venerdì, Marzo 29, 2024
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Lotta alla corruzione: prevenzione o repressione? I presidi amministrativi

  1. La figura del RPCT: aspetti di natura generale e gli ambiti di sua competenza. 

 

Uno degli aspetti maggiormente innovativi delle riforme che hanno ridisegnato il sistema di contrasto del fenomeno corruttivo in Italia è la previsione di specifici obblighi di pianificazione in capo alle Amministrazioni.

A tal proposito, la figura del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC)è stata inserita all’interno della Pubblica Amministrazione, ai sensi art. 1, comma 7, della Legge 190/2012. Con tale legge, dunque, è stata introdotta per la prima volta una nuova posizione di controllo, in attuazione dell’articolo 6 della Convenzione dell’Onu contro la corruzione, adottata dall’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003.

Successivamente, a seguito del decreto legislativo n. 97 del 2016[1], la figura del RPC subisce varie modifiche: invero si è provveduto a rafforzarne il ruolo, unificando in capo ad un solo soggetto l’incarico di Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza (da ora RPCT), scelto sulla base di requisiti lavorativi specifici e di condotta morale, stabilendo espressi poteri e funzioni che gli consentano di svolgere il suo incarico in autonomia, e con la possibilità di compiere modifiche sul piano organizzativo.

A fronte di ciò, è evidente di come l’Autorità Nazionale Anticorruzione, introducendo questa nuova figura all’interno della PA, abbia cercato di prevenire il dilagante e sempre più dannoso fenomeno del mercimonio e compravendita[2] che si verificava all’interno di quest’ultima, dettando delle linee guida e dei piani volti ad assottigliare e restringere le possibilità di instaurazione di un rapporto corruttivo tra il pubblico dipendente e il soggetto privato.

Il d.lgs. 97/2016, dunque, prevede che la figura del RPCT si sostanzia principalmente in un’attività di controllo dell’amministrazione: attraverso attività di pubblicazione, nel rispetto dei principi di trasparenza e completezza, segnalando obbligatoriamente all’OIV (Organismo Indipendente di Valutazione) e all’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) eventuali ritardi o inadempimenti.

Analizzando in breve l’articolo 1 della legge n. 190/2012, possiamo individuare i molteplici compiti assegnati al RPCT a fronte del ruolo fondamentale che ricopre.

Al comma 8 è previsto che ogni pubblica amministrazione, o ad essa equiparata, nella cornice del Piano Nazione Anticorruzione, adotti un piano triennale di prevenzione della corruzione (P.T.P.C.) e che individui un soggetto interno quale responsabile della prevenzione della corruzione e, su proposta di questo, ne curi la trasmissione all’ANAC ai sensi del d.l. 24 giugno 2014, n. 90.

Ai sensi del comma 10, invece, il Responsabile deve verificare l’efficace attuazione del piano e della sua idoneità a raggiungere gli scopi prefissati, proponendo modifiche allo stesso in caso di accertate e significative violazioni delle prescrizioni o di mutamenti organizzativi o nell’attività dell’amministrazione, e verificando, assieme al dirigente competente, l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento di attività ad alto rischio di corruttela.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, è il Piano Nazionale Anticorruzione, a suggerire espressamente il criterio della rotazione, per il quale uno stesso soggetto non dovrebbe ricoprire per lungo corso il medesimo incarico nello stesso ufficio, come strumento di prevenzione a disposizione delle singole amministrazioni. Tutto ciò, per evitare che la gestione della PA venga lasciata alla disponibilità della stessa ristretta cerchia di soggetti, venendosi a creare, almeno in via potenziale, situazioni e dinamiche inadeguate e propedeutiche alla commissione di un reato[3].

Dunque, i compiti del Responsabile possono sintetizzarsi in:

  • Propone all’organo di indirizzo politico l’approvazione e le modifiche del Piano triennale di Prevenzione della Corruzione verificandone l’efficace attuazione ed idoneità;
  • controlla l’effettiva ciclicità dei soggetti operanti in settori esposti particolarmente a reati di corruzione, infatti verifica l’effettiva rotazione degli incarichi negli uffici preposti allo svolgimento delle attività per le quali è più elevato il rischio che siano commessi reati di corruzione;
  • svolge un ruolo fondamentale nell’ambito propositivo di approvazione e modificazione del Piano triennale di Prevenzione della Corruzione, dopo averne verificato la concreta attuazione e applicabilità;
  • definisce le procedure di selezione e formazione dei dipendenti operanti in settori esposti a corruzione;
  • attività di controllo, al fine di assicurare che nell’amministrazione siano rispettate le disposizioni del D.lgs. 39/2013 sulla inconferibilità e incompatibilità degli incarichi.
  • pubblica la relazione dell’attività svolta sul sito dell’amministrazione, trasmettendola successivamente all’organo di indirizzo;

 

  1. I poteri di controllo

 

Come già anticipato, il d.lgs. 97 del 2016 circa le molteplici modifiche apportate alla L. 190/2012, ha rafforzato i poteri di interlocuzione e di controllo del RPCT nei confronti di tutta la struttura della Pubblica Amministrazione.

