venerdì, Marzo 29, 2024
Di Robusta Costituzione

L’invio di armi all’Ucraina: perché non è contradditorio (e incostituzionale) in uno stato che dice di “ripudiare la guerra”

L’invio di armi all’Ucraina: perché non è contradditorio (e incostituzionale) in uno stato che dice di “ripudiare la guerra” (ex. art.11 Cost.)

 

1.

Le dolorose immagini di guerra che ci giungono dall’Ucraina ci portano ad un primo pensiero, ad un primo auspicio di carattere umano che l’invasione militare russa iniziata il 22 febbraio del 2022 sotto la formula di “operazione militare speciale”, finisca al più presto e con sé il conto delle sue vittime a cui si spera venga restituita “vita”.

Fatta questa premessa, non di rito, l’opportunità di un argomento dal carattere divulgativo si apre con riguardo ad alcune decisioni che le massime cariche istituzionali nostrane (e oltre) hanno disposto sul piano diplomatico-costituzionale, nei rapporti con l’Ucraina. La principale, che è parsa spaccare l’opinione pubblica e nondimeno aprire una frattura nella maggioranza di governo[1], è stata la scelta di inviare mezzi e materiali militari di “equipaggiamento e protezione” al popolo ucraino.

Sul punto va registrata un’escalation di provvedimenti, ancora resistente, che parte dal primo decreto legge n.14/2022 approvato dal Governo, che prevedeva l’invio di “mezzi e materiali di equipaggiamento militari non letali di protezione”, e prosegue con il secondo, il n. 16/2022, che autorizza “la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore della autorità governativa dell’Ucraina in deroga alle disposizioni di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185” (legge che vieta “l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso i Paesi in stato di conflitto armato” ex. art. 1, c. 6, lettera a)[2].

Al di là delle opinioni in merito, tra chi ritiene che la resistenza verso l’aggressore si possa vincere necessariamente con le armi, e chi sostiene che “la solidarietà non può essere armata, e sbugiarda un paragone tra la decisione italiana di fornire armi all’Ucraina, e gli aiuti ricevuti dai nostri partigiani per combattere il fascismo, avvenuti all’interno di uno scenario di guerra dichiarata[3]”, ai fini scientifici la misura va impattando sulla portata dell’art.11 della Costituzione, il quale accoglie il noto principio del ripudio della guerra.

Come buon studio della Costituzione vuole, però, è insufficiente fermarsi alle lettura di tipo formale della nostra Carta. Da questa bisogna partire, ma dopo avere inquadrato l’articolo nel suo corretto significato, è opportuno accertare se una sua applicazione di tipo sostanziale, meno ligia alla formulazione letterale, non sia da inserire nei contorni di legittimità.

Tutto questo lo si introduca con l’interesse ad evitare di poter dire, che l’assistenza militare che il nostro Paese sta continuando a fornire all’Ucraina, sia incostituzionale sulla sola base del fatto che “l’Italia ripudia la guerra”, enunciato che in ogni caso sarebbe madornale considerare di poco conto.

 

2.

Un primo passo da compiere per capire la portata dell’art.11 Cost. è avere ben chiaro che cosa il nostro Costituente intendesse con il principio del ripudio della guerra (primo comma), e con quello limitativo della sovranità nazionale in favore dell’adesione alle organizzazioni sovranazionali che da lì a poco sarebbero state costituite (secondo comma)[4].

Il dibattito che animava le sedute attorno all’art.11 Cost. partiva da un trade union che vedeva i padri costituenti d’accordo: quello di mettere il principio pacifista a Costituzione. Il fascismo lasciava infatti ferite ancora aperte, e la messa in nero su bianco di un obiettivo di pace, rappresentava da questo punto di vista uno dei tanti rovesciamenti in positivo in un clima di necessaria fiducia per una condivisa opzione pacifista[5].

Si tratta d’altra parte di una previsione di non assoluta novità nel quadro comparatistico, replicata nelle altre due costituzioni dei paesi sconfitti dalla Seconda Guerra Mondiale, tedesca[6] e giapponese[7].

Dai banchi dell’Assemblea Costituente italiana, tuttavia sono emersi aspetti di carattere terminologico, che per quanto apparentemente minoritari, dicono molto sul comune sentire di quegli anni di ricostruzione. Per riprendere le parole dell’on. Amerigo Crispo (Unione democratica nazionale), a questo proposito emblematiche, dire che “(…) l’Italia rinunzia alla guerra non riproduce esattamente il concetto di ripugnanza morale per una guerra di conquista o di offesa alla libertà degli altri popoli (…)[8]”; così, in ossequio al reale “spirito democratico”, si è preferita la formula finale di “ripudio”, a discapito di quella inizialmente approvata di “rinunzia alla guerra”, che è stata fatta notare di rientrare nell’ambito potestativo del possesso di una facoltà o di un diritto, che uno stato democratico non dispone[9].

