprema Corte di Cassazione in una importante sentenza[5], ha avuto modo di affermare che il concetto di illiceità espresso nell’articolo 1417 c.c. non deve essere inteso in senso lato, tale da ricomprendere, accanto alla illiceità vera e propria, anche la semplice illegalità: la nullità per mancato assolvimento di un onere. Così ragionando, sostenne la Corte, si disconosce la differenza importantissima che corre fra contratto nullo perché illecito e contratto nullo perché incompleto, e si pone in ombra la maggiore offensività del primo, la quale soltanto giustifica la reazione dell’ordinamento disegnata nell’art. 1417 c.c.

Le parti possono comunque ricorrere ai mezzi probatori aventi efficacia legale od anche, rappresentando ciò una palese deroga, alla prova per testi nell’unica e tassativa ipotesi, ammessa dall’art. 2725 c.c., in cui abbiano senza loro colpa perduto il documento che gli forniva la prova (2724 n.3)[6].

6. La prescrizione dell’azione di simulazione: l’ordinanza n°125/2019 Cass. civ., sez, II

Con riferimento alla prescrizione dell’azione di simulazione è necessario distinguere la simulazione assoluta da quella relativa. Nella prima l’azione sarebbe imprescrittibile poiché si mira semplicemente a far dichiarare l’inesistenza di qualsiasi mutamento della realtà giuridica preesistente al negozio simulato. Chi decide di esercitare l’azione di simulazione al fine di far accertare una simulazione assoluta, non vuole infatti far emergere alcun “reale mutamento” al fine di potersene avvantaggiare. Per precisione, neppure potrebbe perché mutamento non v’è stato.

Nella seconda invece l’azione si prescriverebbe nel termine ordinario di dieci anni a decorrere dalla data di stipulazione del contratto simulato, tenendo sempre in debita considerazione i termini di prescrizione  dettati per i diritti nascenti dal negozio dissimulato che ben potrebbero, se decorsi, vanificare l’esercizio dell’azione di simulazione. La fissazione di detto termine, a differenza di quanto accade nella simulazione assoluta, è da rinvenirsi nella circostanza che con l’esercizio dell’azione di simulazione relativa il legittimato mira a far emergere un mutamento della realtà al fine di avvantaggiarsi degli effetti che ne deriverebbero. L’attore infatti non si limita a chiedere una semplice declaratoria iuris ma agisce allo scopo di realizzare gli effetti derivanti dal contratto dissimulato.

Quanto detto non basta ad esaurire la disciplina in materia di prescrizione. Non è bastevole distinguere la simulazione assoluta da quella relativa. Potrebbe infatti accadere che, nell’ipotesi di una simulazione relativa, il soggetto legittimato all’esercizio dell’azione di simulazione voglia veder dichiarata tanto la natura simulata del negozio apparente (perché non voluto) ma anche di quello dissimulato perché nullo (manchi ad esempio della forma ad substantiam richiesta dalla legge a pena di nullità). Nel caso de quo l’azione non è tesa, pur non trattandosi di simulazione assoluta, a far valere una simulazione relativa, poiché nessuna pretesa viene nutrita sulla base del negozio dissimulato del quale, anzi, si invoca la nullità[7]. Qualora, dunque, l’azione di simulazione miri a far valere tanto la nullità del negozio simulato quanto quella del dissimulato deve ritenersi imprescrittibile al pari dell’azione volta alla declaratoria iuris della simulazione assoluta. L’imprescrittibilità di essa discende dal combinato disposto degli artt. 1414 e 1422 c.c.. “dato che in tal caso è irrilevante la distinzione tra simulazione assoluta e relativa, essendo l’azione volta ad accertare che né il  contratto simulato, né il contratto dissimulato producevano effetto tra le parti”[8].

Allorquando, quindi, nonostante si prospetti l’esistenza di un negozio dissimulato celato sotto quello che appare, si invochi l’inefficacia dello stesso, “l’azione non è tesa a far valere una simulazione relativa […], anzi, si invoca la nullità, e non è soggetta, perciò, a prescrizione”[9].

