L’intestazione di immobile sotto nome altrui
L’intestazione di immobile sotto nome altrui indica l’ipotesi in cui un soggetto acquista un immobile o un diritto, diventandone titolare, mentre il denaro necessario per l’acquisto è fornito da un altro[1]. Chi fornisce il denaro è, molto spesso, un genitore di chi acquista il relativo diritto sull’immobile.
Ebbene, quando un soggetto – contestualmente e senza che risulti all’atto di vendita – consegni direttamente il danaro che servirà a pagare il prezzo d’acquisto dell’immobile, ci si trova di fronte all’alternativa di riconoscere l’esistenza di una donazione diretta di denaro, e quindi se non di modico valore dedurne la nullità per difetto di forma, oppure di far salva la validità dell’accordo, configurando la vendita come donazione indiretta[2].
Lo schema dell’intestazione di immobile in nome altrui può realizzarsi, oltre che attraverso una dazione manuale di denaro occorrente per pagare il prezzo acquistato in nome proprio dal donatario, anche attraverso pagamento diretto al terzo venditore ai sensi dell’art. 1180 c.c. (adempimento del debito altrui), oppure di intestazione ad altri di un immobile acquistato dal donante, attraverso la forma della spendita del nome altrui abbinata al pagamento del prezzo di tasca propria o nella forma del contratto a favore di terzo[3]. Ad analogo risultato si giunge anche nell’ipotesi che il pagamento sia effettuato dal disponente nella veste di mandatario, di gestore o in genere di rappresentante, che solo dopo rinunci a titolo di liberalità alla ripetizione di quanto pagato.
Ipotesi abbastanza comune è anche quella in cui il promissario stipuli un contratto definitivo di compravendita, successivamente sostituendo a sé un terzo nella conclusione del contratto definitivo, con esborso del prezzo effettuato dal gratificante stesso.
Si ponga ora l’attenzione al delicato equilibrio dei rapporti che si ingenerano nella vicenda circolatoria quando viene in considerazione un altro soggetto, il terzo acquirente che viene ad acquistare l’immobile donato dal genitore (in veste di donante) al figlio (donatario) provvedendo all’esborso del prezzo, senza esplicitare l’expressio causae nell’atto d’acquisto e, successivamente, il figlio beneficiario vende l’immobile ad un terzo acquirente: qui la posizione del terzo cambia radicalmente rispetto ad una donazione diretta o formale.
Si tenga presente che in presenza di una donazione diretta tutti i terzi acquirenti dell’immobile (donato) sono legalmente avvertiti che – entro dieci anni dall’apertura della successione del donante ovvero, secondo la riformata disciplina, entro venti anni dalla trascrizione della donazione, senza che sia stata proposta opposizione – sussiste la possibilità in capo ai legittimari di esercitare in giudizio l’azione di riduzione per reintegrare la loro quota di legittima lesa per effetto della donazione (artt. 2652, n. 8, 2690, n. 5, c.c.).
Ai terzi acquirenti, quindi, rispetto alle donazioni dirette è garantita una conoscibilità legale del trasferimento donativo, idonea ad escludere una loro presunta buona fede.
Viene così ad escludersi ab origine che il terzo possa trovarsi in buona fede rispetto ad una donazione diretta; in particolare, la conoscibilità legale è garantita attraverso la consultazione periodica della tenuta dei Registri Immobiliari[4].
Se gli effetti dell’azione di riduzione sulle donazioni indirette (esperita dal legittimario leso nella sua quota legittima) fossero gli stessi effetti tipici che la medesima azione produce nei confronti delle donazioni dirette, il terzo avente causa dal donatario indiretto sarebbe esposto alle stesse conseguenze negative alle quali è esposto il terzo avente causa dal donatario diretto, con la grave differenza, però, che il primo non sarebbe in grado di constatare la pericolosità del suo acquisto attraverso la verifica della continuità delle trascrizioni e quindi dell’assenza di eventuali titoli donativi pregressi.
Né, tantomeno, è consentito sapere attraverso la consultazione dei Registri Immobiliari che nella catena antecedente il proprio acquisto vi è un titolo suscettibile di venir meno con proprio pregiudizio: si assisterebbe, in pratica, ad una differenziazione di tutela sotto il profilo della pubblicità[5].
Dunque, i terzi non hanno alcun modo per venire a conoscenza di pregresse liberalità atipiche che restano generalmente confinate nei rapporti interni; la pubblicità è data al negozio mezzo e non al negozio fine.
