venerdì, Aprile 19, 2024
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L’oggetto del giudizio di meritevolezza degli interessi nei contratti atipici

L’art. 1322 c.c. subordina il potere delle parti di stipulare contratti atipici alla condizione che quest’ultimi realizzino interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Tanto premesso, la meritevolezza è diffusamente intesa come un limite all’esplicazione dell’autonomia contrattuale, che avvolge ogni contratto o negozio unilaterale atipico, anche solo parzialmente tale, per effetto di clausole atipiche inserite in negozi tipici, e quantunque il contratto sia nominato, o, più correttamente, menzionato nel sistema normativo, ma privo di una regolazione del suo contenuto essenziale. La disposizione in analisi descrive, quindi, un precetto che vincola sia le parti, al momento della stipula del contratto, sia e soprattutto il giudice, il quale, inteso il negozio o la clausola a lui portati in cognizione come atipici, deve necessariamente procedere alla verifica della loro meritevolezza. Tuttavia, l’art. 1322 c.c. è stato al centro di un lungo ed articolato dibattito dottrinale, relativamente alla sua esatta portata applicativa, anche in considerazione della formulazione, per vero tautologica, della norma in analisi, la quale indica sì la meritevolezza come condizione alla cui ricorrenza è ammessa la stipulazione di un contratto atipico, ma senza definirne il significato. Invero, l’art. 1322 c.c. offre solo due dati, uno oggettuale, vale a dire che la meritevolezza deve riguardare gli interessi che il contratto è diretto a realizzare, e l’altro relazionale, per cui la meritevolezza deve ricavarsi dal raffronto dei predetti interessi con l’ordinamento giuridico.

Partendo dal dato oggettuale, è opinione diffusa che gli interessi di cui all’art. 1322 c.c. involgano la causa del contratto, la quale, all’esito di un’annosa disputa scientifica, si ritiene che corrisponda esattamente con l’asseto degli interessi perseguiti dalle parti mediante il contratto a cui hanno prestato il consenso. La causa, dunque, è quella cosiddetta “in concreto”, ossia la ragione pratica della programmazione negoziale, evocativa, in senso funzionalistico, dell’uso che le parti hanno inteso fare del contratto per raggiungere un certo scopo o risultato[1]. La conferma che l’interesse, oggetto del giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., sia rappresentato dalla causa concreta del contratto, costituente la ragione giustificatrice del vincolo negoziale, è tratta anche all’esito di un confronto sistematico. A riguardo, è d’uopo sottolineare che il concetto di interesse figura anche nell’art. 1411 c.c., in tema di contratto contenente la clausola di stipulazione a favore del terzo, per la cui validità si richiede la sussistenza di un interesse dello stipulante. Nonostante sia stato inizialmente inteso come l’interesse del creditore a ricevere la prestazione ex art. 1174 c.c., dottrina prevalente ritiene che l’interesse dello stipulante consista nella sussistenza di una ragione giustificativa dell’attribuzione patrimoniale indirizzata al terzo. L’interesse ex art. 1411 c.c. sarebbe, quindi, comparabile con l’interesse meritevole di cui all’art. 1322 c.c., quale limite all’autonomia negoziale delle parti nella scelta di programmare una deviazione degli effetti del contratto verso un soggetto avulso dallo stesso. L’interesse ex art. 1411 c.c., tuttavia, non si identificherebbe con la causa del contratto a cui la clausola accede, bensì nella ragione rivelatrice della diversa destinazione soggettiva degli effetti attributivi ed obbligatori discendenti dal contratto.

Ciò, evidentemente, impone di sondare in concreto i rapporti tra stipulante e terzo, avuto riguardo, però, non alla persona del terzo, ma soltanto a quella dello stipulante, essendo all’uopo sufficiente un qualunque tipo di interesse, anche morale, purché apprezzabile in punto di rilevanza giuridica e liceità del medesimo.

La mancanza del predetto interesse, in forza delle citate premesse, comporta l’assenza di una causa giustificativa dell’attribuzione proveniente dal promittente solamente verso il terzo, ma non anche verso lo stipulante, per cui viceversa rileva la causa “principale” del contratto. Si badi, a riguardo, che la giurisprudenza non ha mai espresso alcuna preferenza dogmatica sulla qualificazione della natura giuridica dell’interesse ex art. 1411 c.c.; anzi, in linea di massima si è limitata a ribadirne la natura aperta del suo oggetto, oltreché l’essenzialità del medesimo ai fini della validità della pattuizione accessoria e della ripetibilità dell’attribuzione.