[1]Art. 1414 comma 1 cod. civ. “Il contratto simulato non produce effetto tra le parti”. La disposizione fa infatti riferimento a quel contratto simulato accompagnato da un diverso accordo, separato e segreto, con il  quale le parti pattuiscono di rendere integralmente inefficace il contratto simulato. La dottrina si è spesso interrogata sulla possibilità che la simulazione assoluta comporti, anziché l’inefficacia, la nullità del contratto simulato, in conseguenza del difetto del requisito dell’accordo delle parti, richiesto dalla legge a pena di nullità. Sembra preferibile discorrere di inefficacia in quanto la fattispecie simulatoria non integra di per sé un’irregolarità. Il contratto simulato è infatti corredato di tutti i suoi elementi richiesti dalla legge a pena di nullità. Sono le parti che, con separato e segreto accordo, concordano di renderlo inidoneo alla produzione di effetti. Fenomeno assimilabile all’apposizione di una clausola negoziale.

[2]Art. 1414 comma 2 cod. civ. “Se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.” La disposizione fa riferimento a quel contratto simulato accompagnato da un diverso accordo, separato e segreto, con il quale le parti pattuiscono che assuma rilevanza un diverso negozio giuridico. A differenza di quanto accade nella simulazione assoluta (dove l’accordo simulatorio rende integralmente inefficace quello simulato senza dettare una disciplina per i rapporti inter partes), nella fattispecie simulatoria relativa, invece, l’accordo simulatorio si trasfonde nel negozio dissimulato che disciplina de plano i rapporti inter partes. Tuttavia, affinché il contratto dissimulato possa produrre i suoi effetti, è richiesto che abbia i requisiti di forma e di sostanza che la legge impone per quella tipologia contrattuale che il negozio dissimulato si propone di integrare. Così ad esempio se le parti simulano una donazione, dissimulando un contratto di compravendita, quest’ultimo (contratto dissimulato di compravendita) deve avere il requisito delle forma scritta così come imposto dall’art.  1350 cod. civ., al fine di scongiurare la più grave “sanzione” della nullità. Occorre però interrogarsi su ciò che accade allorquando l’atto simulato debba, per legge, avere i caratteri dell’atto pubblico. E’ evidente che in tal caso la “volontà occultata” perderebbe questo connotato dovendo essere espressamente manifestata al notaio. In ragione di ciò si ritiene semplicemente che l’atto simulato debba avere esso stesso i requisiti richiesti ad substantiam per il contratto dissimulato.

[3]Cfr., ex multis, Cass. n. 17389/2011 e Cass. n. 7537/2017.

[4]Cfr. Cass. n.25587/2018.

[5]Cfr. Cass. 26 aprile 1969, n. 1361.

[6]Cfr. Cass., Sezione II, 6 maggio 2002, n. 6480. “Nell’ipotesi di simulazione relativa per  interposizione fittizia di persona riguardante contratto per il quale sia necessaria la forma scritta ad substantiam, quale una compravendita immobiliare, nel conflitto tra preteso compratore apparente ed acquirente effettivo, partecipe dell’accordo simulatorio e perciò parte del contratto, la prova della simulazione, traducendosi nella dimostrazione del presunto negozio dissimulato, può essere data solo a mezzo di atto scritto, e cioè con un documento contenente la controdichiarazione sottoscritta dalla parte contro cui sia prodotto in giudizio, salva la prova testimoniale per la sola ipotesi di perdita incolpevole del documento, ai sensi dell’art. 2724, n. 3, c.c., che comprende anche l’ipotesi della perdita avvenuta ad opera di un terzo consegnatario del medesimo documento, dovendo sempre la mancanza di colpa riferirsi al contraente che invoca il contenuto del documento e non al comportamento del terzo che lo abbia smarrito”.

[7]Cfr. Cass. civ. n°125/2019.

[8]Cfr. Cass. civ. n°231/1970.

[9] Cfr. Cass. civ. n°125/2019.

Piermassimo Arcangelo

Piermassimo Arcangelo è nato a Cariati (CS) e vive a Catanzaro. Dopo aver conseguito la maturità scientifica si iscrive presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli studi Magna Graecia di Catanzaro dove si laurea con voti 110 con lode e menzione speciale alla carriera. Amante del diritto in tutte le sue declinazioni, si occupa prevalentemente di diritto civile, processuale civile, commerciale, diritto di famiglia e successioni. Attivo in politica da diversi anni, ama la sua terra ed i viaggi. Email: arcangelopiermassimo@libero.it

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