martedì, Marzo 19, 2024
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L’IVA sulle lezioni di scuola guida: il “costo” di interpretazioni difformi

L’istruzione è un diritto fondamentale, come espressamente sancito in molte carte costituzionali e numerosi documenti internazionali. A titolo esemplificativo, si pensi all’art. 34 della nostra Costituzione[1], ma anche all’articolo 2 del Protocollo n. 1 alla CEDU e all’art. 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo firmata nel Dicembre del 1948[2].

La conseguenza di questo riconoscimento “multilivello” è, fra le altre, l’assunzione da parte degli Stati dell’impegno a garantire che questo diritto sia effettivamente esercitato da tutti i possibili destinatari dello stesso: basti pensare alla previsione di “borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze” (art. 34 Cost. italiana) a beneficio di chi è meritevole, ma non ha i mezzi per mantenersi agli studi.

Un altro strumento solitamente utilizzato per estendere il più possibile la platea dei fruitori di un determinato diritto/servizio consiste nell’intervento sul prezzo, prevedendo particolari agevolazioni, sostenendo parte del costo complessivo del servizio stesso (tramite il sistema tributario), o ancora intervenendo sul regime fiscale cui sottoporlo in melius.

Quest’ultimo rilievo trova riscontro proprio nella disciplina dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) che prevede la possibilità di stabilire esenzioni a favore di attività di interesse pubblico: in particolare, all’art. 132 § 1 lettere i) e j) della Direttiva 2006/112/CE è prevista la possibilità di non applicare l’IVA con riferimento alle attività di insegnamento[3].

L’IVA è un tributo di origine europea, più precisamente un tributo armonizzato[4]; per questo motivo è importante osservare l’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea: il caso oggetto dell’articolo è proprio una sentenza della CGUE, la quale risponde a un rinvio pregiudiziale proveniente dalla Germania.

Il caso A & G Fahrschul-Akademie GmbH: qual è la nozione di insegnamento?

La domanda[5] presentata alla Corte verte sull’interpretazione dell’art. 132 § 1 lett. i) e j) della Direttiva 2006/112/CE avente ad oggetto, genericamente (questo il motivo della domanda pregiudiziale) la nozione di “attività di insegnamento”.

La causa nasce da una controversia fra il gestore di una scuola guida (A & G) e l’ufficio delle imposte tedesco. Segnatamente, la A & G chiedeva di poter ridurre l’importo dovuto a titolo di IVA a zero, ricevendo un diniego, poi impugnato dinanzi al Tribunale tributario tedesco sulla base della direttiva sopracitata.

La A & G sosteneva che “l’obiettivo perseguito dal legislatore nazionale in materia di apprendimento della guida automobilistica nell’ambito di una scuola guida consist[a] nel formare utenti della strada responsabili” (punto 10 sentenza). Dall’altro lato, il giudice del rinvio non escludeva la possibilità, per l’impresa, di ottenere i benefici previsti dalle disposizioni di cui sopra, a patto che l’attività effettivamente esercitata (lezioni di scuola guida per l’ottenimento della patente di guida per le categorie B e C1) rientrasse nella nozione di “insegnamento scolastico ed universitario”.

Con sentenza del 14 marzo 2019, causa C-449/17, la CGUE ha risposto a tale quesito pregiudiziale. In apertura, la Corte ha ribadito che tali esenzioni rappresentano nozioni autonome del diritto dell’Unione, volte ad evitare divergenze nell’applicazione del sistema dell’IVA da uno Stato membro all’altro” (punto 18 sentenza): del resto, se gli Stati fossero liberi di porre esenzioni a loro piacimento finirebbe per essere minato il sistema del mercato comune, divenendo facile preda di strategie protezionistiche e spregiudicatezze.

La Corte ha, invero, rilevato preliminarmente che non esiste una definizione di “insegnamento scolastico o universitario” nella disciplina oggetto di scrutinio. Da una parte “la trasmissione di conoscenze e di competenze tra un docente e gli studenti è un elemento particolarmente importante dell’attività di insegnamento” (punto 21); dall’altro la nozione non si limiterebbe “ai soli insegnamenti che si concludono con esami volti all’ottenimento di una qualifica o che consentono di acquisire una formazione per l’esercizio di un’attività professionale” (punto 22), ma includerebbe tutte le attività a carattere non ricreativo a condizione che l’istruzione sia impartita nell’ambito di scuole o università[6].

In definitiva, “la nozione di ‘insegnamento scolastico o universitario’ ai fini del regime IVA, si riferisce, in generale, a un sistema integrato di trasmissione di conoscenze e di competenze avente ad oggetto un insieme ampio e diversificato di materie, […]” (punto 26 sentenza).