Emerge chiaramente che il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza deve avere la possibilità di incidere effettivamente all’interno dell’amministrazione o dell’ente, e che alla responsabilità di quest’ultimo affiancano con maggiore decisione quelle dei soggetti i quali, in base alla programmazione del Programma triennale per la prevenzione alla corruzione, sono responsabili dell’attuazione delle misure di prevenzione.

Lo stesso d.lgs. 165/2001 all’art. 16, co. 1 lett. l-bis) l-ter) e l-quater), prevede, d’altra parte, tra i compiti dei dirigenti di uffici dirigenziali generali quello di concorrere alla definizione di misure idonee a prevenire e a contrastare i fenomeni di corruzione fornendo anche informazioni necessarie per l’individuazione delle attività nelle quali è più elevato il rischio corruttivo e provvedendo al loro monitoraggio.

Un modello a rete, quindi, in cui il RPCT possa effettivamente esercitare poteri di programmazione, di impulso e di coordinamento e la cui funzionalità dipende dal coinvolgimento e dalla responsabilizzazione di tutti coloro che, a vario titolo, partecipano dell’adozione e dell’attuazione delle misure di prevenzione.

Dal d.lgs. 97/2016 risulta anche l’intento di creare maggiore comunicazione tra le attività del RPCT e in particolare quelle dell’OIV. Ciò al fine di sviluppare una sinergia tra gli obiettivi di performance organizzativa e l’attuazione delle misure di prevenzione. In tal senso, si prevede, da un lato, la facoltà all’OIV di richiedere al RPCT informazioni e documenti necessari per lo svolgimento dell’attività di controllo di sua competenza (art. 41, co. 1 lett. h), d.lgs. 97/2016). Dall’altro lato, si prevede che la relazione annuale del RPCT, recante i risultati dell’attività svolta da pubblicare nel sito web dell’amministrazione, venga trasmessa oltre che all’organo di indirizzo dell’amministrazione anche all’OIV (art. 41, co. 1, lett. l), d.lgs. 97/2016).

Il Responsabile, dunque, è il soggetto preposto alla definizione del rischio. Infatti, l’art. 1, comma 5, lett. a) l. 190/2012 dispone che i piani di prevenzione delle amministrazioni centrali forniscano, in primis, una valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici al rischio di corruzione ed indichino gli interventi organizzativi volti a prevenire il medesimo rischio, prevedendo, negli uffici anzidetti, la rotazione di dirigenti e funzionari[4].

Per quanto riguarda invece l’approccio basato sul rischio, è opportuno, ai fini di una analisi completa, evidenziare di come i piani per la prevenzione della corruzione appartengono al novero gli strumenti di “fire alarm[5]. Invero, le attività più esposte a rischio di corruzione vengono monitorate da determinati soggetti preposti a tale ruolo, e, allo stesso tempo, la pianificazione degli interventi consente che la potenziale corruttela o illegalità venga disincentivata o emerga con maggiore evidenza. Il piano, inoltre, può risultare efficiente e meno costoso[6]. Si ricordi infatti che in base alla clausola di invarianza contenuta nella legge anticorruzione[7], le amministrazioni devono far fronte alla programmazione in chiave preventiva con le risorse umane e strumentali che già posseggono.

I piani, dunque, vengono definiti autonomamente dal responsabile della prevenzione in ciascuna amministrazione. Il grado di discrezionalità di cui il responsabile dispone è, tuttavia, limitato. Il concorso delle norme di legge e delle disposizioni che promaneranno dalle strutture governative (Anac e Dipartimento della funzione pubblica) faranno sì che le amministrazioni non si facciano concorrenza, neppure “al rialzo”, nella predisposizione e attuazione dei piani e che il coordinamento delle iniziative di prevenzione conduca ad una base comune a tutte le amministrazioni (level playing field) e ai singoli uffici più sensibili al rischio di corruzione.

[1]D.lgs. 25 maggio 2016, n. 97, recante Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblicità e trasparenza correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche.

[2]Cfr.  Di Nicola A., Dieci anni di lotta alla corruzione in Italia, in Barbagli M. (a cura di), Rapporto sulla criminalità in Italia, Bologna, 2003, p. 109.

[3]Cfr. Di Cristina F., I piani per la prevenzione della corruzione (art. 1, commi 5-14) in Mattarella B.G, Pelissero M. (a cura di), La legge anticorruzione: prevenzione e repressione della corruzione, Torino, 2013, p. 92

[4] Sul punto Giannini M.S., Tangenti ed appalti, in Pol. E Mezz, 1992.

[5]Cfr. Davigo P., Mannozzi G., La corruzione in Italia. Percezione sociale e controllo penale, Roma 2007

[6]Cfr. Di Cristina F., La prevenzione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione nella legge n. 190 del 6 novembre 2012, in Studium iuris, n. 6, 2013

[7]Art. 2, Legge 190/2012 pone la clausola di invarianza: dall’attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni competenti provvedono allo svolgimento delle attività previste dalla legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Si tratta dunque di una legge “a costo zero”.

Martina Cardone

Laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Napoli Federico II, con il massimo dei voti. Ha conseguito un Master di II livello in Management and policies of Public Administration presso l’Università Luiss Guido Carli. Ad oggi è dottoranda di ricerca in diritto e impresa, presso la Luiss.

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