venerdì, Marzo 29, 2024
Uncategorized

L’omicidio di Melania Rea, la criminodinamica

Premessa: con una serie di articoli si vuole analizzare, dal punto di vista della criminologia, l’omicidio di Melania Rea. In questo primo ci si soffermerà sulla criminodinamica.

Introduzione.

La criminologia investigativa[1] si occupa della ricostruzione dell’evento partendo dall’analisi della scena del crimine. Quest’ultima si compone sia di elementi che rientrano nell’ambito della criminalistica sia di quelli propri della criminologia. Nella prima, confluiscono quei dati utili al metodo scientifico ed oggettivo. Nella seconda, quelli con i quali si ricostruisce il comportamento criminale dal punto di vista psicologico. La scena del crimine, quindi, non è solo il luogo ove si effettuano le attività tecniche, ma è anche il luogo dal quale è possibile ricavare indizi che delineano la personalità dell’agente[2].

Sotto questo punto di vista rileva l’attività di profilazione.

Il c.d. criminal profiling rappresenta quel metodo volto ad identificare l’autore di un reato, attraverso l’analisi del modo con cui lo ha commesso e la natura del delitto. Il presupposto da cui si parte è che nelle azioni che l’offender sceglie di compiere prima, durante e dopo il delitto si riflette la sua personalità.

Questa attività di profilazione, nel sistema italiano, non assurge a fonte di prova, ma è un alternativo, non codificato, mezzo di ricerca delle fonti di prova. In particolare, lo stesso viene utilizzato in sede investigativa per limitare l’elenco dei sospettati. Non può non darsi atto del fatto che la profilazione è fondamentale nel contesto di ricostruzione della criminodinamica, vale a dire nella identificazione della sequenza degli eventi che si sono svolti nella scena del crimine; e della criminogenesi, vale a dire nella individuazione degli elementi che hanno preceduto la condotta criminale[3].

In questa complessa analisi deve inoltre ricordarsi che la scena del crimine, essendo un luogo, fornisce un altro elemento fondamentale di cui tener conto: il rapporto uomo-ambiente. L’uomo, infatti, esplica le proprie attività in una cornice spazio-temporale e, quindi, il rapporto del reo con lo spazio assume molta importanza: l’ambiente perde la propria oggettività, diventando il luogo ove si esprime la personalità dell’agente. Per questa ragione è diventato oggetto di studio per la criminologia[4].

L’analisi dell’omicidio di Melania Rea offre lo spunto per esaminare tutti questi elementi. Essendo molteplici i fattori da considerare, questo lavoro verrà diviso in più parti, proprio per consentire l’approfondimento di ognuno di essi.

La vicenda giudiziaria.

Preliminarmente occorre ricordare che Parolisi era imputato del delitto di cui agli artt. 61 n. 5), 575 e 577, n. 4) e co. 2, c.p., perché, colpendo Melania Rea ripetutamente con un’arma da punta e taglio al collo, al dorso ed al tronco, le provocava trentacinque lesioni e ne cagionava la morte, che interveniva dopo un’agonia durata alcune decine di minuti, per anemia emorragica acuta. Gli venivano contestate anche le aggravanti per aver commesso il fatto contro il coniuge, profittando di circostanze che erano tali da ostacolare la difesa della vittima, e con crudeltà, avendo proseguito nell’azione lesiva anche quando la donna non era più in grado di difendersi[5].

Parolisi era, inoltre, imputato del delitto di cui agli artt. 61 n. 2), 410, co. 2, c.p. perché, in epoca successiva all’omicidio, infieriva sul cadavere della donna con atti di vilipendio e deturpamento. Gli veniva contestata l’aggravante di aver commesso i predetti atti per conseguire l’impunità e per depistare le indagini, mediante l’inserimento sul luogo del delitto di elementi di confondimento[6].

Per l’omicidio di Melania Rea, l’imputato, quindi, in primo grado veniva condannato  all’ergastolo  (con rito abbreviato) per i reati ascrittigli, uniti dal vincolo della continuazione[7]. La Corte d’Assiste d’Appello de L’Aquila riduceva la pena ad anni 30 e, successivamente al ricorso in Cassazione, il giudice del rinvio riduceva ulteriormente la pena ad anni 20, poiché veniva esclusa l’aggravante della crudeltà[8].