È però d’obbligo precisare, che nemmeno la messa al bando di una concezione così antitetica a uno stato democratico, sia esente da limiti. L’integrità della Repubblica va difesa, e il principio del ripudio della guerra non può considerarsi assoluto, scontrandosi esso con altri doveri inderogabili ben presenti nella nostra Carta. È indubbiamente da intendere come rifiuto di ogni guerra di sopraffazione alla libera autodeterminazione di un popolo sovrano, ma detta “rinunzia non va intesa in senso pacifista assoluto, cioè nel senso di rinunzia al diritto e al dovere di difesa del territorio, dell’indipendenza, della libertà, della Costituzione[10]. Il termine guerra, infatti, compare in altre parti della Costituzione, e contempla la deliberazione di uno stato di guerra da parte del Parlamento (art.78 Cost.), con successiva dichiarazione formale da parte del Presidente della Repubblica (art.87,comma 9 Cost.), per l’ipotesi di una guerra difensiva a titolo di sacro dovere di difesa della Patria (art.52 Cost.)[11].

Così inteso il principio del ripudio alla guerra, il Costituente italiano al secondo comma successivo introduceva un “principio di pace”. Siffatta priorità, che questa volta può ritenersi di carattere assoluto, vedeva il Costituente direzionare il nostro Paese all’interno di un quadro internazionale di reciproca collaborazione, nell’intento di mantenere prosperi i rapporti tra le nazioni. Complessivamente veniva assunta una duplice determinazione di indirizzo: da una parte quella appena ricordata del ripudio della guerra che non sia esclusivamente difensiva (primo comma); dall’altra quella di collocare l’Italia all’interno delle nascenti organizzazioni internazionali di pace (secondo comma).

La primazia di queste organizzazioni internazionali che da lì a poco si sarebbero costituite (Nazioni Unite, Alleanza atlantica e sua organizzazione, UEO, OSCE e più recentemente la PESD e la PESC in seno alla Unione Europea), sarà ribadita in almeno altre due parti della nostra Carta: nell’art.10 si afferma che «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute», mentre all’art.117 Cost. la potestà legislativa dello Stato e delle Regioni è subordinata al rispetto «dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».

A consuntivo di questo ragionamento, ecco che il principio del ripudio della guerra, oltre all’ipotesi di una guerra “costituzionalmente necessaria” (ex art.52 Cost.), può incontrare un suo secondo limite “nell’adeguamento a decisioni degli organi delle Nazioni Unite che implicassero il ricorso all’uso della forza o addirittura la partecipazione a conflitti armati in osservanza dei principi della Carta ONU”[12].

Per il caso di specie sottoposto alle nostre attenzioni, la presa di posizione storica è stata fatta registrare in data 2 marzo 2022 dall’Assemblea generale delle Nazioni unite, che riunita in adunanza plenaria ha condannato l’invasione russa dell’Ucraina a sua grande maggioranza dei presenti.

 

3.

Giunti a questo punto, il principale nodo da sciogliere porta ad interrogarsi su chi sia a prevalere tra i principi costituzionali, tra cui il principio del ripudio della guerra, e i vincoli internazionali, rispetto ai quali la legislazione interna è necessariamente soccombente. Può mai la Costituzione cedere il passo a delibere di organi sovranazionali, e questo aspetto rappresentare una sorta di patente di legittimità alla decisione italiana di inviare materiali militari al popolo ucraino”?

A parere di chi scrive il problema non si pone, in quanto, la così tanto dibattuta decisione del Governo Draghi, altro non è che uno degli elementi espressivi del carattere pluralista della nostra forma di stato, aperta alla ricezione di ordinamenti stranieri per gli scopi che persegue.

Tra i commenti fatti a margine della questione, si vuole fare proprio quello del presidente emerito della Consulta Cesare Mirabelli, che a questo proposito è stato eloquente nel ricordare che “sia l’assemblea delle Nazioni unite sia la Corte dell’Aja hanno condannato la guerra di aggressione contro l’Ucraina”, e il dato basti per contornare l’aiuto “con gli strumenti più vari (…) e quindi anche “strumenti bellici di difesa”, come costituzionalmente legittimo. Così come un’altra opinione in merito è stata espressa da Tommaso Edoardo Frosini, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, il quale ha fatto sapere che “(…) questa è una guerra degli altri, che ci riguarda però come partner di Stati con i quali abbiamo firmato dei Trattati” (…) e anche se la nostra Costituzione ci vietasse la guerra, e così non è, si tratterebbe di un divieto destinato a cedere il passo a norme sovranazionali[13]”.