A parere della Corte, sebbene le lezioni di guida implichino la trasmissione di conoscenze sia pratiche sia teoriche e non abbiano uno scopo puramente ricreativo (il possesso di queste patenti può corrispondere ad esigenze professionali), sono da ritenere un insegnamento specialistico e per questo motivo non rientrano nella nozione di “insegnamento scolastico o universitario”.

In definitiva, in base alla decisione della Corte, a queste prestazioni si applicherà l’IVA.

I riflessi in Italia

Sebbene la sentenza non veda come parte in causa l’amministrazione finanziaria italiana, molti imprenditori si sono domandati quale fosse la sua posizione, tenuto conto del fatto che le decisioni della CGUE sono vincolanti per tutti gli Stati membri.

Lo strumento previsto dall’ordinamento italiano per chiedere all’amministrazione finanziaria una “opinione” in merito all’interpretazione o all’applicazione di una determinata norma è l’interpello[7].

È proprio questo lo strumento con il quale l’Agenzia delle Entrate, alla domanda di un contribuente proprietario di una scuola guida, risponde affermando che, alla luce della sentenza dei giudici di Lussemburgo, precedenti risoluzioni in risposta a interpelli devono ritenersi superati. Data l’efficacia ex tunc della sentenza della Corte si prevede che “riguardo alle operazioni effettuate e registrate in annualità ancora accertabili ai fini IVA, […] l’Istante debba emettere una nota di variazione in aumento […]. Tale maggiore imposta deve confluire nella dichiarazione integrativa di ciascun anno solare di effettuazione delle prestazioni ancora accertabile […]” [8]. In poche parole, non solo le prestazioni delle scuole guida passano dall’essere esenti a imponibili, ma questo regime si applica anche alle annualità precedenti, ancora suscettibili di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria.

La posizione dell’Agenzia delle Entrate è una rivoluzione per sua stessa ammissione e il primo interrogativo che ci si pone riguarda le conseguenze sui contribuenti, atteso che alla violazione delle norme in materia tributaria non consegue solo il recupero dell’imposta non pagata, ma anche l’applicazione di sanzioni ulteriori.

Il nodo è sciolto dall’art. 10, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente, in base al quale “non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima […]”. Dunque, il contribuente dovrebbe al fisco solo l’IVA (in ogni caso relativa non solo all’anno in corso e per il futuro, ma anche per le annualità precedenti che sono ancora suscettibili di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria).

Elementi per un’analisi critica

L’Agenzia delle Entrate risolve la questione in modo teoricamente corretto. Se l’amministrazione “cambia idea”, il contribuente dovrà adeguarsi, ma se ha seguito le istruzioni di questa che, fino a quel momento, indicavano un certo comportamento da tenere, non potrà essere sanzionato né gli potranno essere richiesti interessi moratori.

In questo particolare caso, l’Agenzia delle Entrate propende per una soluzione che, ancora una volta, in linea teorica è perfettamente coerente, ma sul piano pratico foriera di non pochi interrogativi: il dovere di corrispondere l’IVA è retroattivo e riguarda gli ultimi 5 anni che, secondo la legislazione tributaria, è il periodo suscettibile di accertamento. Ma materialmente l’IVA chi la paga all’Erario? Le autoscuole? Si può ipotizzare la creazione di una legge che obblighi chi ha usufruito dei servizi non più esenti a pagare alla scuola guida o all’erario l’importo?

Una soluzione, probabilmente audace, per risolvere la questione potrebbe essere quella di valorizzare il principio del legittimo affidamento in materia tributaria: la Corte di Cassazione, in qualità di giudice tributario di ultimo grado, ha affermato a più riprese che vige un principio che tutela il legittimo affidamento.

Suggestive alcune decisioni della Suprema Corte sul tema: una su tutte è del 2002 e ha ad oggetto il caso di un’impresa che aveva legittimamente confidato nell’archiviazione di un processo verbale di constatazione dell’IVA (perdendo ulteriori possibilità date dall’ordinamento di definire le violazioni contestatele).

In questa occasione, la Cassazione afferma che “[il] principio della “tutela del legittimo affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica” – quale “elemento essenziale dello Stato di diritto”, ancorato dalla Corte costituzionale al principio di eguaglianza dinanzi alla legge, sub specie del rispetto del canone della ragionevolezza, di cui all’art. 3 comma 1 Cost. – […] mutuato da quelli civilistici della buona fede e dell’affidamento incolpevole nei rapporti fondati sulla autonomia privata, è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico – e, quindi, anche in quelli tributari – e costituisce un preciso limite all’esercizio sia dell’attività legislativa, sia dell’attività amministrativa, e tributaria in particolare”.[9]

La stessa Corte di Lussemburgo in tema di legittimo affidamento (riferendosi a un atto amministrativo) ha stabilito che “se è nato a buon diritto, il legittimo affidamento nella legittimità di un atto amministrativo favorevole non può poi venire scalzato”[10].