La scena del crimine nell’omicidio di Melania Rea.

Il 20 aprile 2011 veniva ritrovato il cadavere della donna nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto (Teramo) in località “chiosco della pineta”.

La scena del crimine era all’aperto. Il corpo era a terra in posizione supina; il collo era intriso di sangue; i piedi, con le scarpe allacciate, erano in direzione del chiosco; il corpetto nero (con sopra un giubbino) era leggermente alzato verso il seno, mentre i jeans, i collant e gli slip erano abbassati e c’erano degli sfregi sul ventre e sulle cosce; inoltre, conficcata all’altezza del cuore c’era una siringa[9].

Il corpo si trovava in uno buono stato di conservazione e ciò era compatibile con il luogo di ritrovamento, che presentava la scarsa esposizione ai raggi del sole e basse temperature diurne e notturne. La presenza di larve di piccole dimensioni nelle ferite era accordabile con i tempi presuntivi del decesso: entro le due ore dalla consumazione del pranzo del 18 aprile[10].

Sugli indumenti e sul corpo, era presente una cospicua quantità di sangue. Lo stesso veniva trovato anche al di sotto del cadavere[11]. Sempre sul cadavere, vi era materiale vegetale analogo a quello presente nell’ambiente[12]. Venivano individuati numerosi reperti di natura ematica in punti limitrofi al corpo: sul camminamento del chiosco, sulla corteccia di un albero, sul terreno, su sassi, su aghi di pino e su gruppi di foglie[13].

Tutti questi elementi lasciavano intendere che l’azione si era svolta nel luogo di ritrovamento.

Si escludeva, inoltre, che il cadavere fosse stato spostato, perché mancavano segni di strascinamento nel fogliame[14], o rovesciato, dato che le tracce ematiche da gocciolamento delle ferite andavano dall’alto verso il basso[15].

A corroborare la tesi che la l’azione era avvenuta in quel luogo e senza un rimaneggiamento della posizione, c’era l’ulteriore elemento della piena rispondenza tra la posizione del corpo e i punti in cui si erano formate le macchie ipostatiche[16].

La criminodinamica nell’omicidio di Melania Rea.

Descritta brevemente la scena del crimine, occorre soffermarsi sugli elementi che da essa sono ricavabili.

Il primo è il luogo: l’aggressione è avvenuta all’aperto, ma soprattutto in un posto isolato. Tanto è vero che, stando ad una testimonianza, Parolisi avrebbe raccontato di essersi recato con Melania presso il chiosco della pineta già in precedenza (circa quindici giorni prima) per cercare “l’albero della cuccagna”; lì avrebbero consumato un rapporto sessuale[17].

Altro elemento di cui occorre tener conto è che dall’azione è scaturita una copiosa perdita ematica. Tale elemento fa porre l’attenzione sulle ferite e quindi sull’arma utilizzata, da cui è possibile riscontrare altri elementi interessanti.

Ebbene, nel caso in esame era stata adoperata un’arma bianca. Dall’autopsia, in particolare, emerge che alcune ferite erano da punta e taglio e altre da taglio e, inoltre, che venivano provocate utilizzando il medesimo coltello a lama monotagliente, la cui lunghezza non doveva essere inferiore a 8-10 cm[18]. Normalmente, si utilizza l’arma bianca perché è quella che più facilmente nella disponibilità di ognuno. Va notato, però, come l’uso di questo genere di arma sia prediletto quando c’è un movente passionale. In questo caso, pertanto, si dice che l’arma diventa una sorta di metafora dell’organo sessuale, che penetra nelle carni della vittima. Per quanto riguarda il punto attinto, si nota come in generale ci sia una predilezione per il petto e, rifacendosi ancora alla simbologia legata all’utilizzo dell’arma, si osserverebbe come quella sede abbia una duplice funzione. Se da un lato è il punto ottimale per uccidere nell’immediatezza l’avversario, dall’altro è il luogo ove hanno sede i sentimenti. Altri punti che vengono attinti quando il movente è passionale sono le zone erogene, come seni e pube. Va, comunque, evidenziato che queste non sono regole assolute e che le parti attinte dipendono anche molto dalla corporatura dell’omicida, dell’attinto e della loro rispettiva posizione[19].