Un altro riferimento sistematico riguarda la nozione di “apprezzabile interesse” ex art. 1379 c.c., alla cui ricorrenza è subordinata la validità dei divieti convenzionali di alienazione, nonché quelli parimenti incisivi in senso limitativo sulla libera disponibilità di un diritto[2]. Ferma l’efficacia meramente obbligatoria e non reale dei divieti de quibus, il requisito dell’apprezzabilità dell’interesse, secondo una diffusa opinione, imporrebbe la necessaria sussistenza di una razionale giustificazione, anche non patrimoniale, e persino riferita ad una soltanto delle parti, per l’immobilizzazione del diritto attinto dal divieto o dalla limitazione dispositiva, in mancanza della quale son da ritenersi prevalenti le istanze superindividuali di libera commerciabilità e sfruttabilità economica delle risorse. Inoltre, secondo una parte, per vero incontestata, della dottrina, l’apprezzabilità dell’interesse non solo implicherebbe la rilevanza giuridica e la liceità del medesimo, ma pure l’adeguatezza del suo valore intrinseco, suscettibile di compensare e bilanciare il costo sociale del divieto convenzionale, non essendo di per sé dirimente la presenza di un corrispettivo a favore del soggetto debitore dell’obbligazione negativa di cui sopra. Ennesimo collegamento sistematico si ritrova, poi, nell’art. 2645 ter c.c., in tema di atti di destinazione patrimoniale, ove si chiede che questi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. Invero, al di là del rinvio espresso, opinione diffusa che il Legislatore non abbia preteso che l’interprete compia un giudizio di meritevolezza sulla causa concreta, trattandosi di un negozio tipico, che ha già scontato, per effetto della sua previsione normativa, la meritevolezza della propria giustificazione causale.

Anzi, si afferma che la meritevolezza degli interessi costituisca un requisito ulteriore dell’atto negoziale, che il Legislatore avrebbe previsto ai fini della sua validità, o quanto meno ai fini della sua trascrivibilità; sicché, in difetto della meritevolezza, quantunque si voglia ritenere il negozio valido ed intatta la destinazione sull’impiego pratico del bene, non sarebbe predicabile la separazione c.d. “unilaterale” di quest’ultimo dal patrimonio del conferente, agli effetti dell’opponibilità del vincolo nei confronti dei terzi. Tanto premesso, tornando al tema in analisi, se, dunque, l’interesse di cui all’art. 1322 c.c. attiene alla causa concreta del contratto, non può essere, tuttavia, trascurata la rilevanza che la causa c.d. astratta svolge nell’attuale stato di diritto. L’avvento della causa in concreto non ho determinato il tramonto della primigenia funzione economico-sociale del contratto[3]. Tra le due nozioni di causa, infatti, non ricorre un rapporto di antinomia, perché la causa concreta presuppone quella astratta, e non la esclude, anzi si aggiunge ad essa, costituendone una specificazione[4]. Pertanto, può affermarsi che la causa del contratto operi su due livelli, uno astratto, ed attiene al nucleo essenziale del contratto, da cui promanano gli interessi che un dato schema potrebbe realizzare, e l’altro concreto, in cui sono selezionati i singoli interessi delle parti volutamente perseguiti, scelti tra tutti quelli che descrivono il senso complessivo dell’accordo. Sicché, si può concludere nel senso che l’oggetto del giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. attiene agli interessi che le parti hanno voluto concretamente realizzare, investendo un risultato rientrante nel senso complessivo (astratto) dello schema negoziale impiegato, ricavabile da una lettura funzionale delle disposizioni contrattuali, interpretate alla luce degli scopi per i quali le parti hanno aderito al contratto, e sui quali hanno formato un ragionevole convincimento circa la loro realizzazione.

NOTE.

[1] In questo senso v., Cass., S. Un., 10490/2006; Cass., 23941/2009.

[2] Cfr., Cass., 15240/2017, con riguardo ai vincoli di destinazione.

[3] ROPPO V., Diritto privato, Giappichelli Editore, 2016.

[4] BARCELLONA P., Diritto privato e società moderna, Jovene, 1996.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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