Da qui è allora possibile tirare le fila del discorso, e compendiare che l’art.11 Cost., oggetto di queste analisi, seppure è comprensivo del principio ripudiante la guerra, richiede una lettura in combinato disposto con gli artt.10 e 117 Cost., sopracitati. Questi, conferiscono uno status costituzionale a quelle organizzazioni internazionali che sono state erette allo scopo di raggiungere un obiettivo di mantenimento della pace, di cui ci parla il secondo comma dello stesso art.11 Cost. Pertanto, nonostante la decisione sia stata criticata da buona parte degli italiani, e contesa nelle sedi di governo, dal punto di vista della sua legittimità deve ritenersi assolutamente in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con i trattati internazionali a cui l’Italia ha aderito. È infatti il processo limitativo di porzioni di sovranità che il nostro Paese ha messo in moto nelle tappe evolutive della sua forma di stato, ad assumere un valore dirimente rispetto al vaglio di legittimità in discorso, e a dovergli conferire un esito positivo.

Il principio del ripudio della guerra (comma primo) e l’adesione dell’Italia ad organizzazioni internazionali, non sono valori costituzionalmente bilanciabili, piuttosto espressione dello stesso volto, perché sempre di Costituzione si parla. Il ripudio della guerra è una qualità, che probabilmente nascondeva la paura di un ritorno dell’uguale fascista, e che è assegnata al carattere della nostra Repubblica; la cessione di porzioni di sovranità è un obiettivo, perseguito “per il mantenimento della pace”, ma ambedue di sostrato costituzionale sono.

In definitiva, tra il primo e il secondo comma dell’art.11, non scorre alcun rapporto antinomico tale da denunciare una violazione della Costituzione, tra le due proposizioni non sussiste alcun contrasto da comporre, anzi, esse “vicendevolmente si integrano e si completano”[14]. In caso contrario, la lettura di “qualunque sequenza tra due enunciati costituzionali come se fossero intervallati da una congiunzione avversativa – “l’Italia ripudia la guerra”, tuttavia, “consente… alle limitazioni di sovranità” –, potrebbe favorire una distorsione sistemica dovuta all’interpretazione di “ogni enunciato successivo come una sorta di normativa rinnegante di quello precedente, con conseguente rottura dell’unità della Costituzione”[15].

 

4.

Tutto questo è stato finora descritto al netto di alcune letture dissenzienti, che pure ci sono state e che per indistinguibile dignità nonché una migliore formazione di un’opinione del lettore sul merito, si vogliono in breve riportare. Tra chi ha eccepito un abuso interpretativo in una sorta di “sottovalutazione della prima proposizione dell’art.11 Cost., parallela a una sopravvalutazione (talvolta una vera e propria esaltazione) della seconda[16]”; e chi ha fatto osservare che de facto “la conseguenza dell’invio di armi farebbe diventare l’Italia un paese belligerante, con sostanziale aggiramento dell’art.11 Cost. e confezionamento di un diritto di guerra in deroga”[17].

Gli aderenti a queste correnti di pensiero, sono infine orientati a ritenere che il ripudio della guerra “come stru­mento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risolu­zione delle controversie internazionali”, avrebbe dovuto escludere anche gli interventi cosiddet­ti “umanitari”, che oggi vengono branditi da Mosca, ma che nel 1999 hanno legittimato l’intervento armato in Kosovo”[18]. A ciò si aggiungano altri significativi casi di interventi armati all’estero come quelli per la Guerra del Golfo, l’intervento in Afghanistan e infine in Libia[19], per i quali parimenti in passato si è sostenuta la violazione dell’art.11 Cost[20].

L’occasione è stata anche quella di passare in rassegna alcuni tra i precedenti storici, per ricordare che, il dibattito circa la compatibilità di queste misure di peace enforcing rispetto alla nostra Costituzione, non è di certo nuovo alle cronache.

 

 

[1] Per sommi capi, nell’attuale Governo Draghi ad ampia maggioranza, il centrosinistra, capeggiato dal PD, è parso a favore dell’invio di materiali militari all’Ucraina, assieme a una parte del centrodestra (FI, ma anche dall’opposizione FDI);  tra i più scettici la Lega e il M5S, tanto che qualche commento giornalistico ha parlato di uno strano ritorno della coppia “gialloverde” del Conte I. Cfr. https://tg24.sky.it/politica/2022/05/17/ucraina-armi-m5s-draghi.