Nel caso in esame, i colpi si erano concentrati su collo, dorso e tronco. In particolare, c’erano 29 ferite da punta e taglio che presentavano una profondità superiore rispetto all’estensione superficiale; mentre altre 6 da taglio erano meno profonde e si concentravano sulla zona cervico-facciale e sugli arti superiori[20]. Quelle al collo, in sede di autopsia, vengono considerate compatibili con tentativi di scannamento. Quest’ultimo, si precisa, è una modalità lesiva con cui si recidono le strutture vascolo-nervose e quelle respiratorie. Per potere poter parlare di scannamento, però, queste devono arrivare ad una profondità adeguata che, nello specifico, non si è raggiunta[21].

Le ferite erano, quindi, diverse e deve notarsi come spesso sia possibile evincere che a un maggior numero di fendenti corrisponda un maggior livello di rancore[22].

Rimanendo in tema, si rileva peraltro che, qualora ci sia un gran numero di lesioni, ci si potrebbe trovare di fronte al c.d. overkilling. Questo è un fenomeno caratterizzato ad un comportamento incontrollato: una scarica di violenza spropositata e meccanica, determinata dal susseguirsi degli eventi e dalla reazione della vittima. Nell’omicidio passionale, segnatamente, è più facile riscontrare un tale fenomeno e, in questo, le coltellate equivalgono al bisogno di possedere la vittima[23].

Tornando al caso in esame, si può notare come l’aggressione avesse avuto inizio alle spalle e, non essendoci tracce di abbassamento forzoso degli indumenti, si deduceva che l’offender si fosse avvicinato alla vittima senza allarmarla. In particolare, si riteneva verosimile che la donna avesse abbassato gli indumenti volontariamente e l’ipotesi che lo avesse fatto per esigenze fisiologiche era confermata dalla riscontrata assenza di urine nella vescica in sede di autopsia[24]. Lo stato di tranquillità della vittima prima dell’omicidio è supportato anche dal fatto che il trucco veniva trovato perfettamente intatto[25].

La maggior parte delle ferite, poi, veniva inferta quando la donna era in posizione supina. Come prima affermato, però, l’aggressione era iniziata quando la stessa si trovava in piedi (alle spalle appunto). Questo era evidenziato da alcuni imbrattamenti ematici sui pantaloni, concentrati sul lato interno e posteriore. Si rileva, inoltre, che Melania veniva colpita per lo più nella regione pettorale sinistra e questo indurrebbe a credere che l’azione sia stata espletata da una persona destrimane[26].

L’offender, quindi, avrebbe colpito la vittima da dietro, questa avrebbe cercato di allontanarsi, con difficoltà a causa degli indumenti abbassati, e dopo qualche metro sarebbe caduta e si sarebbe posta in posizione supina, tentando di difendersi con le mani e con le braccia.

L’azione violenta non aveva uno scopo sessuale; infatti, la regione genitale non presentava lesioni indicative né di una violenza[27] né della volontà di appropriarsi di qualcosa appartenente alla vittima (i gioielli e il cellulare non venivano presi[28]). Non si tratterebbe nemmeno di una aggressione per riti satanici. In questo ultimo caso, invero, il successivo vilipendio sarebbe stato di ben altra consistenza e contestuale all’azione[29].