Una posizione che non appare peregrina sarebbe quella di utilizzare la teoria dei controlimiti, elevando il principio del legittimo affidamento ad uno dei “principi qualificanti e irrinunciabili dell’assetto costituzionale dello Stato, [ossia uno dei] i principi che sovraintendono alla tutela dei diritti fondamentali della persona”[11] e prevedere, di conseguenza, che l’IVA sulle prestazioni oggetto della sentenza della CGUE sia dovuta, ma solo con riferimento a quelle espletate successivamente rispetto all’emanazione della sentenza stessa.

Resta inteso che una teoria del genere, per essere effettivamente spendibile, dovrebbe passare per una decisione da parte della Corte Costituzionale[12].

Un pragmatico compromesso

La soluzione definitiva ai dubbi che precedono è arrivata con la c.d. manovra fiscale del 2019. In particolare, il decreto fiscale (d.l. 26 ottobre 2019, n. 124) ha modificato la normativa IVA, attraverso l’art. 32[13] il quale apporta una modifica alla disciplina italiana in materia di IVA (il d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633): il comma 1 prevede che “All’articolo 10, primo comma, numero 20), [della normativa IVA], dopo le parole: “a titolo personale” sono aggiunte le seguenti: “Le prestazioni di cui al periodo precedente non comprendono l’insegnamento della guida automobilistica ai fini dell’ottenimento delle patenti di guida per i veicoli delle categorie B e C1;”. Dunque, l’IVA si applica (per il futuro) alle prestazioni delle autoscuole, ma solo per le patenti professionali.

 

 

[1] Art. 34 Cost. “1. La scuola è aperta a tutti. 2. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. 3. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. 4. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”

[2] Per una panoramica sugli strumenti internazionali e sullo “stato dell’arte” sul tema consiglio la lettura dell’articolo di R. Russo, “Il diritto all’istruzione nel diritto internazionale: tra strumenti di tutela e obiettivi ancora da raggiungere”, marzo 2020. Disponibile all’indirizzo https://www.iusinitinere.it/il-diritto-allistruzione-nel-diritto-internazionale-tra-strumenti-di-tutela-e-obiettivi-ancora-da-raggiungere-25662

[3] L’art. 132 § 1 lett. i) e j) rispettivamente prevedono esenzioni con riferimento alla “educazione dell’infanzia o della gioventù, l’insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonché le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalità simili” e alle “le lezioni impartite da insegnanti a titolo personale e relative all’insegnamento scolastico o universitario”.

[4] È l’art. 113 TFUE che consente l’istituzione di imposte indirette (come l’IVA) e di stabilire disposizioni comuni in tema, “nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza”.

[5] Corte di Giustizia UE, sentenza della Corte (Prima Sezione) sulla causa C-449/17, 14 marzo 2019.

[6] Conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar, 3 Ottobre 2018, § 35.

[7] L’interpello è lo strumento attraverso il quale il contribuente può chiedere all’amministrazione finanziaria la propria interpretazione in merito a una determinata fattispecie o alla possibilità di applicare una determinata norma al caso concreto oggetto dell’interpello. Per completezza, è da rilevare che questo strumento, nell’ottica di trasformare il rapporto amministrazione-contribuente sempre di più in una collaborazione, è stato recentemente implementato ampliandone i casi di possibile applicazione. La disciplina si trova all’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente (l. 27 Luglio 2000, n. 212).

[8] cfr. Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 79/E del 2 settembre 2019.

[9] Corte di Cassazione Civile, Sezione Tributaria, sent. n. 17576 del 10/12/2002.

[10] Corte di Giustizia UE, sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 17 aprile 1997 sulla causa C-90/95 P,  Henri de Compte contro Parlamento europeo. In particolare paragrafo 31.

[11] Corte Costituzionale, sent. n. 238 del 22/10/2014, in particolare punto 3.1 sentenza.

[12] Sulla base della giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale e della letteratura sul c.d. dialogo fra le Corti si deve affermare senza esitazione che la “competenza” ad attivare la clausola spetta esclusivamente alla Consulta.

[13] La rubrica dell’articolo è piuttosto evocativa: “Adeguamento a sentenza della Corte di Giustizia UE del 14 marzo 2019, causa C-449/17”.

Alberto Meniconi

Alberto Meniconi, nato il 24 Agosto 1995 a Prato. Mi sono laureato con lode in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi in Diritto dell'Unione Europea dal titolo "La protezione civile e gli aiuti umanitari nel diritto dell'Unione Europea. Caso di studio: la risposta europea alla pandemia di Covid-19" (relatrice Prof.ssa Chiara Favilli). Attualmente sono un tirocinante ex art. 73 d.l. 69/2013 (conv. con mod. in l. 98/2013) presso la Corte d'Appello di Firenze - Sezione III Penale. Collaboratore dell'area di diritto internazionale e dell'Unione Europea.

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