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L’inversione dell’onere della prova in materia di diritto della concorrenza e di tutela del consumatore

Il Decreto legislativo 19 gennaio 2017, n. 3 (entrato in vigore il 03/02/2017) ha introdotto una disciplina tanto sostanziale quanto processuale relativa alla tutela risarcitoria in caso di violazioni realizzate in materia di diritto della concorrenza.

Il Decreto si pone «in attuazione della direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 novembre 2014, relativa a determinate norme che regolano le azioni per il risarcimento del danno ai sensi del diritto nazionale per violazioni delle disposizioni del diritto della concorrenza degli Stati membri e dell’Unione europea».

È doveroso inoltre puntualizzare che anche la Corte di Cassazione si era pronunciata sulla questione, precisamente con la sentenza 28 maggio 2014, n. 11904: la Corte aveva modo di sottolineare come «laddove l’Autorità garante della concorrenza e del mercato abbia sanzionato un’impresa (nella specie, assicuratrice) per aver partecipato a un’intesa restrittiva della concorrenza, il consumatore che promuova azione per il risarcimento del danno assolve l’onere probatorio a suo carico con la produzione del provvedimento sanzionatorio (cui va riconosciuta elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale quanto l’astratta idoneità della stessa a procurare un danno ai consumatori, con conseguente presunzione di danno per la generalità dei consumatori, in cui è ricompreso il danno subito dal singolo) e del contratto con l’impresa (nella specie, polizza assicurativa), mentre compete a quest’ultima dimostrare l’interruzione del nesso causale tra illecito antitrust e danno patito tanto dalla generalità dei consumatori, quanto dal singolo; accertata l’esistenza di un danno risarcibile, il giudice può procedere in via equitativa alla relativa liquidazione (nella specie, determinando l’importo risarcitorio in una percentuale del premio pagato)».

Spettando al convenuto di dover dimostrare come, sia generalmente che nel caso di specie, non si fosse in presenza di un danno risarcibile, la Cassazione aveva modo di dar vita a due fondamentali corollari: da un lato, un vero e proprio capovolgimento dell’onere probatorio e, dall’altro, il superamento del principio dell’autonomia del giudizio civile rispetto ai provvedimenti amministrativi.

Prima di addentrarci nell’analisi dell’articolo 7 del Decreto legislativo (che costituisce il cardine della normativa e che riproduce tanto il disposto dalla Corte quanto la direttiva UE), si riassumano molto brevemente le linee generali.

Le disposizioni generali (articoli 1 e 2) si occupano in primo luogo di individuare i soggetti che possono assumere la qualità di danneggiato e di indicare le voci di danno che possono formare oggetto di risarcimento; l’articolo 2 in particolare ha la premura di procedere ad una specificazione delle diverse definizioni che interessano la materia in esame.

L’articolo 1 statuisce invero che:

«1. Il presente decreto disciplina, anche con riferimento alle azioni collettive di cui all’articolo 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il diritto al risarcimento in favore di chiunque ha subito un danno a causa di una violazione del diritto della concorrenza da parte di un’impresa o di un’associazione di imprese.

2. Il risarcimento comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi e non determina sovracompensazioni».

Gli articoli successivi (precisamente dall’articolo 3 all’articolo 6) si dedicano invece all’ordine di esibizione delle prove, che può essere emesso dal giudice nei confronti delle parti e di terzi, e che nel caso di specie vuol porre un freno alla c.d. asimmetria informativa permettendo all’attore l’ottenimento di elementi generalmente di difficile acquisizione.

Si giunga quindi al già citato articolo 7.

Si riporti necessariamente il testo integrale della disposizione, rubricata «Effetti delle decisioni dell’autorita’ garante della concorrenza»:

«1. Ai fini dell’azione per il risarcimento del danno si ritiene definitivamente accertata, nei confronti dell’autore, la violazione del diritto della concorrenza constatata da una decisione dell’autorita’ garante della concorrenza e del mercato di cui all’articolo 10 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, non piu’ soggetta ad impugnazione davanti al giudice del ricorso, o da una sentenza del giudice del ricorso passata in giudicato. Il sindacato del giudice del ricorso comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilita’, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimita’ della decisione medesima. Quanto previsto al primo periodo riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, ma non il nesso di causalita’ e l’esistenza del danno.

2. La decisione definitiva con cui una autorita’ nazionale garante della concorrenza o il giudice del ricorso di altro Stato membro accerta una violazione del diritto della concorrenza costituisce prova, nei confronti dell’autore, della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile insieme ad altre prove.

3. Le disposizioni del presente articolo lasciano impregiudicati le facolta’ e gli obblighi del giudice ai sensi dell’articolo 267 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea».

Il punto, come precedentemente accennato, su cui pare opportuno soffermarsi ricade nella possibilità, per il consumatore, di utilizzare il provvedimento dell’Autorità come prova della condotta illecita tenuta nei suoi confronti.

Il suo beneficio consisterà allora non solo negli accertamenti ispettivi compiuti dall’Autorità e che di norma il soggetto stesso non sarebbe in grado di realizzare, ma anche e soprattutto nell’inversione dell’onere probatorio.

Pertanto si può sottolineare come, pur essendo vero che il risultato dell’azione dell’Autorità non è direttamente rivolto al consumatore, lo è però assolutamente in caso di azione risarcitoria esperita da quest’ultimo.

Da ciò si può allora ricavare una considerazione conclusiva e cioè che l’intento del legislatore appare quello di avvicinare l’ordinamento ad una normativa che si concentri sulle azioni dei privati, in modo da realizzare una politica volta a scoraggiare comportamenti a danno dei consumatori medesimi; in tal modo si perseguirebbe un intento riparatorio e al contempo si cercherebbe di ripristinare l’equilibrio di mercato.

Marco Limone

Marco Limone nasce nel 1994 ad Atripalda (AV). Consegue il diploma di maturità con votazione 100/100 presso il Liceo Scientifico P.S. Mancini di Avellino. Da sempre bravo in matematica, decide di non rinnegare le sue vere inclinazioni e ha frequentato, dal 2012, il Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università Federico II di Napoli. In data 07/07/2017 conclude il percorso universitario con votazione 110/110 e lode, discutendo una tesi in diritto processuale civile dal titolo "I profili processuali della tutela della parte nel contratto preliminare". Iscrittosi, infatti, sognando il “mito americano” della criminologia e del diritto penale, durante il suo percorso si scopre più vicino al diritto civile e alla relativa procedura, anche se, per carattere, affronta con passione qualsiasi sfida si presenti sul suo cammino. Fortemente determinato e deciso nel portare avanti le sue idee e i suoi valori, toglietegli tutto ma non la musica. E le serie tv e il fantacalcio, ma quella è un’altra storia... mar.limone1994@gmail.com https://www.linkedin.com/in/marco-limone-19940110a/

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