Guardando sempre alla scena del crimine, occorre soffermarsi sulla posizione del cadavere. In merito si è già riferito che dall’autopsia è emerso che lo stesso non abbia subito spostamenti o rovesciamenti e che l’azione sia avvenuta nel luogo di ritrovamento. Deve a questo punto aggiungersi che tale ricostruzione era stata inizialmente posta in dubbio: il suolo sottostante il polso destro della vittima non presentava alcun imbrattamento ematico. Dato, però, che abbondanti imbrattamenti ematici si riscontravano sul basso ventre e sulla superficie anteriore della coscia destra, si desumeva che l’omicida, dopo l’essicamento del sangue proveniente dai polsi su quelle zone, abbia spostato i medesimi da lì per completare l’opera[30]. Nello specifico, incideva la cute dell’addome inferiore, della zona anterolaterale della coscia destra e della zona laterale della coscia sinistra, effettuando delle “ferite figurate”. Si trattava rispettivamente di: una “X” o “croce di Sant’Andrea”, una “svastica” ed una “grata a grosse maglie”[31]. L’inserimento della svastica è il chiaro tentativo di voler indirizzare i sospetti verso il gestore del chiosco, il quale era notoriamente un nostalgico del fascismo[32].

Oltre a questo, infiggeva una siringa usata all’altezza del petto (in corrispondenza della regione mammaria sinistra) e spargeva sul luogo degli elementi di confondimento (laccio emostatico, fazzoletti, stantuffi)[33]. Questa successiva condotta rientra nella c.d. attività di staging. Questo termine indica che la scena del crimine è organizzata e finalizzata a celare tracce e movente agli inquirenti. Si tratta di “una messa in scena” deliberata, volta ad alterare l’ambiente per fornire false informazioni agli investigatori[34]. Sul punto, si può riferire che che un crimine può essere “non organizzato” o “organizzato”. Il primo caso si riscontra quanto non è pianificato; ci si trova, infatti, dinnanzi una scena del crimine caotica e disordinata, ove il corpo della vittima non viene occultato o spostato; ci saranno molteplici tracce di varia natura. Il secondo si presenta quando la scena è ben preparata e personalizzata; quando la vittima è stata attenzionata in precedenza o, comunque, corrisponde a dei canoni ben precisi; inoltre, l’omicida sarà preparato anche ad occuparsi del cadavere[35].

In riferimento a questo deve evidenziarsi la particolarità dell’omicidio di Melania Rea. L’assassino ha inferto molti colpi alla vittima e si è allontanato senza accertarsi che la donna fosse morta. Non le avrebbe inflitto nemmeno il colpo di grazia. Tale circostanza è ritenuta dai giudici sintomatica dell’esistenza di un rapporto di amore-odio e questo consentirebbe di qualificare l’omicidio come un’azione d’impeto. L’assassino, però non si è limitato a questo; c’è poi stato, infatti, il deturpamento del cadavere, avvenuto in un secondo momento. Questa seconda azione sta ad indicare che nell’immediatezza dell’omicidio l’assassino non è stato in grado di effettuare quella messa in scena, che invece ha realizzato a mente fredda[36].

Concluse queste considerazioni di analisi della scena del crimine e del cadavere deve darsi atto, infine, delle risultanze della prova genetica. La ricerca di tracce biologiche non ha portato a profili genetici rilevanti, estranei a quello di Parolisi. Le tracce di questo sono state trovate nei tamponi della regione labiale e dell’arcata dentaria. Va detto che non è possibile definire la tipologia di contatto che ha determinato tale deposito cellulare. Può ipotizzarsi che questo sia da ricondurre ad un contatto avuto o mediante un bacio o derivante da cellule cutanee. Quel che è certo è che tale contatto è avvenuto poco prima del decesso poiché normali atti, quali il passarsi la lingua sulle labbra o il deglutire, avrebbero dovuto eliminare tali cellule[37]. Chiaramente questo elemento non è da solo sufficiente ad addossare l’omicidio di Melania Rea a Parolisi.

Da ultimo, si evidenzia che l’uomo, allo scopo di allontanare i sospetti da sé, ha fornito durante le indagini un’importante quantità di menzogne che, per i giudici, sono andate a costituire una sorta di confessione con la quale è stato possibile ricostruire la dinamica dell’evento, il movente e l’effettiva personalità del Parolisi.[38]

Sull’approfondimento di tali elementi si tornerà nel prossimo lavoro.

 

Fonte immagine: www.pixabay.com

  

[1] Per un maggior approfondimento sul punto si veda: http://www.crimint.it/la-psicologia-investigativa-2/.

[2] D. Curtotti, L. Saravo, Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine – Norme, tecniche, scienze, edizione 2013, p. 794.