[2] M. Volpi, La guerra in Ucraina e il costituzionalismo democratico, in Costituzionalismo.it, 1/2022, p. 12.

[3] G. Azzariti, “La Costituzione rimossa”, in Costituzionalismo.it, 1/2022, p.3.

[4] «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo» (art.11 Cost.).

[5] P. Cecchinato, “La Costituzione, la guerra e le Patrie degli altri”, in LaCostituzione.info, 8 aprile 2022.

[6] «Le azioni idonee a turbare la pacifica convivenza dei popoli, in particolare a preparare una guerra esplosiva, e intraprese con tale intento, sono incostituzionali. Tali azioni devono essere perseguite penalmente.

Le armi, che sono destinate a condurre una guerra, possono essere prodotte, trasportate e messe in circolazione soltanto con l’autorizzazione del Governo federale. Una legge federale regola i particolari» (art.26 del Grundgesetz tedesco del 1949).

[7] «Aspirando sinceramente a una pace internazionale basata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinuncia per sempre alla guerra come diritto sovrano della nazione e alla minaccia o all’uso della forza come mezzo per risolvere le controversie internazionali. Al fine di raggiungere l’obiettivo del paragrafo precedente, le forze terrestri, marittime e aeree, così come altri potenziali di guerra, non saranno mai mantenute. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto» (art. 9 della costituzione giapponese del 1946).

[8] Atti Ass. Cost., 13 marzo 1947, dalla discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

[9] «Anche per un’altra ragione penso che occorra sostituire questa espressione: perché, badate, il termine «rinuncia» richiama subito l’idea di un diritto o di una facoltà. Si rinuncia, difatti, ad una facoltà o si rinuncia ad un diritto. E mi sembra inconcepibile che si possa dire che lo Stato democratico abbia il diritto di intraprendere una guerra di conquista», così A. Crispo, Atti Ass. Cost., 13 marzo 1947, dalla discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica Italiana.

[10] Così l’on. Mario Assennato (PCI) nella seduta del 17 marzo 1947.

[11] La sicurezza «trova espressione, nel nostro testo costituzionale, nella formula solenne dell’art. 52, che afferma essere sacro dovere del cittadino la difesa della Patria. Richiamando e sviluppando tale concetto, che trova fondamento nella individuazione di un interesse costituzionale superiore, occorre fare riferimento proprio al concetto di difesa della Patria ed a quello di sicurezza nazionale» (sent. Corte cost. n.86/1977).

[12] G. de Vergottini, “La Costituzione e il ritorno della guerra”, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 3/2022, p.5.

[13] Più approfonditamente v. P. Maciocchi, “Perché l’invio delle armi a Kiev non è contro la Costituzione italiana”, in Il Sole 24 ORE, 17 marzo 2022.

[14] M. Benvenuti, op. cit., p.7.

[15] L. Carlassare, “Costituzione italiana e guerra umanitaria”, in M. Dogliani, S. Sicardi (a cura di), Diritti umani e uso della forza, Torino, 1999, p.27.

[16] M. Benvenuti, “Le conseguenze costituzionali della guerra russo-ucraina. Prime considerazioni”, in Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 3/2022, p.6.

[17] M. Volpi, op. cit., p.13.

[18] G. Azzariti, op. cit., p.6.

[19] Anche in occasione dell’intervento militare in Libia nel 2011, l’art. 11 della Costituzione era stato ignorato nelle risoluzioni parlamentari allora approvate; v. più approfonditamente M. Benvenuti, L’Italia, la Costituzione e la (seconda) guerra di Libia, in Costituzionalismo.it, 1/2011.

[20] G. de Vergottini, op. cit., p. 7.

Bruno Pitingolo

Bruno Pitingolo è praticante avvocato presso l'Avvocatura Distrettuale di Milano e dottorando di ricerca in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Milano-Bicocca. Dal febbraio del 2023 è stato studente del master in "Istituzioni parlamentari per consulenti d'assemblea Mario Galizia", organizzato dalla Sapienza Università di Roma. È amico della Fondazione De Gasperi in Roma dal settembre 2020, ha partecipato alle scuole di formazione politica n. VI "EU People" e n. VII "Europe builders". Collabora con la rivista giuridica on-line "Ius in itinere", come componente della redazione di diritto costituzionale.

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