Pertanto, una applicazione indiscriminata del principio resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis andrebbe a travolgere la buona fede del terzo e ad incrinare il principio di certezza dei traffici giuridici.
Appare chiaro allora che se la presenza di una donazione diretta nella vicenda di un immobile ne rende complicata la vendita (o la sua sottoposizione ad ipoteca) a causa del timore dell’acquirente (o della banca mutuante) che il bene possa essere oggetto di una controversia ereditaria con conseguente potenziale attivazione in giudizio dei rimedi restitutori “reali” da parte dei legittimari vittoriosi in riduzione, il problema della sicurezza della circolazione giuridica degli immobili donati non si pone affatto nel caso delle liberalità indirette.
La Sentenza della Suprema Corte del 12 maggio 2010, n. 11496[6], inaugurando un nuovo corso giurisprudenziale, rileva come conseguenza che in questi casi né il donatario indiretto, né il terzo acquirente dal donatario, avranno nulla da temere in ordine alla stabilità del loro acquisto che sorge inizialmente in capo al donatario, poi, in caso di successiva alienazione, in capo al terzo.
È proprio questa la rilevante conseguenza della sentenza sopra citata la cui controversia posta alla attenzione della Corte aveva ad oggetto una donazione indiretta di immobile realizzata mediante l’acquisto del bene con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto che il disponente stesso aveva inteso in tal modo beneficiare.
In questa fattispecie, gli Ermellini esprimono un principio generale secondo il quale l’azione di riduzione nelle liberalità indirette non mette in discussione la titolarità del bene donato (l’immobile) mancando, per tali fattispecie, il meccanismo di recupero reale del bene che è invece tipico delle donazioni dirette.
Tale principio si applica non solo nei confronti dei terzi aventi causa dal beneficiario, ma anche contro lo stesso donatario indiretto che al momento dell’apertura della successione non abbia alienato l’immobile a successivi acquirenti. Le ragioni del legittimario leso saranno garantite attraverso le modalità tipiche del diritto di credito in modo da recuperare in danaro il valore dell’investimento finanziato con la donazione indiretta (quest’ultima attuata con la compravendita dell’immobile).
In conclusione, la risposta offerta dalla Suprema Corte risiede nella netta presa di posizione a tutela dell’affidamento nella libera circolazione della ricchezza (nella fattispecie, degli immobili di provenienza donativa) e della sicurezza dei traffici giuridici, privilegiando quelle istanze sociali che da diversi anni a questa parte hanno portato ad un ripensamento in termini generali del sistema di tutele del legittimario e che hanno condotto ad alcune modifiche delle norme del codice civile[7].
Dott.ssa Vincenza D’Angelo
[1] V. CAREDDA, Le liberalità diverse dalla donazione, Torino, 1996, p. 178.
[2] A. PALAZZO, Atti gratuiti e donazioni, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, 2000, p. 366.
[3] L. MENGONI, Successioni per causa di morte, Successione necessaria, Successione per causa di morte. Parte speciale, Successione necessaria, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, 4ª ed., XLII, t. II, Milano, 2000, p. 206.
[4] Inoltre, qualora sia stata proposta opposizione alla donazione (di immobile), la notifica dell’atto serve ad evitare l’onere per il donatario di consultare periodicamente i Registri Immobiliari con la specificità di aver reso conoscibile al terzo, anche per questa via, il vincolo gravante sul bene a causa del potenziale esercizio dell’azione di restituzione.
[5] Cfr. F. ALCARO, Le donazioni indirette, in Vita Notarile, 2001, 3, p. 1069.
[6] Tale impostazione della Cassazione è stata fatta propria anche dal Trib. Roma, sez. VIII, 30 maggio 2011, n. 11645, in Notariato 2012, 4, p. 381 ss.
[7] Il riferimento va alle modifiche introdotte dalla l. 14 maggio 2005, n. 80 agli artt. 561 e 563 e, inoltre all’introduzione dell’istituto del patto di famiglia (l. 14 febbraio 2006, n. 55).
Vincenza ha conseguito a pieni voti la Laurea magistrale in Giurisprudenza nel 2016 presso l’Università degli Studi “Roma Tre”, discutendo una Tesi in Diritto delle Successioni dal titolo “Liberalità indirette e tutela dei legittimari”. Ha svolto la pratica forense e collaborato proficuamente negli studi legali nell’ambito del diritto civile, occupandosi prevalentemente di contenzioso. Nel 2021 ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della Professione forense.
Contatti: vincenzadangelo@yahoo.it