[3] Ivi, p. 816.

[4] Ivi, p. 846.

[5] Tribunale di Teramo, n. 232, 26 ottobre 2012 (dep. 02 gennaio 2013), p. 2.

[6] Ivi, pp. 2-3

[7] Ivi, p. 66.

[8] Per un maggior approfondimento sul punto si veda: https://www.ansa.it/marche/notizie/2016/06/13/cassazione-20-anni-a-parolisi_d1d7a118-a7dc-499a-8a33-51e83bd24486.html.

[9] Tribunale di Teramo, cit., p. 18.

[10] Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit., p. 38.

[11]Ivi, p. 20.

[12] Ivi, p. 36.

[13] Ivi, pp. 19-20.

[14] Ivi, p. 36.

[15] Ivi, p. 38.

[16] Ivi, p. 36.

[17] Tribunale di Teramo, cit., p. 52.

[18] Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit., pp. 31-33.

[19] S. Le Donne e S. Marascio, Appunti di Criminologia, marzo 2012, https://www.onap-profiling.org/appunti-di-criminologia-e-di-diritto-processual-penalistico/.

[20] Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit., p. 29.

[21] Ivi, p. 33.

[22] S. Le Donne e S. Marascio, Appunti di Criminologia, op cit..

[23] Ibidem.

[24] Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit., pp. 38-39.

[25] Ivi, p. 26.

[26] Ivi, pp. 38-39.

[27] Ivi, p. 36.

[28] Tribunale de Teramo, cit., pp. 18-19 e Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit.,  pp. 27-26.

[29] Tribunale di Teramo, cit., p. 59.

[30]Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit., p. 37.

[31] Tribunale di Teramo, cit., pp. 2-3.

[32] Ivi, p. 62.

[33] Ivi, pp. 2-3.

[34] S. Le Donne e S. Marascio Appunti di Criminologia, op cit..

[35] S. Le Donne e S. Marascio Appunti di Criminologia, op cit..

[36] Cass. pen., sez. I, n. 2136 del 28 novembre 2011 (dep. 19 gennaio 2012), p. 5.

[37] Consulenza medico-legale dei professori S. Canestri e A. Tagliabracci in Tribunale di Teramo, cit., pp. 39-40.

[38] Tribunale di Teramo, cit., p. 5.

Maria Luisa Canale

Maria Luisa Canale, dott.ssa in giurisprudenza, abilitata alla professione forense ed esperta in scienze forensi. Si laurea il 28 marzo 2014 in giurisprudenza presso l'ateneo LUMSA di Roma con una tesi in diritto processuale penale dal titolo Il trattamento penitenziario dello "straniero". Con tale lavoro l'11 novembre 2015 vince il Premio di Laurea indetto dal Comune di Milano in memoria di Luca Massari. Ha svolto la pratica forense presso il foro di Roma, in uno studio di diritto civile, ove ha imparato a scrivere gli atti e i pareri, a rapportarsi con clienti, avvocati e magistrati ed ha approfondito soprattutto il diritto di famiglia. Ha frequentato la Scuola di specializzazione per le professioni legali presso la LUMSA che le ha dato la possibilità di svolgere il tirocinio presso la Corte di Cassazione sez. II e VII penale. Qui si è occupata dell'esame delle sentenze di merito e dei ricorsi, della ricerca giurisprudenziale, dello studio dei casi sottoposti, della redazione di ordinanze di manifesta inammissibilità e ha partecipato alle udienze. Successivamente, si è iscritta al Master di II livello in Scienze forensi (Criminologia, Investigazione, Security e Intelligence) presso l'università La Sapienza di Roma. Ha concluso questo percorso il 17 febbraio 2018 con votazione 110/110 e la tesi dal titolo Le problematiche del diritto di difesa in un caso di omicidio - la previsione di una tutela a futura memoria. Il 23 novembre 2021 Maria Luisa si abilita alla professione forense. Collabora con l'area di Criminologia di Ius in itinere. Da febbraio 2022 lavora come Consulente assicurativo e finanziario presso Filiali di Direzione, Generali Italia.

Lascia un commento